Il civico 21

Al civico 21 di via Mariano d’Amelio a Palermo ora c’è un albero. Da ventisei anni è spontaneamente diventato un simbolo, grazie ai cittadini e ai passanti, mai lì per caso, che lo allestiscono con dediche, doni o pensieri. Sì, perché al civico 21 di via d’Amelio esattamente ventisei anni fa era appena sceso dalla macchina Paolo Borsellino, andato a trovare sua madre come da tradizione della domenica con al seguito, come sempre, la sua scorta.

Erano le 16.58 quando nel silenzio e la tranquillità di una domenica pomeriggio, come racconta Antonino Vullo, l’unico agente sopravvissuto, la via fu inghiottita da un’assordante esplosione e un’enorme fiammata. Una Fiat 126 rubata e riempita di esplosivo era saltata in aria lasciando dietro di sé sei corpi dilaniati e sparsi sull’asfalto. Da quel giorno l’albero al civico 21 di via d’Amelio ricorda le vittime di una strage avvenuta solo ventisei anni fa, il 19 luglio 1992: il magistrato Paolo Borsellino e cinque uomini e donne della scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi.

Dopo l’esplosione via d’Amelio sembrava essere stata teatro di una guerra atroce e sanguinaria: sulla strada c’erano ovunque pezzi di carne umana e resti di automobili in fiamme e asfalto. A qualcuno vennero in mente i bombardamenti aerei di cinquant’anni prima e si tappò forte le orecchie tremante di paura. Solo poco dopo tutti si resero conto di ciò che era realmente appena accaduto: il condannato a morte dopo 57 giorni era stato ucciso.

In effetti l’idea della guerra non era poi così lontana dalla realtà. Quella che Paolo Borsellino aveva combattuto al fianco di Giovanni Falcone e poi da solo negli ultimi due mesi era una vera e propria guerra alla mafia, dove certamente non erano mancati morti e contrattacchi. La gente sembrava avere sempre più paura e lo Stato aveva nascosto bene l’abbandono sempre più evidente del magistrato, che dopo la morte del suo caro amico e collega si era ritrovato a tentare di fuggire dalla sua condanna a morte, senza mai smettere di lottare per quello che non solo era il suo lavoro, ma la sua intera vita.

D’altronde Paolo Borsellino lo aveva detto proprio poco tempo prima di morire: «Mi uccideranno, forse saranno mafiosi a farlo materialmente ma altri avranno voluto la mia morte».

La mafia, in fin dei conti, faceva un po’ comodo a tutti, ma adesso sembrava avesse smesso di avere quest’effetto sulle persone, sui cittadini che pieni di paura e affogati da e nell’omertà si erano visti uccidere nelle loro città sotto i loro occhi uomini onesti, padri di famiglia, ma soprattutto simboli. La gente si chiese chi avrebbe portato avanti la lotta, ora che sembrava morta con Borsellino, e decise di scendere in piazza, di avere coraggio. Ecco cosa quest’ultima morte era stata in grado di fare, ecco cosa Paolo Borsellino, ultimo nome di una lunga lista, è stato in grado di fare anche da morto.

Martina Moscogiuri

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