La paura nel XXI secolo

Vi sarà sicuramente capitato di sentire frasi che annunciano la fine dell’horror, la sua non originalità o il confronto impari con i grandi capolavori del passato. Bene, non credeteci.

Certo non si può dire che questo genere goda di ottima salute, ma negli ultimi anni ci sono stati degli incoraggianti segnali di ripresa, a partire dal controverso “The Neon Demon”, di Nicolas Winding Refn.

Si è infatti appena conclusa una stagione cinematografica che ci ha regalato delle sorprese particolarmente esaltanti. Due su tutte destinate a segnare la storia recente dell’horror americano.

“It Follows”, di David Robert Mitchell, riesce nella miracolosa impresa di demistificare quei cliché che hanno reso l’horror contemporaneo così insopportabile. L’ansia che trasmette il film non ha mai impennate, né cadute di tono, ma rimane sempre fissa, stringendo lo spettatore in una morsa dalla quale è difficile liberarsi.

“The Witch”, esordio alla regia di Robert Eggers, ci trasporta in un inquietante New England del XVII secolo. In questo caso ci troviamo di fronte a un’opera maestosa nella sua semplicità. Non ci sono sequenze “spettacolari”, perché il suo vero merito è quello di trasportaci in un incubo a occhi aperti, che ha quasi la forma e i colori di un quadro di Caravaggio. La produzione indipendente poi – tipica dei migliori horror, Carpenter e Fulci insegnano – garantisce un’estrema creatività e originalità di messa in scena.

E ancora più indipendente, ma non meno valido, è “Oltre il Guado”, di Lorenzo Bianchini. Un italiano, proprio così. Di certo avrete anche sentito qualcosa del tipo: “Gli horror in Italia non si possono fare”. Falso, si può eccome. Un altro esempio viene dall’ultima Festa del Cinema di Roma, durante la quale è stato presentato “In un giorno alla fine” del promettente Daniele Misischia.

Un altro errore è considerare questo genere un’esclusiva americana.

“Kill List”, dell’inglese Ben Wheatley, è atipico, disturbante, a tratti surreale, come il suo film successivo: “A Field in England”, che porta all’estremo tutte queste caratteristiche.

Inglese è anche “The Descent”, del talentuoso Neil Marshall.

Tra gli altri non si possono non citare tre pietre miliari dell’horror moderno:

“Lasciami entrare”, dello svedese Tomas Alfredson, freddissimo film “di vampiri”, con due protagonisti incredibili.

“Martyrs”, del francese Pascal Laugier, che merita più di una visione, magari a distanza di parecchio tempo l’una dall’altra. Dello stesso autore si segnala anche l’ottimo esordio: “Saint Ange”, un altro horror da recuperare.

“Rec”, del regista spagnolo Jaume Balagueró, uno dei migliori “found – footage” mai realizzati.

Non ci dimentichiamo del cinema orientale, che da sempre fornisce perle care agli appassionati (e non). Recentemente abbiamo visto “Train to Busan” alla Festa del Cinema di Roma, ma da già da qualche tempo sono usciti film come “Thirst”, del grande Park Chan-Wook, o “The Host”, di Bong Joon-ho. Dalla Corea del Sud al Giappone di Takashi Miike, ma anche di “Kairo”, ottimo horror psicologico di Kiyoshi Kurosawa.

Il titolo più sorprendente degli ultimi anni viene però dall’Australia: “Babadook”. E la regia è di una donna, Jennifer Kent, al suo primo lungometraggio. A dimostrazione del fatto che l’horror non è solo “roba per uomini”, come il cinema del resto, vista la tendenza ad associare figure maschili al ruolo di regista.

“Babadook” si insinua nel cervello dello spettatore, senza mai ricorrere ai “rassicuranti” espedienti ormai di uso comune, quali gli odiati jump scares o le pseudo – presenze demoniache, che di demoniaco hanno solo il sottrarre tempo prezioso a chi guarda. Il finale poi è disarmante per leggerezza, potenza espressiva e, soprattutto, “etica”.

“Babadook”, come la quasi totalità di questi film, ci fa entrare in contatto con la paura e l’attrazione più forte per l’essere umano: l’ignoto. In questo senso il cinema horror, quando di qualità, possiede una capacità di descrizione dell’animo umano non indifferente. Riesce a mostrare le paure e le ansie delle persone tramite una lente irrazionale.

In questi film la minaccia, che sia un qualcosa di fisico o meno, non agisce mai in modo “diretto” nelle vicende umane. Lasciando ampio margine alle azioni dei singoli, che come in “The Witch” portano a conseguenze tragiche. Spesso nei personaggi emerge l’istinto animale e l’oscurità nascosta dietro a una maschera di apparente normalità. È qui che nasce l’orrore e la consapevolezza, più terrificante della minaccia di turno, che il peggiore nemico dell’uomo è proprio sé stesso.


Claudio Antonio De Angelis

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...