Oggi vediamo un rapporto che si pone in antitesi rispetto ai due precedenti di Pizzuti e Cartabellotta, quello RBM-Censis.
In questo rapporto, il Direttore Generale e Amministratore Delegato della RBM Assicurazione Salute espone come il problema che oggi il Governo deve affrontare è la mancanza di una sanità integrativa diffusa, nello specifico deve sostenere la crescita del famoso “Secondo Pilastro”.
Come mai vi è questa divergenza di analisi con gli altri due rapporti? Molto semplicemente RBM afferma che è impossibile oggi sostenere il modello universalistico nella sua forma pura, in quanto l’aumento di malati cronici e l’allungarsi delle liste d’attesa dimostra come sia necessario formulare una forma alternativa per garantire a tutti le prestazioni sanitarie riducendo ovviamente i costi individuali. Questa forma alternativa secondo RBM è rappresentata proprio dal consolidamento del “Secondo Pilastro”, in quanto rafforzandolo, aumenta l’intermediazione delle assicurazioni sulle spese individuali. Per capire meglio basta leggere l’ultima riflessione fatta da RBM per capire cosa si intende: “Se in media infatti un cittadino finanzia l’85% delle cure private aderendo ad una forma sanitaria integrativa l’ammontare da pagare di tasca propria per le medesime cure scende al 33% perché quasi 2/3 della spesa sono rimborsati dalla polizza sanitaria a carico dell’assicurato”. Essendo impossibile ristabilire il modello universalistico, allora meglio tentare di “tamponare” il continuo aumentare delle spese singole dei pazienti per ottenere le prestazioni aumentando l’accessibilità alle assicurazioni.
Ora però va fatta un’osservazione. Tutto la riflessione di RBM si fonda sull’impossibilità appunto, di reintrodurre il modello universalistico, ma perché ciò sarebbe impossibile? Se osserviamo le ragioni che giustificano questa affermazione secondo RBM sono l’aumento di malati cronici e l’allungarsi delle liste d’attesa. In che modo l’aumento dei malati cronici renderebbe inevitabile l’aumento dei costi sanitari? O meglio è vero che negli ultimi anni sono aumentati i malati cronici sia per questioni ambientali che per questioni d’età, questo lo possiamo considerare un prezzo che paghiamo per il progresso e il miglioramento delle condizioni di vita. Considerare però questa situazione come inevitabile pare in contrasto con uno dei “principi” dietro alla ricerca medica e quella clinica, ovvero assumere che le malattie croniche possano solo essere trattate e non curate o prevenute. Detto questo quindi è impossibile affermare che l’incremento di malati cronici renda impossibile sostenere quello che è originariamente il modello del nostro sistema sanitario, soprattutto senza mai aver applicato una vera e propria proposta di prevenzione combinata a una più ampia collaborazione con la ricerca (in particolare basti pensare che queste azioni sono quasi universalmente riconosciute come necessarie per far fronte al problema del numero crescente di malati cronici, ma in generale è l’approccio che la medicina ha verso una qualsiasi malattia). In secondo luogo, sia per questa problematica che per quella delle liste d’attesa, è stato più volte invocata una riforma sanitaria complessiva che riorganizzasse il funzionamento delle strutture di prevenzione e controllo, il ruolo del medico di medicina generale che negli ultimi anni è stato ridotto a un semplice “compila-ricettario” e la funzione delle stesse campagne d’informazione sanitaria. Se questa questione fosse stata ad esempio anche solo affrontata o soggetto di dibattito allora si potrebbe mettere in discussione il modello universalistico, ma proprio come sottolinea Cartabellotta nella discussione del rapporto GIMBE, questo non è mai stato fatto, perché le forze politiche maggiori e quelle di governo hanno sempre accettato che il nostro SSN fosse ancora un’eccellenza, senza chiedersi per quanto fosse ancora sostenibile quest’eccellenza dopo riforme parziali e continui tagli.