Il film più famoso di Liliana Cavani è stato concepito in un periodo abbastanza particolare: quegli anni ‘70 in cui si voleva esplorare il rapporto tra corpo, Eros e Kratos. Quello è il periodo in cui la regista, partendo da storie vere, l’interesse per la psicoanalisi e la Storia, concepisce con Italo Moscati il soggetto de Il portiere di notte.
Realizzato anche prima di Ultimo Tango a Parigi (1972) ma arrivato in sala due anni dopo l’opera di Bertolucci, il film della Cavani compone col film sopracitato una trilogia ideale cui va aggiunto Ecco l’impero dei sensi di Nagisa Oshima.
Questo asse Parigi-Roma-Tokyo dà subito idea della temperie culturale del periodo, delle sincronie messe in atto dai tre registi. La Cavani, contagiata dalle storie di tre sopravvissute ai lager, contatta dapprima Dirk Bogarde che accetta il ruolo ad una condizione: che ci sia con lui Charlotte Rampling.
I due s’erano conosciuti già sul set di La caduta degli dei di Luchino Visconti, girato nel ‘69. Subito entrati in confidenza durante quelle riprese, i due inglesi diventeranno i protagonisti del film sul nascere. La Cavani, che aveva pensato in precedenza a Mia Farrow, non deve nemmeno essere convinta: vedendo la Rampling nel loro incontro a Roma capisce subito che l’attrice è giusta per il ruolo.
Il film è girato nella Capitale in una palazzina vicino via Veneto, a Cinecittà e sulla Tuscolana. La produzione va a rilento a causa dei pochi soldi: si ferma infatti dopo le riprese delle scene in interni. Il produttore Robert Gordon Edwards, affezionato al progetto, riesce a vendere il girato per la distribuzione in Francia già in anteprima e permette così il trasferimento a Vienna della produzione per gli esterni.
La storia di Max, ex-nazista e portiere di notte dell’Hotel zur Oper di Vienna e di Lucia, deportata e moglie di un direttore d’orchestra, non può che urtare gli stomaci delicati: i due si sono amati nel campo di concentramento a loro modo giocando le carte della dominazione e della tortura.
Rivedersi dopo tanti anni nel ‘57 li fa letteralmente esplodere di passione. Sono però sotto il segno di Saturno: la morte è vicina e gli ex-commilitoni di Max, che vogliono distruggere tutte le tracce del loro passato saranno ben lieti di favorirla.
La fotografia livida di Alfio Contini sa come creare l’atmosfera fredda e piovosa, claustrofobica degli ambienti accostando il bianco, il grigio, il verde e l’azzurro sbiadito come colori dominanti; la musica di Daniele Paris sa come evocare sia il disagio che la stranezza ed il sospetto.
I due protagonisti sono eccezionali: la loro sintonia è completa, l’espressività precisa, il tonalismo raggiunge lo zenith. L’ambiguità, la sottigliezza, la sensibilità estreme di Bogarde sono un tutt’uno con il magnetismo della Rampling che recita col corpo e gli occhi soprattutto, capace di passare dalla bambina spaurita ad una gatta adulta che ricerca il piacere.
Film creatore di feticci, Il portiere di notte è figlio di un ambiente culturale che usava Freud, Hitler, Bataille, Sade mischiandoli al melodramma e discutendo sulle memorie dei totalitarismi così odiati della prima metà del secolo XX.
Si presta a mille interpretazioni politiche, esoteriche, religiose, psicoanalitiche. Ma per chi voglia distaccarsi dalle diatribe sulla rappresentazione del passato (che tanto hanno interferito col godimento di un film così bello), si tenga a mente che il film è anche una storia d’amore.
Come Lucia fa luce per Max anche noi dobbiamo saper usare la luce nel capire tutte le sfumature del film. Opere così non si avrebbe il coraggio di farle ai giorni nostri: godiamoci Il portiere di notte pensando che perfino chi si è scandalizzato e non lo ha amato ha provato a sua volta, come diceva Pasolini, una propria forma di piacere.