Con l’eco della voce di Mentana ancora nelle orecchie dei maratoneti di Domenica notte, gli scrutatori che a tutt’oggi chiedono il documento d’identità alla gente quando passano per strada e il Lunedì di riposo di molte scuole e università, si sono concluse anche queste elezioni europee del 2019. Con l’avvento dei populismi, dei sovranisti, del cambiamento climatico e della Brexit certamente non si può dire non ci sia stato un forte interesse da parte dell’elettorato europeo. Infatti il primo dato veramente importante è quello dell’affluenza: più del 50% dei cittadini europei aventi diritto al voto si sono recati alle urne, invertendo il trend negativo che dal 1979 ha visto costantemente scendere il numero di votanti.
Oltre alla partecipazione, è importante vedere come la volontà popolare si è divisa nelle fazioni dei gruppi dell’euro parlamento con questa nuova tornata elettorale. Essendo elezioni europee l’analisi sul voto va svolta principalmente su due livelli: nazionale e di Unione Europea.
A livello nazionale, possiamo dire che la Lega ha dato prova di aver meritato il benestare di un sufficiente numero di italiani per classificarsi come primo partito del Paese con il 34% e il secondo più votato in Europa dopo il 52% di Orban in Ungheria. C’è da riconoscere al Capitano che perlomeno la campagna elettorale iniziata 14 mesi fa e proseguita senza interruzione ha dato i suoi frutti. Ci mancherebbe.
“Il primo gennaio è a Bormio in ferie, ma trova il tempo per improvvisare un’arringa in piazza. Il 2 gennaio fa una diretta Facebook in cui annuncia il suo imminente ritorno al lavoro. Il 3 invece è ancora a Bormio, a bere un Bombardino. Il 4 rientra, ma mica a Roma. Lungo la strada per il Viminale si perde per due giorni in Abruzzo, terra che incidentalmente stava per affrontare le elezioni Regionali. E dove Salvini visita il mercato di Chieti, incontra gente all’auditorium Cianfarani, passeggia su Corso Umberto a Pescara, si sposta a Montesilvano al Palacongressi, poi a Teramo e al mercato dell’Epifania all’Aquila. Tra migliaia di selfie e dieci comizi, riesce a incastrare un breve Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza in prefettura a Pescara. Il 6 cala su Roma, ma passa la mattinata in centro a stringere mani, cercando invano di raggiungere la piazza di San Pietro («era troppa la gente che mi fermava per salutarmi», dirà). Nel pomeriggio eccolo finalmente alla sua scrivania, per l’ennesima diretta Facebook. Che accompagna, con sprezzo del pericolo, al seguente messaggio: «Operativo anche oggi dal Viminale».”
[Dal servizio di Repubblica]
Secondo l’articolo di Repubblica, il Ministro dell’Interno è stato presente al Viminale solo 17 giorni dall’inizio del suo mandato. In compenso ha partecipato a 211 incontri in tutta Italia tra comizi elettorali, riunioni non istituzionali e feste di partito.
“È più facile incontrare il Ministro con il VinciSalvini sperando che sia lui a richiamare”
In ogni caso, parrebbe una tattica vincente dal momento che ha permesso alla Lega di affermarsi con un’ottima prestazione al primo posto. Una vittoria importante e storica ma che in realtà non riesce a raggiungere i livelli di consenso del Partito Democratico alle scorse elezioni europee: nel 2014 l’ex-premier Matteo Renzi riuscì ad aggiudicarsi ben 31 seggi all’europarlamento (40%) a fronte dei 29 di Salvini nel 2019. Toccherà capire se il nuovo Matteo avrà vita politica più duratura.
In tutto ciò, a tutt’oggi il PD ha l’aria di un automobilista nel mezzo del deserto con tutte e quattro le ruote a terra contento ed euforico per aver trovato casualmente un cerchione al lato della strada. Per quanto i numeri possano essersi alzati dal 4 marzo, rimane ancora una performance che non assicura un peso così sostanziale in un possibile scenario di elezioni. Riesce comunque a strappare 19 seggi con la nuova immagine del segretario Nicola Zingaretti, relativamente soddisfatto del risultato e guadagnando una vittoria del 40% in alcuni principali capoluoghi quali Torino, Roma, Bologna.
I veri eroi rimangono invece gli eurodeputati del Movimento Cinque Stelle: il partito è riuscito ad invertire in un solo anno i valori elettorali di Lega e Movimento portandosi al 17% da un 32% di quattordici mesi fa. Un debacle non da poco che porta Luigi Di Maio in una posizione di grande difficoltà all’interno del Consiglio dei Ministri e del suo stesso movimento.
“Come perdere 6 milioni di voti in poco più di un anno”. Il vento è cambiato troppo in fretta.
