<<(…) Chi sa fare sa capire>>
<<Ma che cazzo di proverbio è?!>>
<<Non è un proverbio, Giacomo: è la vita>>
Si spera che questo scambio di battute da Chiedimi se sono felice (2000) possa essere percepito come la chiave di volta del nostro discorso. Domanda: è possibile far rinascere le maestranze ed i gruppi di forza culturali all’interno di un contesto temporale ed artistico come il nostro?
Secondo Mario Praz (1896–1982) l’artista moderno “è un uomo libero, libero fino al punto di non sentire neanche il bisogno d’imparare il suo mestiere.” Cercare di nascondere il fatto serve a poco: senza la disciplina niente va avanti. Si è altrimenti come il vino gettato nell’acqua, un rivolo che si perde in una vastità più grande senza lasciare nulla di resistente.
Non esiste l’Io senza un Noi proprio come non esiste il linguaggio senza una collettività che lo crei, l’elabori e ne faccia uso. L’arte del passato era un surplus estetico, semantico, essenziale nel suo essere punto centripeto e sinergico di tante espressioni collettive.
Un contadino spagnolo poteva guardare una Madonna del Murillo (1618-1682) proprio come un nobile e sapere che la figura rappresentata, per il modo e l’approccio del pittore, era un modello con cui lui era cresciuto e vissuto. Diverse erano naturalmente le ricezioni dell’opera a seconda dell’estrazione ma uomini di due ceti diversi trovavano nel simbolo e nello stile del loro tempo una convergenza di affetti, significati e stili: un’unità d’intese psicologiche, subliminali, sociali.
Zeitgeist è parola d’ordine e base per la ricerca all’interno dell’espressione artistica: senza un fallo o un simulacro di Dioniso attorno a cui danzare incoscienti come si pensa che le Baccanti potessero compiere prodigi fuori dall’umano?
Leonardo era Leonardo come Michelangelo era Michelangelo. Ma senza l’ambiente fiorentino, la bottega del Verrocchio per il primo ed il giardino di San Marco per il secondo, come si spiega il trampolino, la base di partenza per l’esperienze di quelle menti così eccelse e debordanti?
Tra i ragazzi interessati all’arte in senso pratico di oggi deve sorgere la comprensione di un fatto ben definito: perché ci sia un superamento in fatto di qualità, ci deve essere una costante frizione nella tecnica e nel contenuto rispetto ad una coscienza pregressa. La libertà tende sempre all’obesità.
Ciò che Alexandr Dugin ha detto per la politica di recente si può perfettamente riassumere dire per l’arte: Follow the Logos, con l’invito di recuperare la conoscenza pratica della tradizione del proprio contesto e di non lasciarsi ingannare dall’assenza di strutture dell’approccio moderno.
Se tutta l’arte si riduce a schizzi e inorganicità varie usate per dare “significati” esistenziali e solipsisti, allora state certi che la gente l’odierà. L’arte deve farsi espressione sincretica di soggettivo ed oggettivo se vuole sopravvivere. L’affettatezza potrà essere da collezionisti ma non è certo utile quando si tratta di far riaprire l’esperienza estetica, emotiva ed esoterica della gente su cui anni di pittura guasta ed cerebrale ed una cultura debole e dolciastra sembrano aver steso la calce viva.
Il compito degli artisti di oggi è quello di riscoprirsi come confratelli, eredi di un contesto e di una tradizione che può e deve fronteggiare l’esterno: proprio come i militari, i religiosi, i criminali, mestieranti di vario tipo. Scavare nel passato proprio come nei propri sensi porterà loro beneficio, anche a costo di incomprensioni e iniziali porte chiuse in faccia.
Che le loro menti e le loro botteghe siano come il Monte Athos o Santa Cruz del Islote poco importa: ciò che conta è l’obiettivo, la responsabilità morale e sociale che loro dovranno far tornare alla luce e di cui si dovranno caricare.