L’apprendista stregone Michail Gorbaciov

[Nota: la corretta traslitterazione del nome Михаил Сергеевич Горбачёв imporrebbe di scrivere Gorbačëv, ma nell’articolo si preferirà utilizzare la più semplice traslitterazione Gorbaciov.]

Michail Sergeevič Gorbaciov viene eletto segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica nel 1985. Principale obiettivo delle sue direttrici politiche era produrre un’accelerazione economica, dopo la fase di stagnazione iniziata durante i sedici anni di segretariato di Leonìd Il’ìč Brèžnev e non migliorata durante i tre anni in cui si sono succeduti Jurij Vladimirovič Andropov e Konstantin Ustinovič  Černenko.

Da questa necessità nasce la parola d’ordine che lo ha reso celebre nel mondo, mutando poi da riorganizzazione di alcune funzioni e rapporti economici a indicazione di un cambiamento radicale nella situazione socio-economica: perestrojka (перестройка), ovvero ricostruzione, ristrutturazione. A esse se ne accompagnò un’altra, meno famosa ma altrettanto importante: uskoreniye (ускорение), ossia accelerazione. Era sì infatti vero che l’economia sovietica veniva considerata nel complesso molto forte, ma questi dati erano generati dall’enorme utilizzo di risorse per l’industria pesante, mantenuta sempre predominante rispetto a quella leggera. Era necessario riconoscere un po’ di benessere, sia pur con l’incapacità di distribuire equamente i beni. Aumentare la produttività tramite un’accelerazione era fondamentale per aumentare i salari senza sbilanciare l’economia, che però era interamente pubblica e statale, quindi difficile da ristrutturare in blocco. Un tipico esempio è lo scenario che conseguì alla liberalizzazione delle attività di ristorazione: i ristoranti privati offrivano servizi migliori, ma a prezzi più alti rispetto ai precedenti punti di ristoro, che continuavano così a essere frequentati dalla quasi totalità dei clienti.

L’Unione Sovietica produceva armi, ma importava materie di prima necessità come i cereali addirittura dagli Stati Uniti e dall’Argentina della tanto osteggiata dittatura militare. Si ipotizzò di richiedere prestiti dall’estero, che però non arrivarono, seppur altri Paesi contribuirono in altra maniera (si pensi al pagamento del cancelliere tedesco Helmut Kohl dopo il ritiro dell’armata sovietica dalla Germania dell’est in occasione della riunione della Germania).

Ci fu un ritorno al dibattito politico interno al partito, che condusse a un inizio di pluralismo. Nasce il concetto di glasnost’ (‘gɫɑsnəsʲtʲ), tradotto spesso con trasparenza. Finalmente si può iniziare a parlare dei problemi del Paese, e grande importanza viene data anche alle lettere inviate dai lettori ai giornali. Il pluralismo si riflette anche nell’economia: nasce il socialismo di mercato, per permettere alle aziende di farsi concorrenza al fine di aumentare la produttività. Vi è un tentativo di democratizzare il partito, rendendo evidente la presenza al suo interno di più correnti: Gorbaciov si poneva al centro, da una parte stavano coloro che temevano le riforme, dall’altra quelli che ne avrebbero voluto un’ulteriore accelerazione. Alcuni dei più accesi riformisti fuoriuscirono dal partito quando Gorbaciov deciderà di modificare non solo il partito ma anche la struttura statale, permettendo la formazione di nuove offerte politiche.

Viene istituito un organo denominato “Congresso” con importanti compiti legislativi e paracostituzionali, parte dei cui membri provenivano da altri enti statali, ma un’altra parte era eletta tramite voto democratico. Il Congresso avrebbe poi scelto tramite elezioni di secondo grado i quattrocento membri del Soviet supremo. Gorbaciov fu presidente del Congresso, e da lì fu poi nominato presidente del Soviet supremo, ritrovandosi di fatto a esercitare una carica di Presidente della Repubblica con poteri esecutivi.

