Un’esperienza straniante: Maniac di Cary Fukunaga

Che cosa succede se un’intelligenza artificiale inizia a provare sentimenti e a soffrire di depressione? Un disastro, specialmente se quest’ultima è stata creata proprio allo scopo di curare disturbi psicologici. La mente – umana o presunta tale – rimane allora una matassa quasi inestricabile dinanzi alla quale persino un supercomputer finisce per smarrirsi nei suoi meandri oscuri.

Maniac è una miniserie statunitense di dieci puntate scritta da Paul Sommerville e da Cary Fukunaga e diretta da quest’ultimo (già regista della prima serie di True Detective). Pubblicata nel 2018 su Netflix, il soggetto è basato su un’omonima serie norvegese del 2014, che tratta di un ragazzo che vive perennemente in un mondo di fantasia e di sogni e in realtà è uno dei volontari di un trial farmaceutico. Ambientata in uno straniante passato futuristico, che mescola animazioni anni ‘80 in 8 bit a robot parlanti, Maniac è un viaggio nelle complessità della mente umana, ideato per metterne in luce tutte le sue fragilità e per mettere in dubbio la concezione stessa della realtà che ognuno di noi percepisce.

I protagonisti sono Owen Milgram (Jonah Hill), un giovane schizofrenico cresciuto in una famiglia molto ricca che crede di scorgere ovunque dei segnali che lo condurranno a salvare il mondo, e Annie Landsberg (Emma Stone) una donna depressa e dipendente da droghe che non riesce a superare la morte di sua sorella. I due si incontrano nei laboratori della Neberdine Farmaceutical dove si sottoporranno ad un trial clinico volto a curare qualsiasi disturbo psicologico: la sperimentazione, attraverso la somministrazione di alcune pillole e all’intervento manipolatore di GRTA, un’intelligenza artificiale che induce nei soggetti delle visioni che fanno rivivere i momenti più traumatici con lo scopo di superarli.

Qualcosa però va storto. GRTA inizia a soffrire essa stessa di depressione e le storie di Owen e Annie si intrecciano inspiegabilmente e indissolubilmente: è la nascita di un’amicizia, di una complicità, di un’affinità elettiva che porta i due a vivere in simbiosi gli scenari virtuali ricreati da GRTA.

Il profilo cinematografico al quale la serie si avvicina di più è forse quello di Inception (2010) di Cristopher Nolan, mentre sotto il profilo letterario il senso di straniamento e talvolta di frustrazione generato nel fruitore mi ha ricordato Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino; l’assurdo, il grottesco, l’incompleto sono elementi ricorrenti in tutte le visioni, come come nella storia portante.

Maniac è una serie straniante e che richiede allo spettatore molta pazienza e attenzione: bisogna attendere almeno tre o quattro puntate prima che la tensione narrativa raggiunga un livello accettabile per spingerci a guardare l’episodio successivo; la sua struttura diegetica è complessa e presenta diversi piani che, intersecandosi tra loro, mantengono costantemente lo spettatore in una posizione di inevitabile e inestinguibile dubbio: ciò che vedo è reale oppure no? Questa è la domanda che sottende probabilmente tutti i dieci episodi di Maniac: ciò che definiamo reale lo è davvero? Ma soprattutto: esiste una realtà più reale di altre?

Stilisticamente Maniac risulta a dir poco eclettica: le visioni indotte da GRTA spaziano da ambientazioni noir a quelle fantasy, dallo scenario della spy story a quello del racconto fantastico; il risultato è un pastiche di generi ben assortito che, sapientemente orchestrato, risulta comunque piacevole. La fotografia è molto curata e, in armonia con lo sperimentalismo stilistico, cerca sempre inquadrature ed effetti sorprendenti per l’occhio; stesso concetto vale per la colonna sonora, curata da Dan Romer, che propone musiche che mescolano elementi elettronici e futuristici con sonorità orientaleggianti.

Insomma, Maniac non è proprio un prodotto semplice da digerire: richiede certamente tanta pazienza da parte dello spettatore, ma sa anche ripagarlo in termini di divertimento se questo è avvezzo a esperienze narrative stranianti e grottesche. Last but not least: degne di nota le interpretazioni di Jonah Hill ed Emma Stone che riescono a dare credibilità e profondità a personaggi assai complessi, riuscendo nel complicato compito di farli apparire sempre differenti ma sempre riconoscibili nelle visioni indotte da GRTA.

Danilo Iannelli

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