La scorsa è stata una settimana horribilis per la scuola italiana: la notizia che ha suscitato più scalpore è senz’altro quella proveniente dall’istituto «Majorana-Bachelet» di Santa Maria a Vico (CE) dove, nella mattinata di giovedì 1 febbraio, la professoressa di lettere Franca di Biasio è stata ferita al volto da un suo alunno diciasettenne con un coltello a serramanico. Non è stata però l’unica notizia sconvolgente sul mondo della scuola: meno gravi – ma non meno indicative – sono le notizie dell’insegnante licenziata per “incapacità didattica” a Santa Maria di Sala (VE) e il ricorso di due genitori di Canicattì (AG), bocciato dal TAR di Palermo, contro gli insegnanti che avevano valutato soltanto da nove il proprio foglio all’esame di terza di media.
Prese singolarmente – fatta eccezione per il caso di Santa Maria a Vico – queste notizie potrebbero non suscitare particolare scalpore, ma viste in una visione globale, non possono non mettere in allarme anche l’osservatore più ottimista.
Non bastano le rassicurazioni dell’Ocse: basta guardare direttamente cosa accade nelle nostre scuole per capire immediatamente che negli ultimi anni l’istituzione scolastica italiana è sempre più in dfficoltà.
L’aspetto didattico è, secondo il mio parere, quello meno affaticato: mi piace pensare che il caso dell’insegnante di Santa Maria di Sala sia isolato, data la costante crescita di formazione e selezione degli aspiranti insegnanti da parte del MIUR negli ultimi anni – basti pensare alla recente riforma della scuola. Certo, un simile caso non può lasciare indifferenti, ma di certo non pregiudica la valutazione del corpo docenti italiano. Secondo me questo caso va inserito in un contesto più ampio, quello del diffuso analfabetismo funzionale italiano e della progressiva decrescita culturale del nostro Paese – contesto che certamente non può essere trattato in questa sede.
Se la tenuta didattica resta buona, è secondo me nell’aspetto comportamentale/disciplinare ed educativo che la scuola italiana sta fallendo il proprio compito. In un contesto nel quale le famiglie, sia per ragioni logistiche che culturali, vedono sempre più appassire la loro presenza educativa nella vita dei ragazzi, dovrebbero essere la scuola e la figura dell’insegnante ad assumere questo impegno. Tra famiglie e insegnanti, però, sembra esserci un baratro incolmabile, forse per una mancanza di lucidità o forse per il dilagare dell’estremizzazione di quella ideologia liberal post-sessantottina che impedisce all’insegnante di assolvere a pieno il suo ruolo di educatore. Beninteso, non parliamo di bacchettate e punizioni corporali – mi sembra lapalissiano citare i crescenti casi di violenze, soprattutto nella scuola materna, che vanno in una direzione contraria e sono assolutamente da condannare – ma di permettere all’insegnante di usare sia la carota sia, quando necessario, il bastone del famoso proverbio, trovando l’appoggio e non la condanna incondizionata da parte della famiglia.
Il caso di Canicattì è eloquente in questo senso: è sempre più diffusa la tendenza a osteggiare le decisioni degli insegnanti da parte dei genitori e di proteggere i propri figli dalle angherie del “professore frustrato”. L’episodio di Santa Maria a Vico rappresenta invece il culmine di questa inclinazione: le scuse e l’incredulità della famiglia non modificano certamente la gravità della situazione; ribadisco che più che guardare al singolo caso, si deve guardare globalmente alle attitudini comportamentali del rapporto triangolare tra insegnanti-studenti-famiglie. Evitando di prospettare una linea autoritaria, credo che il vertice forte di questo triangolo debba smettere di essere quello rappresentato dagli studenti e che si debba necessariamente tornare ad un equlibrio tra i tre vertici e ad un rapporto frontale e simmetrico tra le famiglie e gli insegnanti, basato sulla fiducia e sulla certezza della comunità di intenti – ossia la crescita e l’educazione dei ragazzi.
Concludendo, secondo il mio modesto parere la scuola e gli insegnanti – con tutti i loro pregi e i loro difetti – dovrebbero tornare ad essere un punto di riferimento educativo per i ragazzi e le famiglie. Le nuove generazioni hanno bisogno di tale supporto, perché l’istituzione familiare, come ho già avuto modo di affermare, si sta sempre di più sgretolando, lasciando grosse falle nel bagaglio culturale ed educativo dei ragazzi che vengono riempite, a spese degli stessi, con i tristemente celebri prodotti di quel disagio sociale e psicologico sempre più capillarmente diffuso tra i nostri ragazzi.
La scuola dovrebbe tornare ad occuparsi, oltre che degli obiettivi didattici, in maniera più accurata degli obiettivi formativi ed educativi dei ragazzi, formando prima di ogni cosa dei buoni cittadini, in grado di comportarsi e muoversi correttamente all’interno di una società civile e democratica: ciò però è possibile solo ed esclusivamente con un nuovo e rinnovato patto di fiducia tra i docenti e le famiglie.
Sitografia
Caso di Santa Maria a Vico
Caso di Canicattì
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/scuola_e_universita/palermo_tar_scuola-3517105.html
Caso di Santa Maria di Sala
http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2018/02/01/news/la-bocciatura-1.16419290
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/maestra-scriveva-squola-licenzata-ministero-1489436.html
Altre fonti
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