È il 26 novembre 2018. 77 anni, 8 mesi, 10 giorni dopo la sua nascita si spegne a Roma Bernardo Bertolucci. Un brivido freddo attraversa la schiena di cinefili e non. Un altro pilastro del Novecento cade. La nostalgia prende il sopravvento e ci spinge a guardare, anche solo per un attimo, al passato.
La biografia del regista emiliano è densissima di eventi, incontri, intrecci con la Storia. Un articolo solo non sarebbe sufficiente a raccontarla. Ci sono, però, due fatti che vanno tenuti a mente per capire perché il cinema di Bertolucci è stato quel che è stato: l’incontro con Pasolini e l’essere figlio di Attilio Bertolucci, un importante poeta italiano. Il padre ha condizionato sicuramente in giovane età il percorso del figlio Bernardo, che artisticamente nasce infatti come poeta. L’incontro con Pasolini, invece, lo inizia alla Settima Arte, alla quale si dedicherà per tutta la vita, senza lasciare mai da parte la sua provenienza letteraria.
I film di Bertolucci
Il suo primo lungometraggio, “La commare secca”, è infatti d’ispirazione tipicamente pasoliniana, oltre al fatto che fu lo stesso Pasolini a scriverne la sceneggiatura. Dai suoi film successivi inizierà a emergere la poetica tipica del cinema di Bertolucci, a partire dal suo primo capolavoro internazionalmente riconosciuto, “Il Conformista”.
La Storia d’Italia, l’ispirazione letteraria – il film è tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia –, le vicende intime e personali di un personaggio per raccontare la complessità sociopolitica della (sua) modernità sono alcuni dei leitmotiv che ritroviamo durante tutta la carriera del regista. Con questo film Bertolucci produce una riflessione precisa e spietata del Belpaese e del suo rapporto con il ventennio fascista, dopo aver trattato gli anni ’60 in “Prima della rivoluzione” e “Partner”.
Se con “Il Conformista” era uscito dall’indifferenza e aveva attirato le prime serie attenzioni della critica e del pubblico su di sé, dopo “Strategia del Ragno” (1970) è con “Ultimo Tango a Parigi” che Bertolucci raggiunge la fama mondiale, anche per le intricate vicende giudiziarie legate alla censura e allo scandalo riguardante Maria Schneider, l’attrice che affiancò Marlon Brando. La libertà estrema, sia nel tema che nella messinscena, fa di “Ultimo Tango a Parigi” un film spartiacque sia della poetica del regista che del cinema italiano.
5 anni dopo è il turno del monumentale “Novecento”, un film maestoso che racconta i primi 45 anni del ‘900 italiano attraverso le vicende di due ragazzi nati nello stesso giorno del 1900 nello stesso luogo, ma in due contesti sociali totalmente differenti, uno padrone e l’altro sfruttato. Le sue 5 ore di durata non rappresentano un enorme problema una volta iniziata la visione, né hanno rappresentato un limite eccessivo alla sua distribuzione e conseguente successo.
Nel 1987 dirige “L’Ultimo Imperatore”, altro film di impatto planetario, vincitore di 9 Oscar e dotato di una epicità nella narrazione e nella messa in scena magistrale. “L’Ultimo Imperatore” si staglia insieme a “Novecento” come l’altro suo film più epico, per quanto poi nel tono si rifaccia a delle tecniche narrative più postmoderne che epiche.
Negli anni successivi realizza una serie di altri film, con meno risonanza de “L’Ultimo Imperatore” – anche perché sarebbe stato difficile averne di più – ma tuttavia non meno interessanti, “Il tè nel deserto” (1990), “Piccolo Buddha” (1993), “Io ballo da sola” (1996), “L’assedio” (1998).
Nel 2003 dirige l’ultimo film ad avere un impatto importante sul grande pubblico, si tratta di “The Dreamers”, in cui torna alle tematiche già affrontate a inizio carriera, oscillando tra il ’68, la politica e l’Eros. La malattia poi lo costringe ad abbandonare la macchina da presa per un po’, fino ad arrivare al suo ultimo lavoro nel 2012, “Io e Te”, tratto da un romanzo di Niccolò Ammaniti.
Le controversie
Come molti giganti della storia dell’arte – non ultimo il suo amico Pasolini –, Bertolucci è stato un personaggio ricco di ambiguità e situazioni particolari. Una su tutte, la più famosa e discussa, riguarda la famigerata “scena del burro” in “Ultimo Tango a Parigi”. Eviterò di soffermarmi sulla vicenda, è di dominio pubblico quasi più dei suoi film in ogni caso, né mi interessa dare un giudizio morale sul regista o emettere sentenze etiche – anche perché, d’altra parte, che autorità avrei per farlo? Mi limito però ad avanzare una considerazione mainstream ma per me fondamentale, se dovessimo analizzare le vicende personali degli artisti nella storia (e qui si parla del Novecento, siamo fortunati, più si va indietro più si scoprono nefandezze d’ogni genere), quanti di loro ne uscirebbero “puliti”? Siamo qui per parlare di arte e, in questo momento, per elogiare uno dei più grandi registi della storia del cinema, non per fare le curtigghiare (termine siciliano che sta circa per pettegole, ma con accezione più negativa).
L’eredità
Quella che Bernardo Bertolucci ci ha lasciato è più di una semplice filmografia costellata di gemme più o meno preziose, ma un modo di raccontare il mondo e l’essere umano unico, mai sterile o eccessivamente serio. Una sorta di Fellini realista nella messa in scena, un Pasolini scanzonato nella descrizione della realtà sociale, un Truffaut che ha parlato troppo con Godard nella scrittura e un Hitchcock un po’ brillo nella realizzazione dei suoi film. Con Bertolucci se ne va una delle eredità più importanti del secolo scorso, sta a noi raccogliere e preservare la sua arte e farci ispirare per creare qualcosa di unico nel futuro, ripensando sempre a ciò che Bernardo è riuscito a fare semplicemente sbirciando dal buco di una serratura.