L’idea del trio amoroso è assai cara al cinema francese. Truffaut con il suo Jules e Jim (1962) ha tracciato un esempio ed un solco così profondi che il ménage à trois è diventato un household concept, tema imprescindibile per chi vuole parlar d’amore.
La geometria è semplice: non resta che mettere ai vertici del triangolo dei caratteri interessanti, dei volti conosciuti e amati dal pubblico, purché serviti da un testo capace di emozionare su una base narrativa così sfruttata.
Gli esempi migliori di rapporti a tre si trovano in tree film culto francesi, lontani per stile ma non per obiettivi: César et Rosalie (1972) di Claude Sautet, La maman et la putain (1974) di Jean Eustache e I santissimi (1974) di Bertrand Blier. Si ha di fronte titoli di autori con il desiderio fortissimo di raccontare la società francese nel post-68, con l’accento posto sulle relazioni e i loro cambiamenti.
A distaccarli sta la presa di coscienza rispetto alla propria classe, la maman bourgeoisie: Eustache e Blier ne raccontavano lo sfaldamento di fronte alla modernità e alla libertà sessuale, il primo mostrando le solitudini individuali intrecciate, l’altro l’eversione e la goliardia picaresca di due outsiders.
Con Sautet lo sguardo coniuga la critica con l’affetto lucido: non si avrebbe altrimenti quella sua resa precisa dei rituali, degli incontri e rapporti quotidiani, nella calma stilistica con cui le inquietudini sono narrate senza sbavature.
Con César et Rosalie (1972) il regista proseguì il suo discorso sulle relazioni, che aveva ottenuto già grandi risultati (non solo al botteghino) con L’amante (1970). I due film devono aver in qualche modo eccitato la fantasia dei distributori italiani: se già L’amante era in originale Les choses de la vie, il film successivo viene portato in Italia col titolo È simpatico, ma gli romperei il muso.
Pur riprendendo una battuta del film, questo nome riporta semmai alla mente qualche prodotto della Wertmuller, non il conciso Sautet. Peccato davvero, anche perché questo gioiellino (visibile su Youtube) è uno degli esiti più felici della sua carriera, con una regia limpida e non invadente al servizio dei suoi attori e di una trama valorizzata dai dialoghi di Jean-Loup Dabadie.
Rosalie (Romy Schneider) è divorziata e ha una figlia piccola. Legata ad compagno più grande, César, che ha la simpatia ed il tocco sanguigno di Yves Montand, ha amato tempo prima l’ombroso disegnatore David (Sami Frey).
Ritrovatisi, i due vecchi amanti si rincontrano in toni amichevoli scatenando la gelosia di César. Per ironia, è proprio lui che li spinge con le sue azioni a rimettersi insieme. Dopo la loro fuga e un intermezzo nella città di Sète, César e Rosalie tornano una coppia ma lei ricade in depressione.
Per risollevarla, David è invitato da César a passare le vacanze estive con loro nel Nord. Notata l’amicizia sincera e senza invidie nata tra i due, Rosalie fugge nuovamente da sola, rigida nel proprio orgoglio.
Con uno stile terso, Sautet narra una storia sull’incostanza dei sentimenti, sull’orgoglio, sulle possibilità dell’amicizia, sui rapporti e la loro mutevolezza.
La direzione degli attori riesce a tal punto che le differenza generazionali tra i personaggi, l’estrazione, i loro passati individuali sono resi senza un accenno o un briciolo di didascalismo nella sceneggiatura. Sulla bravura di Sautet come direttore di attori non si può dire abbastanza: riuscì ad ottenere grandi risultati dalla compresenza di due protagonisti come Montand e la Schneider, durante delle riprese difficilissime, sia per le tensioni create dal protagonista maschile che per gli spostamenti della troupe per mezza Francia.
Montand s’era visto rappresentato totalmente nel personaggio di César e solo la convinzione della sua donna, Simone Signoret, lo portò ad accettare pienamente il ruolo, divenuto uno dei suoi migliori.
Alla sua fedelissima Schneider Sautet regala riprese bellissime, dialoghi appassionati che descrivono pienamente il personaggio in quanto donna orgogliosa, indipendente ma ancor di più titubante nei sentimenti e bisognosa d’amore.
A far da contorno si sono trovati i volti giusti, presenze intonate e usate alla perfezione per rendere l’ambiente: tra queste, non potrà sfuggire ai più attenti una giovanissima Isabelle Huppert diciannovenne.