Andiamo subito al nocciolo della questione: in Italia quasi 7 milioni di donne hanno subito violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita. Troppe volte questi episodi di violenza sono degenerati fin nell’omicidio, dando vita, nel linguaggio sociale e quotidiano, alle categorie concettuali di “femminicidio” e “omicidio di identità”. Purtroppo questo fenomeno non si limita ai nostri confini nazionali, ma coinvolge gran parte del mondo.
Il problema della violenza di genere è uno dei punti critici della nostra società, un campanello d’allarme per quel che riguarda la nostra cultura e le nostre regole di convivenza civile. Quando un uomo, conosciuto o sconosciuto che sia, commette violenza su una donna il problema è prima di tutto un problema dell’uomo e solo poi un problema della donna; ma non in quanto compartecipe delle cause del problema, come troppo spesso qualcuno si azzarda a dire, con intenti giustificatori, ma solo e soltanto in quanto vittima di un problema che non ha contribuito a creare.
Alcune concause di questa problematica vanno sicuramente ricercate nei caratteri di una cultura ancora troppo sessista e maschilista, e nella degenerazione di quella che negli anni ’70 venne chiamata “rivoluzione sessuale”. Con l’intento di sdoganare una cultura bigotta come quella italiana del dopoguerra si diede vita, in quegli anni, ad una lotta per liberalizzare le idee sulla sessualità e sui corpi; questa lotta, che nacque con l’obiettivo di realizzare un progresso dei concetti di pudore e di buoncostume, ha raggiunto effettivamente i suoi obiettivi, ma non ha saputo fornire una risposta alla degenerazione che questa evoluzione avrebbe potuto e ha poi effettivamente realizzato. Questa rivoluzione è stata sì una rivoluzione dei costumi, ma non una rivoluzione delle menti.
Oggi più che mai infatti assistiamo a vere e proprie campagne di mercificazione del corpo femminile, al rafforzamento di stereotipi estetici e sessuali che contribuiscono inevitabilmente all’evolversi di una concezione distorta e inaccettabile della donna come mero oggetto del desiderio maschile. La pubblicità, la televisione, perfino i mezzi di informazione spesso e volentieri trasmettono questo genere di messaggio, perché il sessismo è diventato anche legge di mercato.
Da questo contesto emergono alcuni dati che raccontano molto più delle parole:
- Sono stati 140 i femminicidi nel 2017, e altri 27 solo nei primi mesi del 2018, uno ogni sessanta ore
- Le donne nel 2007 costituivano il 24% di tutte le vittime di omicidio, oggi ne costituiscono il 34%
- Il 73% dei femminicidi avviene in famiglia e 14.427 sono state le denunce per episodi di maltrattamenti in famiglia nel 2016
- Nel 51% dei casi il colpevole è il partner attuale o l’ex partner
Lo Stato e il potere giudiziario si stanno mostrando ancora incapaci di dare risposte adeguate al problema. All’incirca una denuncia su quattro, di quelle esposte da donne vittime di violenza, viene archiviata, e nonostante in alcuni tribunali il tasso di sentenze di accoglimento sia molto alto, in altri il tasso di assoluzione sfiora il 50%. Ovviamente questo non dovrebbe per forza di cose destare sospetti, se le indagini fossero sempre svolte nei migliori dei modi e se i vari tribunali, principalmente quelli penali e civili, lavorassero in sinergia; ma così non è. Capita quindi che per un bambino venga stabilito, dal tribunale civile, l’affidamento congiunto a entrambi i genitori, anche quando il giudice penale aveva già, in altra sede, allontanato il padre perché pericoloso, creando così un’ulteriore situazione di conflitto. Troppo spesso non si riesce ad intervenire, nonostante ci sia la possibilità di farlo, prima che accada il peggio.
Eppure gli strumenti esistono, e su questi bisogna lavorare. Di questo si sta occupando in particolar modo la “Commissione d’inchiesta sul femminicidio” Istituita al Senato nel 2017, dalle cui relazioni emergono diverse strade percorribili per migliorare la capacità d’intervento delle Istituzioni sulla problematica della violenza di genere. Implementare, attraverso il varo di protocolli più funzionali, la rete di comunicazione e collaborazione tra le differenti branche della Giustizia; sviluppare sistemi di reperimento dati maggiormente in grado di fornire un quadro fedele e complessivo delle situazioni concretamente da affrontare; sensibilizzare gli operatori delle forze dell’ordine, che troppo spesso catalogano gli episodi di violenza come semplici conflitti familiari; rafforzare significativamente il sistema dei centri antiviolenza sparsi sul territorio.
Proprio questi ultimi sono uno dei punti di forza e di riferimento per la lotta alla violenza sulle donne; sono circa 160, distribuiti sul territorio nazionale, quasi tutti non istituzionali e basati sul lavoro volontario, che sopravvivono grazie a dei fondi statali sempre più insufficienti a garantirne il funzionamento. Si stima che nel 2017, grazie all’opera di questa rete, basata su un metodo di approccio efficacemente testato dall’esperienza, siano state protette 22mila donne, spesso accompagnate dai loro figli. Assistenza materiale, prima di tutto, attraverso la messa a disposizione di un posto sicuro in cui poter stare, e poi psicologica e giuridica, questi sono i servizi che vengono messi a disposizione di chiunque ne abbia la necessità. L’azione e a volte l’esistenza stessa di questi centri è ancora sconosciuta ai più, poiché poca è l’attenzione mediatica dedicatagli, e questo contribuisce purtroppo a neutralizzare in parte il loro potenziale.
Non esistono dubbi sul fatto che, per curare questa piaga della nostra società, sia necessario intraprendere un percorso culturale, senza il quale nessun altro tipo di intervento sortirebbe gli effetti sperati; bisogna ripartire prima di tutto dal ruolo educativo delle istituzioni scolastiche, troppo spesso incapaci di svolgere il proprio compito più importante: quello di guidare la formazione etica e morale delle nuove generazioni, secondo i valori del rispetto e dell’uguaglianza. Bisogna poi muoversi attraverso un’azione mirata delle Istituzioni, con l’obiettivo di innescare e favorire questo processo di crescita. Augurandoci che la totale mancanza di una seria discussione politica a riguardo, durante l’ultima campagna elettorale, non stia a significare una totale mancanza di sensibilità e di attenzione al tema.
Qualsiasi saranno le strade intraprese una cosa è certa: la componente sana dell’universo maschile – che per fortuna è la maggior parte – dovrà battersi in prima linea per risolvere quello che, come abbiamo già detto, non è solo un problema della donna, ma è prima di tutto un problema dell’uomo.