Il 19 ottobre, in una bella giornata soleggiata, si è tenuta la manifestazione del centrodestra a piazza San Giovanni, Roma. Gli organizzatori hanno contato 200.000 persone, smentiti successivamente da fonti della polizia, le quali hanno affermato che i partecipanti si aggiravano intorno ai 50.000. Lo scenario ricorda terribilmente lo stile dell’attuale Presidente degli Stati Uniti D’America, Donald Trump. Bandiere tricolori, rigorosamente accompagnate da bandiere indipendentiste. Cori da stadio a cui siamo stati abituati non solo nelle manifestazioni del centrodestra. Lo slogan “prima gli italiani”, come l’America first cavallo di battaglia delle elezioni americane del 2016 e usato precedentemente da Reagan. Infine i cartelli con su scritto Salvini Premier, cartelli con la stessa identica grafica di Trump, come a sottolineare che l’autoritarismo sia un modo di fare politica. Steve Bannon insegna.
La manifestazione è stata aperta dall’uomo più acclamato dalla folla: Matteo Salvini, successivamente hanno preso parola Berlusconi, Meloni e molti Presidenti di regione come Zaia e Toti. I soliti slogan. Berlusconi attacca la famigerata “magistratura di sinistra” e addirittura lui stesso ricorda i suoi 88 processi in corso con il suo largo sorriso, dichiarandoli con fierezza. La Meloni attacca la Raggi e il “governo delle poltrone”. Poi finalmente arriva ad urlare di quanto la cittadinanza italiana non sia un diritto ma un regalo. “Difenderemo Dio, Patria e famiglia”. Non si farebbe fatica ad immaginare la stessa piazza negli anni ’30, alla ricerca costante del capro espiatorio. La storia ci insegna che la generalizzazione è uno strumento politico per incanalare la paura e la rabbia di un popolo.
Prende la parola Salvini, il discorso più atteso. La piazza grida il suo nome. Accompagnato sul palco dall’aria Nessun Dorma della Turandot di Puccini (“Vincerò”). Sul palco decorato da simboli leghisti, non può non apparire come il leader di questa coalizione. Ovviamente ha incitato la piazza a “mandare a casa” Zingaretti e la Raggi, al lato della piazza erano presenti degli stand dove si poteva firmare una petizione per “mandare a casa” il sindaco di Roma. La petizione poteva essere firmata da residenti della Capitale e non. Ha parlato di Bibbiano e accusato l’esecutivo per la gestione dell’immigrazione irregolare. Ha definito la piazza “non estremista”, ma una piazza di “italiani orgogliosi di esserlo”. In piazza erano presenti anche esponenti di CasaPound, ma la politica non è come la matematica. Di conseguenza tutto è opinabile. Successivamente ha sottolineato che preferisce essere amico della Russia e di Israele e non degli Stati Islamici che stanno portando avanti una strage in Siria. Inaccettabile l’ipotesi di una Turchia parte dell’Unione Europea. Nel frattempo sono uscite allo scoperto nuove carte riservate che collegano allo scandalo dell’ente petrolifero Eni il manager che ha accreditato la banca EURO-IB per l’affare di Mosca, trattato da Savoini. Ora è più difficile sostenere che il finanziamento per la lega di Salvini sia solo una fantasia.
La conclusione del suo discorso è una promessa. La promessa di tornare al governo dalla porta principale e ringrazia i suoi due alleati Meloni e Berlusconi.
Questa manifestazione è stata l’esempio perfetto delle parole di Damilano nel suo articolo apparso su L’Espresso, intitolato “La democrazia dei vuoti”. Alla fine del suo articolo scrive: “La scena è ben occupata da leader, ex-leader, aspiranti leader, capi e capetti, (…), mediatori d’affari, vecchie volpi e nuovi cortigiani. Ma restituisce, nel complesso, lo spettacolo di un palcoscenico vuoto. Di un paese che parla d’altro. La democrazia dei vuoti.” Questo vuoto democratico non viene rappresentato solo dalla coalizione di centrodestra, ma dalla maggior parte dei partiti che dovrebbero rappresentare il popolo italiano. Le parole dette non sono altro che slogan o discorsi privi di contenuto reale. Non stiamo affrontando i reali problemi che affliggono la società italiana. Questo è il momento di fare politica, come scriveva Bhaskar Sunkara insieme ad altri giornalisti nella rivista Jacobin dopo l’elezione di Trump. Questa è un’epoca nuova ed esige una politica nuova, che parli ai bisogni delle persone. È il momento di fare scelte politiche autenticamente democratiche.
Articolo e foto di
Oscar Raimondi
*il titolo è preso da una canzone di Daniele Silvestri, della quale consiglio l’ascolto