Quando sono nei corridoi della mia facoltà di Scienze Politiche spesso e volentieri mi perdo a osservare i miei coetanei, cercando di capirne i sentimenti e i pensieri. Cosa non si fa pur di non studiare, eh? Analizzandoli ho notato che sono tre i fili che muovono la grande maggior parte delle loro vite: la politica, la musica indie e gli spritz del Chiringuito. Tralasciando gli ultimi, dei quali eviterò di parlare semplicemente perché quando si ama troppo una cosa è difficile descriverla in maniera oggettiva, mi soffermerò sui primi due aspetti. Se anziché far politica facessero musica indie, chi sarebbe il corrispettivo dei principali leader italiani?
E perché Matteo Salvini sarebbe proprio Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti? Facilissimo: innanzitutto per il processo di evoluzione. Il segretario della Lega ha iniziato rivolgendosi a un pubblico di nicchia e fidelizzato: quello composto da coloro che odiavano i terroni. Il suo raggio d’azione si è poi allargato all’intera platea nazionale, coinvolgendo anche elettori che mai avrebbero pensato prima di mettere il proprio voto sul suo simbolo. Salvini ha iniziato a cavalcare temi più “commerciali”: le grida contro gli immigrati sono un album che vende molto, e ormai è vicino a vincere il disco di platino. Se Tommaso Paradiso è entrato prepotentemente nelle radio italiane con featuring improbabili come quelli con Fabri Fibra ed Elisa, Matteo Salvini non vuole essere da meno, e allora eccolo pronto a prendersi quel governo che da mesi guarda come un pazzo che lo vuole completamente in collaborazione con Gigi Di Maio. Quei due sono scatenati come tori a Pamplona, e chissà se grazie a questa promiscuità riusciranno a fare sold out.
A proposito di Luigi Di Maio, il suo partito ha straripato alle elezioni anche grazie alla promessa di un reddito di cittadinanza, misura che avrebbe permesso a molti di vivere una vera e propria vita in vacanza. Hanno vinto, sì, ma in realtà sarebbero arrivati secondi: un po’ come lo Stato Sociale a Sanremo. Ora che sembra sempre più probabile l’alleanza con la Lega, chissà che Di Maio non inizi a girare conciato come un hipster alla Lodo Guenzi, per continuare a strizzare l’occhio anche alla parte d’elettorato grillino proveniente da sinistra. Ci sarà posto anche per Berlusconi? “In due è amore, in tre è una festa”. Chissà se quando andranno al governo insieme smetteranno di amarsi male, per non correre il rischio di pensare che la vittoria fosse più bella come ipotesi e che il potere non sia in fondo niente di speciale.
Intanto Grillo dichiara: “Mi sono rotto il cazzo di questi sessanta milioni di partiti”. Buona sfortuna, Beppe.
Matteo Renzi intanto guarda il Partito Democratico e come Calcutta si chiede “esco o non esco?”. Una cosa è certa: da queste elezioni ne è uscito pesto, e probabilmente non basterà una limonata per rimetterlo in sesto. Adesso ha lasciato la segreteria a Maurizio Martina, ma siamo certi che non sia soltanto un intermezzo?
Ti chiedo scusa se non è lo stesso di tanti anni fa, Matteo, ma adesso devi accontentarti di un misero 18,7%, liberarti dal verme del ricordo di quelle trionfali europee e ripartire. Possibilmente da un’altra parte, però.
Finiti i tempi in cui Matteo Renzi si sentiva Levante e andava dicendo in giro “Gesù Cristo sono io”, adesso somiglia unicamente al cantautore originario di Latina, a partire dallo sguardo assonnato e assente. Con un’unica differenza, però: in questo momento in Italia Calcutta piace a pochi, Renzi a nessuno.
Silvio Berlusconi è gli Ex-Otago, nel senso che ci vuole molto coraggio per votarlo ancora. Nonostante sembri rivolgersi a un elettorato marcatamente senile, paradossalmente molti tra i giovani d’oggi lo votano ancora, e gli altri li guardano come cinghiali incazzati. Qui si gioca sulla nostra pelle, ma quando il saggio indica gli occhi della luna gli stolti guardano il dito: allora continuiamo a concentrarci sui processi a suo carico (importanti, per carità, ma la fedina penale non fa il politico, o almeno non è solo quello) e non sulle cose da fare che non ha mai fatto in tanti anni di governo.
Giorgia Meloni è uno tra Carl Brave e Franco 126, ovviamente per l’accento tipicamente romano. Quale dei due? È perfettamente uguale: i baffetti ce li hanno entrambi.
Pietro Grasso è Ultimo in tutti i sensi, e insieme a lui Liberi e Uguali vortica nel ballo delle incertezze.
E il Presidente Mattarella, in tutto ciò? Come per Gazzelle, per lui i giorni sono come martelli, e man mano che si avvicina la scelta del Presidente del Consiglio lo si sente cantare sempre di più ogni giorno: “Oggi mi sparo in testa, mi sparo in testa, mi sparo in testa…”