Le cose della vita secondo Claude Sautet

Ha un titolo italiano fuorviante, questo film di culto francese che apre gli anni ‘70: l’attenzione è concentrata troppo sul personaggio più radioso, oscurando tutti le altre figure che ruotano attorno al Pierre Berard di Michel Piccoli.

Les choses de la vie, tradotto come L’amante, non è la storia di un rapporto ma dell’intera vita sentimentale di un uomo, cui l’età non ha dato saggezza né dimestichezza con le proprie emozioni. È un cuore in inverno, come altri protagonisti che avrebbero fatto la fortuna di Claude Sautet (1924-2000), anche (e soprattutto) nella fase tarda della sua produzione.

Chi voglia apprendere scioltezza e disinvoltura nel ritrarre i fatti minimi della vita, l’attenzione per le abitudini, i riti del quotidiano, senza scadere nel basso naturalismo, deve per forza rivolgere lo sguardo a Sautet.

I suoi film sono fatti unicamente di rapporti e ambienti: pochissimi come lui hanno narrato il ceto medio così perfettamente, senza ideologie, raccontando con uno stile così terso e semplice al pubblico storie quotidiane eppur densissime di emozione e partecipazione.

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La narrazione di Sautet, pur al servizio di una storia densa di morte (perché questo è L’amante), non vacilla mai nella sua calma, nel suo essere calibrata, concentrata, diretta, con un odio viscerale per i virtuosismi. 

Il barocco qui non può essere di casa, soprattutto quando la camera segue i fatti precedenti la morte di Pierre Berard, lo mostra nel suo farsi duro, arido o impacciato con i suoi cari, insincero di fronte i sentimenti.

I ricordi emergono, mischiati verso la fine con il sogno, durante la dilatata sequenza di morte che nella strada verso Rennes ce lo mostra quale vittima inerte di un incidente stradale: ecco quindi la moglie Catherine da cui s’è separato, con il sorriso sommesso di Lea Massari; il figlio con cui tenta di riallacciare il rapporto con la promessa di un viaggio insieme; l’accenno al passato attraverso il tenero disegno fatto dal nonno nella casa di famiglia; l’amante Hélène (Romy Schneider), presenza luminosa, conosciuta per la prima volta ad un’asta e con cui va a convivere, per poi rovinare tutto e pentirsene.

A questo splendore di donna, innamoratissima ed elemento forte della coppia, Sautet dedica dei primi piani bellissimi, puntando al massimo sul fascino dell’interprete austriaca, sua fedelissima. 

A far da colonna sonora a questo amore stanno le musiche di Philippe Sarde, contributo non indifferente al successo del film: un po’ come accadde per Un uomo, una donna di Claude Lelouch (che non sfiora il livello di questo film), i brani della colonna sonora e la chanson d’Hélène divennero motivi di culto, perfetti commenti per una storia d’amore bellissima, di un cinema del passato che ora pare distante.

Antonio Canzoniere

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