Per Jane Campion si trattava di portare sullo schermo una donna di grandi appetiti come nel suo esordio, Sweetie (1989), e di mostrare una creatura, come la protagonista di Un angelo alla mia tavola (1991), che s’esprimesse ad estremi e per vie traverse.
Lezioni di piano (1993) è un melodramma sulla comunicazione, la storia di un autismo sconfitto e di una possessione vinta. La Campion non trovò migliore ambientazione della Nuova Zelanda o tempo più adatto dell’Ottocento per raccontare la storia che le avrebbe fruttato la Palma d’Oro e l’Oscar, insieme alle sue due protagoniste.
La sua attrazione per il secolo XIX è lampante: è il periodo in cui la donna ha interrogato di più sé stessa, fatto di penombre, oscillazioni, strappi interiori, tensioni erotiche e apparenze. La regista costruisce l’ambientazione con un dosaggio perfetto della luce e questa s’adatta alla psiche come agli scenari per ricreare dei limbi o dei luoghi di liberazione.
I film della Campion sono giocati tutti sulle nuances e sul sentimento del passaggio, dove i soggetti possono diventare oggetti del desiderio altrui, entrare nelle gabbie costruite per loro, scoprirsi più vivi e liberi (come Lezioni di piano), rimanere intrappolati come uccellini (Isabel di Ritratto di signora) o diventare motore di cambiamento (la Frannie di In the cut o la Fanny Brawne di Bright Star).
In questo film del ‘93, diventato il suo biglietto da visita, siamo nel primo Ottocento: Ada McGrath (Holly Hunter) è sposata ad Alistair Stewart (Sam Neill), colono inglese in Nuova Zelanda. Ha la figlia Flora (Ana Paquin) a carico ed un pianoforte che è suo unico mezzo d’espressione e gioia feticista, lasciato dal marito sulla riva dell’attracco.
La sua presenza scatena l’attrazione di George Baines (Harvey Keitel), collega di Alistair naturalizzato maori, che per averla ed assaporare la presenza di una donna, porta a casa sua il pianoforte, con la scusa di voler delle lezioni di musica.
Baines riesce a fare breccia dentro la donna: lui gioca letteralmente in casa, crea un’interferenza fortissima nel rapporto di Ada con lo strumento, che ha molto da spartire con la masturbazione.
Da nevrotica e perversa, Ada vuole sentirsi sempre attiva, in controllo pur nel flusso dell’emozione: scopertasi preda e strumento del desiderio altrui, è come ravvivata perché riconosciuta da un altro sguardo.
Lezioni di piano è un film dominato dall’ironia, ma questa componente rimanda più a Buñuel che ad Emily Brontë, cui il film è sempre accostato: se l’ironia brontëana era sadica quanto tragica, quella della Campion sferza i protagonisti sapendo di non star rappresentando dei principi cosmici ma degli impulsi. Emblematici in questo senso sono l’impotenza sconcertante ed il voyeurismo del marito quanto gli imbarazzi e le rigidità iniziali di Ada.
Non indifferente è l’uso della musica meravigliosa di Michael Nyman a questo proposito: non sembra solo un’espressione interiore di Ada ma a volte anche la voce dello stesso strumento.
Al risultato finale contribuiscono le luci di Stuart Dryburgh che immergono i protagonisti nei paesaggi, i movimenti di macchina sinuosi, le sue disposizioni raffinatissime e concise negli spazi che valorizzano le presenze, la resa delle intimità, l’innocenza infantile di Flora.
Film umorale e sensoriale, Lezioni di piano valorizza pienamente vista, udito e tatto: quest’attenzione materica è una delle migliori cifre stilistiche della Campion, quella che più ha a che fare con l’empatia femminile, con l’intelligenza tattile e affettiva del gentil sesso.
Al contempo, il film, nella carriera della Campion, è passaggio e vetta assieme, adatto per entrare nella filmografia della geniale neozelandese.
Pingback: Bright Star – la disillusione