Stamattina, non appena il sole è sorto sulla redazione de La disillusione, un solo pensiero è balenato nelle menti di tutti: “Oggi è il 23 maggio, scriviamo qualcosa su Giovanni Falcone”.
“Io ho un esame venerdì”, ho detto. E così me ne sono rapidamente tirato fuori. È la verità, sia ben chiaro, ma non è l’unico motivo per cui inizialmente mi sono tirato indietro: è che io di Giovanni Falcone non riesco proprio a parlare.
Non per disinteresse o perché non conosca la sua storia, anzi, tutt’altro.
Due anni fa, con un gruppo di ragazzi del liceo, fummo invitati in seguito ai nostri progetti con l’associazione “Libera” alla sede dell’Agenzia ANSA, dove ebbi l’onore di consegnare la copia del codice di diritto penale utilizzato da Giovanni Falcone per i suoi studi all’allora Ministro dell’istruzione Stefania Giannini.
Esattamente un anno fa sono stato contattato dalla mia professoressa del liceo, Maria Arena, la donna che più di ogni altra al mondo ha contribuito ad avvicinare centinaia di adolescenti alla lotta alla mafia: aveva bisogno di due ragazzi che andassero su Rai1 a parlare delle proprie esperienze riguardanti Giovanni Falcone. Così, la mattina dopo, io e un’altra ragazza del gruppetto invitato all’ANSA un anno prima, Lorenza Lucaferri, ci siamo presentati agli studi Rai di Viale Mazzini, ospiti di “Unomattina in famiglia”. Lì, sotto gli sguardi di Igrid Muccitelli e della quasi totalità degli over sessantenni italiani, complice la totale improvvisazione alla quale eravamo condannati, rischiai per qualche secondo di bloccarmi e fare una figuraccia a livello nazionale.
È che io, di Giovanni Falcone, non riesco proprio a parlare, della sua storia proprio non me ne capacito.
Alla fine riuscii a dire le stesse banalità che alla fine ho deciso comunque di scrivere qui oggi, le uniche che riesco a dire.
Quando sono nato, Giovanni Falcone era morto già da cinque anni. Fin dalla mia primissima infanzia sentivo parlare almeno con cadenza annuale di quest’uomo, vedevo le sue foto in cui sorrideva apparentemente spensierato con Paolo Borsellino e mi chiedevo chi fosse. Per un bambino non è facile immaginare cosa faccia un magistrato. La prima risposta di cui ho memoria è: “Una persona morta per la giustizia”. Ah. Immediatamente nel mio immaginario infantile la sua immagine si sovrappose a quella di un autentico supereroe.
Poi si cresce, e si capiscono tante cose: si capisce cos’è un magistrato, che cos’è la legalità, che cos’è il crimine, che cos’è la corruzione. E si capisce soprattutto cos’è il coraggio.
L’unica domanda che ci fecero in quegli studi fu “Che cosa ha lasciato Giovanni Falcone alla vostra generazione?”
Il coraggio, ecco cosa. Il coraggio di non arrendersi mai, anche quando tutti, anche coloro che dovrebbero sostenere le tue battaglie, ti hanno abbandonato a te stesso. Proprio come fece lui.