That’s life, that’s what people say

Mi tremano i polsi a scrivere dell’ennesimo cinecomic, ma l’elefante è nella stanza ed è arrivato nelle sale il 3 Ottobre 2019.

Per una fatidica coincidenza, sono andata al cinema per vedere il nuovo film di Tarantino e mi sono trovata davanti un cinema chiuso e una programmazione sballata. “C’era una volta ad Hollywood” era stato posticipato al giorno dopo e io e la mia amica avevamo davanti due opzioni: se tornare a casa o guardare un altro film.

E lì che Joker ci si è parato davanti come a ricordarmi che, in un modo o nell’altro, tutte le strade portano a Gotham.

Joker di Todd Phillips parte alla grande, con un Leone D’Oro per il Miglior Film a Venezia e una critica entusiasta. Il trailer dà subito l’impressione che questo non sia il solito cinecomic. Si teme un Nolan 2.0, ovvero una reinterpretazione seria e un po’ noiosa di quello che è il Re indiscusso dei criminali di Gotham, una figura che appartiene alla cultura popolare da quando Jack Nicholson ne ha vestito i panni nel Batman di Tim Burton (1987). Ma così non è stato.

Il film è ambientato nella Gotham dei primi anni 80, dove non c’è nessun eroe mascherato a salvarla dal suo degrado. Alla tv parlano di una preoccupante invasione di topi e dell’immondizia che ormai invade la città a causa di uno sciopero, mentre Arthur Fleck si trucca da clown nel suo arrabattato camerino, cercando di forzare il proprio sorriso allargandosi la bocca con le proprie dita, fino a portarsi alle lacrime.

Di lavoro fa il clown, di quelli che si “affittano” per le feste, ma sogna di diventare uno stand-up comedian, poiché ritiene che il suo scopo nella vita sia quello di far sorridere le persone, come gli ripete sempre sua madre.

Il sorriso è difficile da mantenere per un lavoratore precario che vive nei bassifondi di Gotham, infatti durante un lavoro da “mascotte” per un negozio, Arthur viene aggredito e picchiato da una banda di teppisti, senza che nessuno lo soccorra.

Questa è la scena in cui comincia ad impadronirsi dello spettatore un forte senso di angoscia e che ci accompagnerà per tutto il film.

La vita di Arthur viene stravolta da una pistola, che gli viene data da un suo collega all’indomani dell’aggressione, per permettergli di proteggersi qualora si ritrovi in una situazione del genere.

In una ambientazione americana, questa scelta sembra la più ragionevole, ma Arthur soffre di un disturbo mentale, perciò è un possessore ancor più inaffidabile dell’ “uomo comune”.

La prima conseguenza la vediamo quando, presa la metro per tornare a casa, incappa in tre giovani uomini di affari alticci che disturbano, in sua presenza, una ragazza.

La scena è carica di tensione, ed Arthur  esprime la sua scoppiando in una forte e dolorosa risata. 

Questa risata viene fraintesa e Arthur non riesce in tempo a spiegare la situazione (porta con se un biglietto che spiega la sua patologia e che può porgere a chi gli è intorno) e viene aggredito brutalmente dai tre giovani businessmen. 

Questo porta Arthur a reagire e ad usare la pistola, uccidendo i tre e liberandoci da quella tensione e senso di malessere che il film e noi spettatori abbiamo accumulato. 

Questo crimine sconvolge Gotham. La morte di questi tre giovani ricchi e un po’ troppo spavaldi ad opera di un uomo vestito da clown indigna l’élite, di cui si fa voce e rappresentante Thomas Wayne, padre di Bruce, e scatena il popolo,  che usa Arthur come simbolo della lotta dei topi di Gotham contro quella élite dei palazzi, delle ville e degli abusi. Inconsapevolmente Arthur diventa un emblema e ciò lo porterà ad essere portato a spalla in una scena che ricorda molto la famosa scena “È solo un ragazzo” dello Spider-Man di Raimi. 

Joker_ Foto in Articolo01

Ciò che Todd Phillips e Scott Silver avevano intenzione di fare quando hanno cominciato a scrivere Joker, era di creare una nascita del personaggio diversa da quella dei fumetti, ritenuta troppo poco realistica.

