Un saggio baffuto a suo tempo scrisse una frase molto importante riguardo ai rapporti tra i sessi: ‘Della donna (…) non si deve parlare che agli uomini’. Solo tra di noi, infatti, ci si può realmente confrontare per indagare tattiche, approcci, strategie, arabeschi e battute da sfoderare in presenza del gentil sesso.
L’uomo è Logos e Identità quanto la donna è Pathos e Relazione: questo ci porta a capire che soprattutto nella sfera comune le confidenze, le coscienze e i consigli possono germogliare in azione per comprendere come agire nei confronti dell’Altro.
La Natura è sempre fedele a se stessa così come lo sono gli Archetipi che sovrastano le relazioni, gli immaginari, le simbologie, gli inganni, le sfumature che uomini e donne hanno fomentato per secoli.
Il grande pericolo però è l’inganno d’amore, il momento in cui gli altarini vengono scoperti insieme all’illusione e il bluff che l’amante concepisce nella sua mente. Molto spesso non si ama la persona ma solo ciò che noi abbiamo creato e sovrapposto a questa. Ciò porta alla fine di tante relazioni e molti matrimoni ma di certo non manca di ispirare chi ha il genio per la scrittura.
Immaginiamo quindi, come gioco della fantasia, che due grandi della letteratura siano stati amici intimi e abbiano parlato proprio di questo:
Lettera di Giacomo Leopardi ad Henri Beyle (Stendhal):
Carissimo signore,
io la so lontano come i miei giorni fiorentini. Le sue lettere m’han dato animo. Ho veduto ch’ella è un signore da sopportarmi e perché vedesse quant’io confido nella bontà sua, ho fatto in modo che le arrivi un mio manoscritto. Lei vedrà in quelle pagine le tracce di una mia passione passata ed estinta. Talora il sembiante della mia amica (1) non tardava a tornarmi dinanzi, lampeggiare in altri volti, per campi, per il dì sereno, nelle stelle stesse. Mia delizia ed Erinni! Come creator del mio stesso inganno, ho tessuto nella mente una rete, una eccelsa imago proprio come soglion far gli amanti e a cui sorge di rado l’ingegno femminile. La donna non pensa né comprender potrai ciò che inspira in noi. Eppure, ora son libero dall’incanto, ho sparso a terra il giogo: onde m’allegro. E su l’erba di questa Napoli il mar, la terra e il ciel miro e sorrido. Spero col cuore che il mio testo le rechi piacere e diletto: le auguro le cose migliori e m’auguro che non dimentichi questo suo amico italiano che la pensa e l’ammira.
Napoli, 1834
Lettera di Henri Beyle a Giacomo Leopardi
Carissimo,
i nostri pensieri devono essere soggetti ad un’insolita sincronia. Ho avuto solo da poco il piacere di conoscervi eppur sento la nostra vicinanza rafforzarsi. Le nostre conversazioni hanno aperto un vaso di idee che fa piacere sentire come il contrasto della migliore musica. Si sente che devo farvi inviare molti altri miei testi per provare ciò che sto dicendo. Ho ricevuto il vostro manoscritto: ebbene, posso affermare che avete cristallizzato in maniera più che sublime. Eppur siete riuscito a ritrovare una visione vergine sotto la scorza luminosa del vostro idolo che vi aveva assoggettato alla malattia dell’anima detta ‘amore’. La vostra Aspasia è figlia dello stesso processo che nelle miniere di Hallein presso Salisburgo, ammanta di cristalli i rami secchi dell’inverno. Voi stesso amico mio avete messo in moto quest’opera di trasfigurazione suprema. Avete visto la vostra donna non com’era ma come vi conveniva che fosse. Questo gioco d’Amore sarebbe stato peraltro povero d’effetto su di me qualora fossi stato presente nel momento dell’incantesimo. Io avrei visto solo il riflesso dei sentimenti sul vostro volto e non lo splendore che così bene avete cantato. Io mi diletterò a rileggere queste vostre opere in attesa di scendere a Roma dove mi attendono le rovine e certi amici di cui abbiamo abbondantemente discusso. Vi faccio i miei saluti più calorosi in attesa della vostra nuova lettera se non del nostro prossimo incontro.
Torino, 1834
- Fanny Targioni Tozzetti