Questo naturalmente a livello italiano, dove l’euroscetticismo e il sovranismo hanno avuto indubbiamente la meglio. A livello Europeo, la situazione è tutta un’altra cosa: i gruppi con il maggior consenso sono quelli pro-europei dove in testa abbiamo European People’s Party (EPP), seguito da Socialists & Democrats (S&D) e Alliance of Liberal and Democrats for Europe (ALDE).
La maggioranza degli elettori (circa il 70%) si è dunque dimostrata favorevole ad un’Unione Europea più forte e presente per i cittadini, scongiurando il pericolo di una presa di posizione dei sovranisti (i quali hanno sì preso terreno ma ancora marginalizzati per poter pensare ad un ruolo diverso dall’opposizione). Sebbene in Italia, Francia e Regno Unito il primo partito sia sovranista ed euroscettico la totalità degli elettori ha dimostrato una differente volontà a livello continentale che sarà poi quella che delineerà la nuova formazione del Parlamento Europeo.
Anche nel Regno della Brexit il risultato può essere fuorviante: sebbene il Brexit Party di Nigel Farage abbia raggiunto e superato il 30%, considerando la somma di voti per Verdi, Liberali e lo Scottish National Party, (tutti pro-Europei) le elezioni europee hanno evidenziato che in tutto il Regno Unito la maggioranza dei votanti è a favore della permanenza all’interno dell’Unione, circa il 40%. Naturalmente queste sono Europee e non possono essere convertite direttamente in voti nazionali ma danno da riflettere. La sconfitta storica dei Conservative e la caduta dei Labour sono entrambe frutto di una politica mal gestita sulla questione dell’uscita, spesso troppo in contraddizione e confusi per dare la sicurezza di cui avevano bisogno di cittadini.
Per salvare la baracca, lo Speaker della House of Commons, John Bercow, ha dichiarato di voler restare come speaker durante tutto il processo della Brexit per permettere un indirizzo unitario al Parlamento laddove i Conservative auspicavano un suo abbandono, secondo procedure, per avere più possibilità per l’opzione hard Brexit.
Boris Johnson non è contento
Ma è indubbiamente un’altra la grande sorpresa di queste elezioni: The Green Party.
I Verdi sono riusciti ad ottenere ottimi risultati in Germania e Finlandia (secondo partito), in Irlanda, Olanda e Francia. A livello Europeo hanno raggiunto il 9.19% guadagnando ben 69 sedie, sopra il partito dei sovranisti che ne ha solo 53. Non un valore da ignorare, considerando che Popolari e Socialisti da soli non hanno ottenuto abbastanza voti per detenere la maggioranza da soli. La scelta potrebbe ricadere sui Liberali ma anche i Verdi non sono da escludere.
Gli effetti di Greta sulle persone.
Nel loro manifesto, i Verdi hanno elencato ben 12 punti dai quali vogliono partire per modificare l’Unione Europea, iniziando dalla questione ambientale, priorità assoluta naturalmente, passando per un’economia sostenibile ed un sistema di welfare che sinceramente negli ultimi anni è anche mancato in maniera sostanziale alla Sinistra dei Socialisti e che ora vede un calo di supporto in favore di questa nuova forza politica sparsa in tutti gli Stati Membri.
Il candidato per la Presidenza della Commissione del Partito del Popolo Europeo Manfred Weber ha dichiarato che “i verdi sono certamente un possibile alleato. Dovremmo sederci e discutere il mandato per i prossimi cinque anni”. Ma le carte in tavola sono state messe in chiaro dagli ambientalisti: “dovremmo vedere un’azione concreta, un prezzo sulla CO2, propriamente diminuendo l’aviazione e lavorando sull’agricoltura” ha dichiarato Bas Eickhout, il Membro del Parlamento olandese dei Greens e co-candidato per la Presidenza della Commissione.
La crescita del Green Party pone sicuramente le prossime politiche europee su un binario totalmente diverso e proiettato verso il salvataggio del futuro prossimo minacciato dal Cambiamento Climatico che oramai sta diventando un argomento globalmente sentito, in particolare dai giovani che vedono in pericolo le loro prospettive di vita. Purtroppo tale sentimento non è ancora universalmente condiviso, come dimostra la bassa percentuale che i Verdi hanno ottenuto in Italia, la quale rasenta il 2.3% e non arriva neanche alla soglia di sbarramento (perdonali Civati perché non sanno quello che fanno). Magri risultati se confrontati con il 20% in Germania, il 16% in Finlandia, l’11% nel Regno Unito. In Svezia e in Lussemburgo i verdi sono addirittura parte del governo.
Il Verde in Italia c’è ma di una tonalità sostanzialmente differente che segnala, tristemente, la possibilità di un percorso futuro che rischia di lasciare gli Italiani in una condizione di isolamento rispetto ad un sentimento di Europa aperta, inclusiva, ambientalista, progressista, di libertà e di Unione.
La speranza futura nel Bel Paese è di poter dare a quel colore un nuovo, diverso, migliore significato.