“Mi accompagneresti? Non conosco bene quel posto, non so come comportarmi… E poi… Poi ho paura di annoiarmi.”
“D’accordo, bello: andiamo!”
Così io e Folco salimmo a bordo della mia Mini: erano le tre e tre quarti di un anonimo pomeriggio primaverile, il vento scuoteva appena i rami degli alberi e il sole splendeva placido, senza disturbare. Non frequentavo Alessandra da molto tempo, e non riuscivo a capire perché avesse insistito tanto affinché assistessi a uno dei suoi allenamenti. Non so bene quale fosse il nome dello sport che praticava, ma – per intenderci – si trattava di quella disciplina in cui l’atleta – o danzatore? – si aggrappa a un lungo telo appeso al soffitto ed esegue a mezz’aria una serie di volteggi, talvolta dolci talaltra bruschi. Ho visto simili esibizioni sia al circo sia nelle discoteche: penso che sia una disciplina dal fascino piuttosto trasversale.
La palestra era composta da una sala molto ampia, con le pareti ricoperte da specchi; era pulita e luminosa: nel suo ordine perfetto, dava quasi l’impressione di essere stata appena sterilizzata. Io e Folco ci sentimmo subito a disagio: le nostre scarpe, i nostri pantaloni e persino i nostri cappotti sembravano troppo logori, dimessi e stropicciati. Fummo attraversati dalla scomoda sensazione di essere putride mosche sfracellate sopra una tela immacolata. Nella sala, oltre a noi e ad Alessandra, si trovavano Tania – cioè l’insegnante – e altre due allieve. Una delle due aveva un sedere così pieno e sodo, che Folco non riuscì a evitare di strabuzzare gli occhi come un folle personaggio dei Looney Tunes. Fu sul punto di attirarsi in un baleno repulsione e denuncia. Mi pare che quella ragazza si chiamasse Debora: sì, si chiamava Debora, e lo ricordo perché quando Alessandra me la presentò provai un certo stupore. Non chiedetemi perché, ma io ero convinto che si chiamasse Eleonora. O forse Gisella. Sì: se mi trovassi al bar con gli amici e fosse giunto quel momento ad alto tasso di testosterone frustrato nel quale la volgarità maschile si riversa su qualsiasi esponente dell’altro sesso, una qualsiasi Gisella-dal-culo-magnifico potrebbe facilmente diventare la protagonista di un dibattito tanto euforico quanto alticcio. Poco importa, ad ogni modo.
L’allenamento sarebbe durato due ore: quando capii che avrei trascorso la maggior parte del tempo con il collo dolorosamente piegato verso l’alto, mi maledissi senza troppo ritegno. Mi maledissi, ma pensai anche che una bella trombata avrebbe ben pareggiato i miei sforzi.
Mentre seguivo piroette, evoluzioni e correzioni cercando di lasciarmi coinvolgere, notai che Folco non stava osservando le ragazze: nemmeno Debora. Fissava un punto leggermente superiore al margine più alto degli specchi che rivestivano le pareti: immobile, assorto.
“Che c’è?”, gli sussurrai.
“Come?”
“Che c’è? Che stai guardando?”
“Ah…”, rispose con voce incerta.
Lo scrutai per qualche istante, ma poi mi arresi, perché sapevo bene a quale livello d’indifferenza potesse assurgere Folco. Alcuni lo bollavano ironicamente come uno-che-dorme-in-piedi.
Mentre l’allenamento proseguiva, io continuavo a pormi domande dal sapore filosofico: mi chiedevo, ad esempio, se lo sforzo che stessi sostenendo con la prospettiva di ottenere una trombata mi rendesse un utilitarista o un edonista, e mi chiedevo anche se rincorrere in maniera tanto puerile qualche fugace attimo di urla e sudore mi rendesse un uomo poco intelligente o una semplice bestia.
Nel frattempo, Alessandra aveva raggiunto il punto più alto del telo appeso al soffitto: stava per lanciarsi in una lunga sequenza di morbidi volteggi, quando… SBRANG!
In un unico istante, il climatizzatore appeso poco sopra agli specchi cadde rovinosamente a terra, e il tonfo violento spaventò tutti: Alessandra, impaurita, perse l’equilibrio, precipitò e – come si sarebbe saputo in seguito – si ruppe una falange.
Quando rivolsi il mio sguardo a Folco, quel vecchio bastardo stava ridendo. Aveva fissato per tutto il tempo il climatizzatore, e ora stava ridendo!
Mi fissò e mi disse, beffardo: “Non dimenticare mai che, come sentenziò un calvo saggio, a volte dorme più lo sveglio che il dormiente.”
Oggi, ossia quindici anni dopo, io e Alessandra siamo marito e moglie. Folco, invece, vive a New York: fa il comico in un night, e pare che abbia pure successo. Non credo che ai suoi spettacoli si vedano facce annoiate.