GFP – Green Fluorescent Protein

Tra le applicazioni dell’ingegneria proteica c’è la possibilità di generare delle proteine di fusione. Queste sono generate dalla fusione della sequenza codificante per una proteina di interesse con la sequenza codificante per un tag, che può essere un peptide o anche una proteina e può essere inserito all’N o al C terminale della proteina d’interesse. Esperimenti che sfruttano questi tag possono avere scopi differenti. Ad esempio è possibile purificare la proteina di fusione sfruttando un anticorpo che riconosca in maniera specifica il tag, oppure utilizzarne uno che influenzi la stabilità e la solubilità di quella proteina. In questo variegato  panorama di peptidi e proteine ne spicca sicuramente una, che in basa alla sua peculiare capacità di essere fluorescente ha cambiato il modo osservare e studiare diversi fenomeni – la GFP.

GFP sta per Green Fluorescent Protein, una proteina presente in una medusa chiamata Aequorea Victoria e più in generale individuata nei foto organi del genere Aequorea. Il nome della proteina è sicuramente esplicativo, una proteina fluorescente nel verde. Ma a cosa è dovuta questa proprietà della proteina? Nella specie Aequorea Victoria è presente una proteina che prende il nome aequorina. Questa emette luce nel blu a seguito del legame con lo ione calcio, viene assorbita dalla GFP, che infine emette nel verde. Ecco il perché della fluorescenza. La storia di questa proteina ha inizio negli anni cinquanta del novecento, quando viene descritta per la prima volta una particolare sostanza verde fluorescente (1955). Solamente nel 1962 venne identificata la proteina responsabile di quel fenomeno, che avrebbe preso nel 1969 il nome di GFP. Seguirono poi una serie di scoperte, Fra cui la caratterizzazione della struttura del cromoforo (1979) e la risoluzione della struttura tridimensionale della proteina (1996)1, che avrebbero portato Osamu Shimomura, Marty Chalfie e Roger Tsien a vincere il premio Nobel per la chimica.

Sebbene la GFP fosse stata cristallizzata già nel 1974, la struttura della proteina venne risolta indipendentemente da Ormö et al e Yang et al nel 1996. Nel Protein Data Bank (PDB) tali strutture sono rispettivamente associate ai codici 1EMA e 1GFL3 . La struttura della proteina è molto simile a quella di un cilindro. In particolare, presenta una struttura a barile β costituita da undici filamenti e attraversata da un’ α-elica, mentre il cromoforo è formato da tre residui aminoacidici, Ser65-Tyr66-Gly67, perfettamente inseriti al centro della struttura cilindrica.

Le strutture risolte dai due gruppi di ricerca sono state visualizzate mediante un programma per la visualizzazione e l’analisi delle strutture molecolari e riportate sotto in verde (1EMA) ed azzurro (1GFL). Inoltre, la struttura con codice PDB 1GFL è stata utilizzata per evidenziare la struttura del cromoforo.

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Una svolta importante nella storia della GFP avviene all’inizio degli anni novanta. È il 1992 quando viene clonato per la prima volta il gene codificante per questa proteina, consentendo ai ricercatori di ottenere un vettore per l’espressione di una GFP non fluorescente (apoGFP). Espressione che avviene due anni più tardi, nel 1994, in Escherichia coli e Caenorhabditis elegans.

Il clonaggio del gene ha aperto la strada ad una serie di esperimenti di sostituzione aminoacidica che hanno permesso di ottenere delle varianti della proteina originale. Queste varianti erano in grado di emettere a differenti lunghezze d’onda nello spettro del visibile. Varianti color blu, giallo e ciano sono state create tramite mutagenesi poco dopo il clonaggio del gene codificante per la GFP (Remington, 2011), mentre nel 1999 sono state scoperte le proteine appartenenti alla categoria delle dsRed (Red fluorescent proteins) in alcuni coralli.

Moltissime sono le varianti della GFP originale, come molte sono le tecniche e le strategie che sfruttano tali varianti per dare una risposta a quesiti di carattere biologico. Tra le applicazioni possibili della GFP c’è quella di utilizzarla come reporter gene o cell marker3. Ad esempio, si può decidere di mettere sotto il controllo di un promotore che si vuol caratterizzare il gene codificante per la GFP. In questo modo è possibile comprendere in quale tessuto, ma anche eventualmente in quale fase dello sviluppo un promotore di interesse risulta acceso. C’è fluorescenza? Il promotore è acceso e regola la trascrizione della GFP. Un mezzo molto potente, ma non è l’unico modo di utilizzarlo.

La GFP viene utilizzata come fusion tag e questo risulta assai utile per monitorare la localizzazione o il destino di una proteina. In questo caso, il gene codificante per la GFP viene fuso con la sequenza codificante per una proteina d’interesse ed il costrutto chimerico viene espresso nella cellula o nell’organismo di interesse3

Il folding corrisponde al processo di ripiegamento della catena polipeptidica ed è molto importante affinché questa possa raggiungere la struttura tridimensionale in base alla quale espletare la sua funzione. Costruendo delle proteine di fusione in cui all’N-terminale viene posta la proteina d’interesse e al C-terminale la GFP è possibile ottenere informazioni sul ripiegamento della proteina d’interesse, utilizzando la GFP come folding reporter. Posizionare correttamente il tag è molto importante. Questo perché la sintesi proteica procede in direzione N-terminale > C-terminale. La GFP verrà sintetizzata solo in un secondo momento, perché al C-terminale. Se dovessero presentarsi delle problematiche relative al folding della proteina d’interesse, si andrebbe ad interferire con il ripiegamento della GFP, impedendo l’emissione di fluorescenza. Al contrario quando la proteina d’interesse viene ripiegata correttamente si osserva la fluorescenza.

L’inizio della rivoluzione apportata dalla GFP è datata 11 Febbraio 1994, data nella quale compare su Science insieme al nematode C. elegans. La copertina mostra i neuroni sensoriali del nematode di un verde fluorescente. La GFP viene oggi utilizzata in moltissimi laboratori di ricerca per rilevare la localizzazione cellulare o il destino di una proteina, per comprendere il ripiegamento di una macromolecola biologica, ma anche dove o quando un promotore risulti attivo. Insomma, tutte cose molto complesse da studiare e forse la GFP è bella anche e soprattutto per questo: una proteina fluorescente che permette di far luce su fenomeni difficili da vedere.

Daniele D’Errico

BIBLIOGRAFIA:

  • https://www.conncoll.edu/ccacad/zimmer/GFP-ww/timeline.html
  • https://www.conncoll.edu/ccacad/zimmer/GFP-ww/timeline.html
  • Tsien RY. THE GREEN FLUORESCENT PROTEIN. Annu. Rev. Biochem. 1998. 67:509–44
  • Remington SJ. Green fluorescent protein: A perspective. Protein Science. 2011. 20:1509-1519
  • Ormö M, Cubitt AB, Kallio K, Gross LA, Tsien RY, Remington SJ. Crystal Structure of the Aequorea victoria Green Fluorescent Protein. Science. 1996. Vol. 273, Issue 5280, pp. 1392-1395
  • Yang F, Moss LG, Phillips GN Jr. The molecular structure of green fluorescent protein. Nature Biotechnology. 1996. 14, pages1246–1251
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