Da due settimane si stanno svolgendo, in Russia, i Mondiali di Calcio seguiti con entusiasmo da tutta la popolazione del globo. Effettivamente, questa ricorrenza, per i più grandi interessati e non solo, avviene una volta ogni quattro anni, dove le squadre nazionali si sfidano a colpi di girone.
Oltre a giocare a pallone, si possono scoprire un sacco di storie dietro i Paesi che le squadre rappresentano, donando a ogni Stato una differente prospettiva allo spettatore.
Vi sono esempi insoliti di incontri culturali, di tifoserie, appartenenti a mondi completamente diversi ma che per una volta nella loro vita si sono seduti sotto lo stesso tetto (o sopra lo stesso campo da calcio).
Indifferenti a come potrebbero sembrare all’occhio dell’altra parte, ogni singola famiglia esterna il proprio “tifo” esprimendo serenamente la propria identità culturale.
C’è chi trattiene impassibile la propria rabbia o felicità con sguardi freddi verso l’avversario e chi intona cori folcloristici accompagnati da strumenti.
Due realtà e due dimensioni che si uniscono e si provano a capire o odiare.
Il fascino del mondiale deriva sicuramente dal fatto che a differenza del mondo reale e dei mercati, dove vince chi ha più soldi, dove vige la legge del più forte, si ha la possibilità in quei novanta minuti, dentro il rettangolo verde, di far succedere di tutto, anche che Davide batta Golia.
Indubbiamente, possiamo ritrovare le radici di questo ragionamento, su più vicende storiche calcistiche, ogni volta affrontate all’interno dei mondiali.
Basta pensare al 1986, dove Maradona con “la mano de Dios” fece vincere l’Argentina contro l’Inghilterra e allo stesso tempo salvò l’onore degli Argenti morti delle isole Falkland, vittime dell’invasione degli Inglesi.
Il popolo argentino, dietro un pallone, ha ridato dignità ai morti caduti quattro anni prima.
Allo stesso modo, ma con tono meno rivoluzionario, possiamo pensare a un’Islanda la cui popolazione con solo di 300 mila abitanti è riuscita a inviare nello spedizione mondiale i 22 calciatori che hanno tenuto stoicamente testa alla favorita Argentina di Leo Messi.
Basti pensare che il portiere Halldorsson solo da due anni ha smesso di fare il cameraman per una società televisiva.
L’Iran, in egual modo, ha rappresentato la sua rivoluzione dall’interno: per la prima volta le donne sono potute entrare allo stadio grazie anche allo slogan “Let Iranian women enter the stadiums”, che ha fatto il giro del mondo e ha iniziato questa protesta in tutti gli stati internazionali.
Questa conquista è un enorme cesura storica e sociale: l’ennesimo passo avanti per l’uguaglianza di sessi in paesi radicalizzati.
Probabilmente, rendere parte la popolazione di una cosa così semplice come guardare una partita, porta con se un sentimento umano che accoglie il cittadino e lo fa sentire proprio.
Piccole e grandi rivoluzioni caratterizzano i cambiamenti e rendono giustizia a progressi semplici che non sono portati da discussioni diplomatiche.
Sono passi avanti, che una popolazione si sente tenuta a fare, portando dietro con sé solo il proprio senso di appartenenza.
Poi dite pure che è solo un gioco!
Giulia Olivieri
Lorenzo Balma