Tenerezza

Tenerezza era la mia mano
che, per tutte le volte che perdevi il fiato
si posava sulla tua pancia e guidava
il tuo respiro.
Mi stendevo accanto a te e fissavamo la parete bianca,
non ti avrei mai lasciato lì.
Tenerezza era il mio aspettare che
le tue fitte allo stomaco passassero,
che la corda alla quale eri legato
non ti ritirasse sempre contro il muro.
Tenerezza era stare in mezzo ai discorsi di una vita, di un’infanzia
e non aver paura, sentirsi nel posto giusto al momento giusto
e vedere l’uomo che eri divenuto.
Tenerezza era un mio strapparti un sorriso.
Tenerezza era il mio desiderio di salvaguardarti
da quei momenti in cui volevi buttarti un po’ via.
Tenerezza era guardarti con gli occhi pieni di luce, sempre.
Era la mia vicinanza incondizionata.
Tenerezza era la tua mano sui miei occhi,
la tua testa sulle mie ginocchia,
tu che mi chiedevi di dormire insieme
e leggevi accanto a me.
Tenerezza eri tu che mi guardavi e sorridevi,
tu che scherzavi con me senza il dubbio velato negli occhi, senza riserve.
Eri tu che passeggiavi accanto a me.
Tenerezza era costruire un modellino insieme.
Tenerezza non mi fu mai sforzo.
Mai la legai alla meritocrazia,
mai combattei per donartela.
Tenerezza è un gesto d’amore disinteressato,
è affetto disincantato al di là delle proprie capacità,
al di là delle proprie buone riuscite. 

Giorgia Andenna

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