Ci furono cambiamenti nei rapporti con i Paesi satelliti e con il resto del mondo (U.S.A., Cina, terzo mondo…). Con l’occidente si aprì una fase di collaborazione piena: grazie alle sue riforme interne Gorbaciov era divenuto un interlocutore credibile. Oltre che per la sostanza, la sua immagine veniva aiutata da tutta una serie di fattori contingenti: l’incontro con il Papa, l’annullamento della distanza tra il segretario del partito e il popolo, con tanto di strette di mano dispensate nelle strade, i racconti e gli aneddoti sulla sua vita privata, l’immancabile presenza della graziosa moglie Raisa (con la quale pare l’amore sia scoppiato grazie a una canzone napoletana, “Dicitencello vuje”). Nel 1988, in occasione del ventesimo anniversario del tragico 1968 di Praga ammise pubblicamente che fu un errore, chiedendo scusa. La nuova politica del Cremlino agitava i Paesi satellite: non tutti erano disposti a seguire il percorso di democratizzazione. Il più acceso detrattore fu il dittatore rumeno Nicolae Ceaușescu, che con Gorbaciov arrivò allo scontro personale.

In alcune delle Repubbliche socialiste sovietiche si iniziò ad abolire la quota di non eletti all’interno dei Soviet, dando così modo di entrare a membri dell’opinione pubblica, con la conseguente consacrazione dei movimenti nazionali (in Moldavia, per esempio, non si riuscì a festeggiare la festa federale del 7 Novembre perché i rappresentanti del movimento nazionale causarono incidenti. La richiesta era quella di sovranità, ma da lì al 1991 tutte le Repubbliche proclamarono la secessione (in alcuni casi anche con momenti di estrema violenza, come in Lituania). Dato che la stessa dirigenza federale stava attivando processi di democratizzazione, dal Cremlino non potevano arrivare forti risposte negative. Gorbaciov propone una nuova unione partita dal basso, mediante un referendum. Non tutte le Repubbliche aderiscono: i paesi baltici, Lituania, Lettonia ed Estonia, usciranno proclamando l’indipendenza senza passare per il voto referendario.

Uno dei principali limiti della politica gorbacioviana fu quello riguardante le libertà politiche, le quali si sapeva dove iniziavano ma non dove sarebbero andate a finire. Altro punto dolente fu il sostanziale fallimento della perestrojka, dato che al rilancio democratico non face eco quello economico: non ci fu una reale liberalizzazione e privatizzazione.

Alla stretta finale del ’90-’91 Gorbaciov si presenta in una condizione di debolezza. Nel cuore dell’Unione, la Federazione russa, un gruppo di politici fuoriusciti dal partito crea una lista che si presenta alle elezioni. Il candidato è Boris Nikolaevič  El’cin, molto più radicale del centrista Gorbaciov. El’cin vincerà le elezioni e da presidente della Federazione russa avrà un enorme peso.

Nel frattempo l’ala conservatrice del partito non aveva intenzione di lasciar fare, e decide di agire. Mentre in agosto Gorbaciov è in vacanza sul Mar Nero lanciano un colpo di stato contro la rifondazione dell’Unione. Si muovono alcune unità militari, senonché c’è un colpo di scena: non tutte quelle che avrebbero dovuto agire agiscono, il colpo di stato s’impantana. A cogliere la palla al balzo è El’cin, che parla stando su un carro armato, arringa la folla, appare in televisione insieme a un sottomesso Gorbaciov, che ormai appare evidentemente in una posizione di subordinazione. Il Partito comunista viene dichiarato fuori legge in seguito al fallito colpo di stato.

In autunno Russia, Bielorussia e Ucraina costituiscono una comunità di stati indipendenti. Sul Cremlino viene abbassata la bandiera sovietica e innalzata quella russa.

Gorbaciov si ritrova così segretario di un partito fuori legge e presidente di un’unione che non esiste più. Quando riproverà a presentarsi nuovamente alle elezioni raccoglierà la miseria del 1%, dimostrando ulteriormente di aver sempre goduto di una popolarità molto più alta negli altri Paesi del blocco e ancor di più in occidente che non in patria.

La parabola di Gorbaciov è quella di un apprendista stregone, non dissimile dal magico Topolino che nel lungometraggio Fantasia fa sortileggi sulle note di L’apprenti sorcier del compositore francese Paul Dukas. Proprio come il celebre personaggio disneyano Gorbaciov dà vita a un processo strabiliante, salvo poi non riuscire più a controllarlo e a rimanerne a sua volta vittima.

Paolo Palladino

 

Le informazioni riportate nell’articolo sono basate sulle lezioni del professor Francesco Guida, docente di storia dell’Europa centro-orientale presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università degli studi Roma Tre

 

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