Nei primi 3 mesi del 2018, raramente i media principali ci hanno tenuti aggiornati sulle vicende della Catalogna commissariata dal premier Rajoy. Abbiamo però sentito parlare dell’esilio di Carles Puigdemont, del fatto che ogni suo spostamento metteva in allarme le autorità spagnole ed europee e il paventato “mandato di arresto europeo” tornava a farsi sentire nei nostri telegiornali. Però la storia va avanti e con episodi anche abbastanza grotteschi.
Il 30 gennaio, la prima seduta del parlamento catalano si raduna per l’elezione del presidente. Tutto intorno al parco della Ciutadella, che ospita la sede del parlamento, le strade si riempiono di sostenitori della causa repubblicana. La polizia quel giorno riceve l’ordine di controllare i portabagagli di ogni macchina che entra nel parco (parlamentari di opposizione inclusi) per paura che in essi si possa nascondere Puigdemont. La partita a nascondino riprende circa 20 giorni dopo, quando viene perquisito il jet privato che da Manchester portava a Barcellona Pep Guardiola e famiglia. Anche qui il dubbio che il fuggiasco Puigdemont si potesse nascondere per tornare in Catalogna e tentare il blitz. Dubbio del resto non del tutto infondato visti i problemi passati recentemente in Inghilterra dall’allenatore a causa di un nastro giallo esibito durante le partite di Premier League a sostegno della causa catalana. Da qui in poi riprende il TotoCarles e sulla posizione geografica di Puigdemont, novello Carmen Sandiego, si fanno infinite ipotesi. Tutti i vari paesi in cui l’ex presidente si è trovato negli ultimi due mesi hanno ricevuto una richiesta di estradizione da parte della Spagna, persino la neutralissima Svizzera e la risposta declinata in vari modi è sempre stata la stessa: “La questione riguarda solo ed esclusivamente la Spagna”. Fino al 25 marzo.
Fine della corsa
Di ritorno da un soggiorno in Finlandia, su un’autostrada del nord della Germania nei pressi di Amburgo, viene fermata la macchina su cui viaggiava Puigdemont (stranamente non nel portabagagli) e subito il leader indipendentista viene condotto in carcere. Con questo provvedimento la Germania si dimostra coerente con la posizione dell’Unione Europea di appoggio a Madrid. Secondo molti, se nel pronunciarsi riguardo la richiesta d’estradizione del governo spagnolo i giudici tedeschi dovessero utilizzare altrettanta fiscalità, sono alte le probabilità che Puigdemont non metterà presto piede in Spagna. Infatti, come diverse voci all’interno dell’Unione Europea fanno notare, in Germania non esiste un reato di ribellione. Secondo altri proprio l’esistenza di un reato affine nell’ordinamento tedesco (alto tradimento) ha fatto sì che l’operazione scattasse sul territorio tedesco. Per far capire la portata del problema, è proprio su queste interpretazioni che si giocherà la decisione. La corrispondenza di un reato nei due ordinamenti è il criterio su cui si sono decise moltissime richieste d’estradizione. La richiesta potrebbe inoltre essere negata se le motivazioni di essa fossero ritenute in Germania “politiche”. Questa interpretazione sarebbe coerente con la decisione della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, che ha accolto un ricorso di Puigdemont, secondo il quale i propri diritti politici sono stati resi nulli dal governo di Madrid. Tuttavia, in virtù della comune adesione all’Unione Europea, risulterebbe curioso il fatto che uno stato membro non ritenga abbastanza “umane” o metta in dubbio le leggi di un altro membro. Per questi motivi la Germania ha per le mani una patata più che bollente e avrà su di sé gli occhi puntati di UE e Spagna in particolare. Nonostante ciò i vertici del nuovo governo tedesco non si sono pronunciati sulla vicenda.
A metà febbraio, un sondaggio su un campione di 1200 persone, dava il supporto agli indipendentisti in forte calo al 40% e il fronte unionista che con un’impennata toccava il 53% dei gradimenti. Negli stessi giorni Telecinco in Spagna mostra in televisione le immagini riprese di nascosto di un cellulare con un messaggio sullo schermo: “Viviamo gli ultimi giorni della Repubblica Catalana. Ti sarà ormai chiaro che ci hanno sacrificato”. Il telefono appartiene a un ex consigliere del parlamento catalano, e il messaggio proviene da un ormai pessimista Puigdemont, che pochi giorni dopo si farà da parte e rinuncerà alla presidenza della Catalogna. Il parlamento proverà quindi ad eleggere Jordi Turull ex ministro del governo della Generalitat, anch’egli difensore dell’indipendenza catalana. Risultato: arrestato Turull e votazione annullata. Questa strategia per Madrid appare controproducente e non è detto che non possa smuovere di nuovo i conensi in favore degli indipendentisti. Infatti, oltre ad aver riportato per strada a manifestare migliaia di catalani, ha fatto storcere il naso a molta stampa estera, che ha riesumato termini che nei confronti della Spagna non si usavano da più di 40 anni. Una distensione dei rapporti è negli interessi di Madrid, che aveva visto risalire il supporto alla sua causa, è negli interessi di Barcellona che ha sempre affermato la volontà di un processo referendario democratico e non violento (la sindaca della città Ada Colau è unionista ma ha votato nel referendum) ma soprattutto è negli interessi dell’Unione Europea che vuole certamente evitare un’Unione (parole di Jean-Claude Juncker) “a 98 stati”, che con ogni probabilità non esisterebbe più.
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