Oggi ho provato a spiegare in un post come è strutturato il percorso accademico degli studenti di medicina in Olanda, cercando di illustrare gli effetti di una simile struttura, e chiedendo agli italiani cosa ne pensavano. In mezzo ai vari commenti di persone favorevoli e contrarie, per ragioni differenti e più o meno argomentate, ho scelto i miei due commenti preferiti:
Il primo, semplice e diretto:
“ciò nonostante tutto il mondo fa richiesta di Medici Italiani. Perché?”
Io ho sempre e soIo sentito, al massimo, di annunci per pizzaioli italiani. Mai sentito di ospedali che cercassero medici italiani. Tendenzialmente è il contrario. Gli italiani cercano lavoro negli ospedali stranieri. E con oltre cento mila italiani che ogni anno vanno via dall’Italia, ci mancherebbe che almeno qualcuno non diventi persino primario. Dovremmo essere un popolo di imbecilli per non piazzarne almeno qualcuno in posizioni importanti.
Il secondo commento è più elaborato:
“Ma la verità è un’altra, cosa speri di imparare in 3 anni di medicina? Non a caso le competenze mediche di chi esce dall’università italiana sono le più richieste ovunque. Fate ridere quando denigrate il sistema universitario italiano solo per il gusto di farlo. È vero, ci sono i baroni, i raccomandati, ma se hai voglia e forza di volontà ti laurei tranquillamente.”
Così impegnato a elaborare, l’autore, che non si è nemmeno accorto che da nessuna parte si parlava di accorciare medicina da sei a tre anni, ma di dividerla in tre più tre, come pensavo fosse evidente persino dal titolo.
Ieri notte ho riguardato il film La Haine (L’odio). Quello che inizia con la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. A mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: “Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene.” Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio. Avete presente?
Mi fa sempre pensare tantissimo all’atteggiamento italiano di vantarsi della propria eccellenza pensando che questa sia la prova del fatto che in Italia, nonostante tutto, vada tutto bene (ci scrissi a riguardo qui: https://goo.gl/UfFS2Z).
Ma noi italiani siamo così. Siamo fieri della nostra eccellenza. Anche quando non è nostra. Lo siamo perché la sentiamo proprio nostra. Quando un italiano nel mondo fa qualcosa di grande, è come se la avessimo fatta tutti noi. Siamo una grande famiglia.
“In tutto il mondo invidiano la competenza e la conoscenza degli italiani”.
(Gli italiani a cui facciamo riferimento son poi gli stessi che poi apostrofiamo come “professoroni” e che insultiamo ogni volta che, esprimendosi, provano a darne prova, di quella competenza e conoscenza. E nel migliore dei casi gli diciamo di “starsene dove sono”).
La grossa differenza tra l’approccio italiano verso le proprie eccellenze a livello internazionale e quello degli altri Paesi è che negli altri Paesi, quando un connazionale è eccellente, le persone si congratulano con quella persona.
In Italia no. In Italia, quando un connazionale è eccellente, ci congratuliamo con noi stessi.
«Bel lavoro, Fabio, anche oggi un medico italiano ha salvato delle vite. Puoi andare a dormire ora.»
È come se quella scoperta, invenzione, intervento chirurgico, lo avessimo fatto noi con le nostre mani.
Siamo proprio una grande famiglia, in Italia.
Ogni merito degli eccellenti italiani all’estero è frutto di un lavoro di squadra.
Dove sarebbe andato quel tipo che è diventato primario in quell’ospedale in non-mi-ricordo-dove-ma-era-un-Paese-figo e ha fatto il primo intervento di chirurgia-non-so-cosa-ma-dal-nome-sembrava-difficile, se mentre ripeteva farmacologia,
mentre si laureava,
mentre entrava in specializzazione,
mentre non trovava lavoro in Italia,
mentre faceva le valige,
mentre lasciava la sua vita per trasferirsi all’estero,
mentre affrontava lontano da tutto le mille difficoltà,
mentre nonostante tutto raggiungeva la vetta,
senza sessanta milioni di italiano al suo fianco
intonandogli il coro “you’ll never walk alone”?
A proposito, siamo il Paese con più siti Unesco, ben cinquantuno.
La cui esistenza non ha ovviamente niente a che fare con noi e con la nostra esistenza, se non perché qualcuno deve esser legato il lontano nipote di chi lo è.
E, ancora più importante, siamo ben quattro volte campioni del mondo.
Senza aver mai indossato le scarpette da calcio.
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Altri post esterofili scontati del tipo “ma perché non te ne vai pure tu?!”:
– L’eccellenza italiana che tutti gli altri spostatevi (https://goo.gl/TiRr4u)
– Una questione di rispetto (yo) (https://goo.gl/gbc1u2)