Inizio ad annerire questo foglio probabilmente per sfogo, forse per necessità, sicuramente per scrollarmi di dosso questa sensazione di inerme attesa dell’inevitabile. Per questo, prendendomi quella libertà concessami dall’essere un ragazzo qualunque, sento il bisogno di condividere i miei pensieri con questa mia “generazione perduta”, nella speranza che qualcuno possa riconoscersi negli stessi pensieri che affollano la mia mente; e a questa nostra società che sembra aver dimenticato l’importanza vitale dei giovani, l’imprescindibile necessità di gettare le basi per l’avvenire.
Alla nostra generazione, troppe volte sopraffatta e disillusa, voglio dire: esiste un’altra scelta, un’altra via per imporci finalmente come alternativa a questa società ormai povera di slancio e di prospettive, povera di empatia e di cultura perché, da sempre, la diffusione della medesima è un’arma a doppio taglio nelle mani delle persone sbagliate. Questa via, per dirlo senza peraltro inutili giri di parole, è la via della lotta, della presa di coscienza di ciò che abbiamo, di ciò che siamo e dell’immaginazione di ciò che vorremmo e potremmo essere. E se tutto questo può sembrare anacronistico, appartenente a un passato relegato al ruolo di mero cimelio e non di esempio e insegnamento, è proprio perché ci stiamo facendo ammansire, perché ci siamo lasciati insegnare l’orrida arte dell’accettazione apatica, perché ci siamo rassegnati.
E invece già solo nella lotta, nel rialzare insieme la testa per guardare finalmente avanti, nel non sentirsi più isolati nelle proprie aspirazioni risiede una forza in grado di restituire dignità alla vita, e all’uomo un ulteriore stimolo per affrontarla. È questo che vorrei poter trasmettere a chiunque si possa sentire dimenticato, frustrato, abbandonato: lottiamo contro questa società ogniqualvolta non ci rappresenti, non ci ascolti, non ci riconosca il ruolo fondamentale che abbiamo e che ci spetta al suo interno. Lottiamo, ognuno per sé ma tutti per tutti, per far parte di un domani da disegnare con le nostre mani.
Questo non vuole essere un invito alla rivolta senza mezzi termini o allo scontro ottuso e riottoso, ma a una ribellione intelligente sì, capace di correggere le storture del nostro sistema e di valorizzare quanto di buono già esiste.
Smettiamo di accettare passivamente i soprusi, smettiamo di scegliere sempre la via più semplice tra il migliore e l’accettabile, iniziamo a dire di No quando è necessario e a dire di Sì quando è giusto, chiunque sia il destinatario delle nostre risposte.
Troviamo nuove idee e condividiamole, discutiamone, senza farci intimorire da chi vorrebbe mortificarci. Troviamo nuovi spazi e nuovi modi in cui far valere la nostra opinione, nel rispetto di quella degli altri ma senza mai cedere nelle nostre convinzioni. Prendiamo parte ai processi decisionali, ad ogni livello, occupandoci nuovamente in prima persona di ciò che ci riguarda, facendo valere le nostre posizioni e rafforzando l’idea che tutti contano allo stesso modo, perché è questo l’unico presupposto indefettibile di una società egualitaria.
E riappropriamoci di ciò che da sempre appartiene alle generazioni del futuro: la voglia di immaginarlo migliore.
Forse questa in cui ci troviamo a vivere, che dovrebbe essere la società dell’uguaglianza, dei diritti e delle libertà acquisiti, paradossalmente è una società in cui può essere ancora più difficile di un tempo ottenere quello che vorremmo dalla vita. A volte questo sentimento d’impotenza può farci perdere di vista le istanze basilari di convivenza, partecipazione e collaborazione su cui abbiamo costruito, con sacrifici indicibili, la nostra struttura sociale. Questo non lo dobbiamo permettere.
Possiamo di sicuro pensare di avere anche tanto da perdere, che in fondo è possibile, se non meglio, accontentarci di ciò che abbiamo, eppure quello che abbiamo da guadagnare dal nostro impegno, dal nostro batterci per quello che può semplicisticamente essere definito un mondo migliore, è sempre di più di quello che potremmo perdere tentando.
Vorrei che queste riflessioni arrivassero a tutti ma in particolar modo a chi ha ancora davanti tutte le possibilità per realizzare i propri progetti personali e collettivi, e che erediterà insieme con me il mondo che ci stanno lasciando, forse peggiore di come l’hanno a loro volta ricevuto. Non commettiamo mai l’errore di farci imporre, da chicchessia, un modello unico di vita, di pensiero, di società, di futuro o di umanità, ma impariamo ad ascoltare ognuno le nostre soggettive propensioni, decidendo in piena autonomia quando, dove e in che modo mettere in gioco noi stessi, e per raggiungere quale obiettivo; ma mettiamoci in gioco, perché non possiamo più rimandare.
Caro Alessandro siamo come uomini condannati a combattere? Forse la morale ci dice diversamente ma la storia è lì limpida ad imporci che la volontà di un individuo se non condivisa non ha alcun valore. Mi piacerebbe dirti che i tuoi problemi erano i miei alla tua età ma non è così. Ogni generazione è chiamata a far fronte ai problemi della sua epoca e i miei problemi da ragazzo mi rendo conto essere stati molto diversi dai tuoi. Come adulto posso dire che tutto può partire anche da una protesta, da una lotta, da un conflitto individuale ma deve arrivare alla collettività. Il nostro essere animali sociali ci deve far protendere al prossimo e solo così troviamo il senso in ciò che è più profondamente umano. Se qualcosa serve mi auguro che tu possa crescere nella tua consapevolezza e che tu possa guardare al mondo con le tue parole sempre.Che tu possa mantenere alto e vigile il senso di appartenenza ad una comunità che sia il più esteso possibile e con la quale tu possa dialogare in un confronto che deve essere sempre tra pari, solo così le tue idee assumeranno un significato che va oltre la semplice apparenza e che diventa terreno, merce pregiata di scambio. Io faccio il tifo per te.
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