Il razzismo è una cosa seria

“Non credo ci sia un allarme razzismo, si sta usando questo argomento perché chi vuole sentirsi di sinistra, e non lo è più, lo usa per accusare Matteo Salvini di essere di estrema destra”. Queste sono state le parole di Luigi Di Maio, vicepresidente del consiglio dei ministri, in risposta ai recenti episodi di razzismo e al comportamento non esattamente istituzionale del Ministro dell’Interno.

Quest’ultimo, oltre a dichiarare che “non esiste alcun problema di razzismo in Italia”, si è lasciato scappare l’ennesimo infelice post sui social:

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Tanti nemici, tanto onore. Con un mirino, su di Lui (che con un po’ di sana malizia potremmo scambiare per una croce celtica, ma questo è solo un lapsus freudiano).

Ora, credo sia necessario fare due precisazioni prima di procedere:

Razzismo: Concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la ‘purezza’ e il predominio della ‘razza superiore’. (Enciclopedia Treccani)

– Fascismo: 1. Il movimento costituitosi in partito nel 1921 e trasformato in regime di governo dittatoriale in Italia tra il 1922 e il 1943; estens., ogni regime politico di destra a carattere totalitario. Es. “il f. di Pinochet”.
2. Dottrina e prassi politica fondata sulla violenta e indiscriminata affermazione di motivi nazionalistici e imperialistici, sulla presunta loro adeguatezza a superare e armonizzare i conflitti economici, politici e sociali, e sull’imposizione del principio gerarchico a tutti i livelli della vita nazionale; estens., qualsiasi concezione della vita politica e dei rapporti umani e sociali basata sull’uso indiscriminato della forza e della sopraffazione. (Enciclopedia Treccani).

Teniamo a mente questi concetti, per ora tratteniamoci dal blaterare alcunché, ricacciamo un attimo la bile d’odio che ci sale per non star ancora esprimendo la nostra opinione, tra pochissimo potremo farlo.

Cito testualmente un pezzo di un articolo di Giulio Cavalli, apparso su Left oggi, 31 luglio: “Provo dolore, solidarietà e sgomento per Daisy come per gli immigrati del Mali colpiti a Caserta da ragazzi che inneggiavano a Salvini, come per Bouyagui, il cuoco malese colpito a Napoli da un fucile ad aria compressa, come per i due nigeriani colpiti in due giorni diversi a Forlì da colpi ad aria compressa, come per il gruppo di nigeriani colpiti a Latina mentre aspettavano il bus da una pistola ad aria compressa uscita dal finestrino di un’auto, come per la bambina rom colpita da un pallino e che rischia di non poter tornare a camminare, come per il richiedente asilo colpito a San Cipriano D’Aversa, l’operaio capoverdiano colpito in provincia di Vicenza, come il marocchino morto dopo il pestaggio di qualche giorno fa a Aprilia, come il barista pestato a Partinico. Solo per citare i casi avvenuti negli ultimi cinquanta giorni. E come gli italiani all’estero quando loro erano i negri di qualcuno.”

E Soumaila Sacko.

L’Italia non è mai stata il paradiso dell’integrazione, non siamo mai stati un paradiso in generale. La realtà di uno Stato, soprattutto se presenta qualcosa come 60 milioni di abitanti, è troppo complessa da ridurre, come fanno costantemente gli esponenti di questo governo (ma anche di precedenti, sia chiaro), a schemi prestabiliti come “gli italiani queste cose non le fanno”, o “siamo un popolo che – aggiungere caratteristica positiva o negativa –“. Questi sono discorsi che si possono fare tra amici, in famiglia, sull’autobus. Lasciano il tempo che trovano. Dei ministri, dei rappresentanti dello Stato, non possono.

Se questa è la base per un castello di barbarie (linguistiche e ideologiche) che alimenta odio e divisione sociale, per quanti discorsi circa la definizione di ciò che sta accadendo oggi in Italia si possano fare, è evidente che più di un problema esista.

È ora che si dica: in Italia è riemerso prepotentemente un sentimento latente di razzismo e – per alcuni individui – di filo-fascismo, seppellito neanche troppo bene da tempo. Le parole sono importanti e bisogna utilizzarle per quello che sono.

Se immigrato diventa sinonimo di persona di colore, di criminale a priori, si sta facendo del razzismo. Se quando nel giro di due giorni un’atleta viene aggredita violentemente, un uomo viene assassinato brutalmente e un ragazzo viene allontanato da una ASL intimato di andare dal veterinario e l’unico comun denominatore tra queste persone è il colore della pelle, si parla di razzismo. Se un fascista – non lo dico io ma lui stesso – prima delle elezioni va in giro per Macerata a sparare a persone specificatamente di colore, si parla di razzismo.

Il razzismo non è una chiacchiera da bar, non è oggetto di tifo da stadio, non può essere rivendicato da nessuno, non è un diritto esprimerne un’opinione a favore, semmai è una violazione del diritto stesso. Il razzismo non è nemmeno un’opinione, è una melma putrida in cui siamo dentro fino al collo. Il razzismo è una cosa seria ed è ora di capirlo per davvero.

Claudio Antonio De Angelis


SITOGRAFIA

Foto di Eleonora Fiumara

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