La nascita di Joker più famosa è infatti quella descritta da Alan Moore in The Killing Joke (1988) che narra di come un anonimo ingegnere e comico fallito, desideroso di provvedere alla sua famiglia, composta da sua moglie e dal figlio che porta in grembo, finisce invischiato in un colpo con dei malavitosi finito male. L’uomo cade nelle acque di scarico di una fabbrica uscendone trasformato nell’aspetto, con la pelle candida e i capelli verdi, cambiamento che lo porta a perdere completamente il senno e a trasformarlo nel Joker che conosciamo tutti noi.

Questa storia risultava ai due sceneggiatori troppo irrealistica per il film che avevano in mente, decidendo quindi di prendere spunto da Moore senza però prendere come riferimento nessun fumetto.

Arthur Fleck – il cui nome A. Fleck ricorda un po’ il cognome del Ben ex compiantissimo Batman che ha lasciato il progetto – è infatti anche lui un aspirante comico, ma laddove l’anonimo ingegnere peccava di talento, è come se ad Arthur manchi l’abilità di capire cosa faccia ridere le persone, perché la sua comicità è diversa da ciò che il resto delle persone considera divertente.

Ciò che questa storia fa con Joker è quello che Nolan ha cercato di fare con la sua trilogia, ovvero offrire un’interpretazione più seria di un prodotto che viene considerato quasi esclusivamente per ragazzi, un’idea che si è consolidata anche grazie alla crescente fama della filmografia Marvel, che punta ad un pubblico costituito anche e soprattutto da famiglie e bambini.

La trilogia però, con i suoi mille spunti diversi e altrettanti riferimenti a vari e pregevoli fumetti, risultava molto confusionaria e pesante, e in questo ambiente si sviluppa la storia di un Joker che nasce dal nulla, porta scompiglio a Gotham con lo scopo di dimostrare che chiunque può diventare un mostro, se avuta l’occasione.

Il Joker di Ledger è quindi un sociopatico più che un folle, con un piano ben preciso e un’ipotesi che vuole provare al mondo, e per questo si prodiga in una serie di piani ben congegnati, con una lucidità che ritengo assolutamente impropria del personaggio.

Joker è il simbolo della follia imprevedibile, caotica e priva di qualsiasi logica umanamente intesa. Personaggio complesso e spesso inquietante, ogni sua storia (salvo alcune opere discutibili) lascia sempre un brivido freddo dietro la schiena, la sua apparizione è sempre il segnale che le cose cominceranno a prendere una piega inquietante e distorta.

La sua caratterizzazione è fatta apposta per renderlo l’altra faccia di quella moneta che è Batman, che è invece il pianificatore per eccellenza, a cui nulla sfugge in virtù della sua logica ferrea.

L’incubo di Joker è tale perché nella sua mente malata le sue azioni e logiche conseguenze non sono assolutamente prevedibili e scontate. Joker rappresenta l’ignoto, ciò che è imprevedibile ad ogni uomo, è l’incubo della follia.

Nel film di Phillips noi assistiamo solo alla nascita del folle per eccellenza, vedendo solo un assaggio di quell’incubo imprevedibile che poi sarà Joker, e nonostante questo ciò che vediamo riesce a rendere molta più giustizia al personaggio.

Arthur è un narratore inaffidabile, e lo vediamo chiaramente nel momento in cui, dopo una serie di appuntamenti con la sua vicina di casa, lui si siede al suo divano facendola spaventare, come se si trovasse di fronte ad uno sconosciuto. Perché di fatto Arthur è solo un sconosciuto, quegli appuntamenti sono stati frutto della sua mente che si è mostrata a noi spettatori e ci ha ingannato.

Nonostante la storia di rivalsa di un pover’uomo dei bassifondi ci lascia a fine film quasi soddisfatti, l’inaffidabilità di Arthur ci lascia sempre una vocina dubbiosa in fondo al nostro cervello, una spia che ci ricorda che forse, tutto ciò che abbiamo visto non è reale, e che la soddisfazione e anche l’empatia che Arthur ottiene da noi, forse è frutto di un imbroglio.

Altro elemento interessante è la reinterpretazione di Thomas Wayne, medico pio e devoto a far del bene, marito di Martha e padre di Bruce. In questo film Thomas rappresenta il male, lo spregiudicato uomo d’affari che non ha pietà di nessuno che non abbia un conto a sei zeri, idolo dei dipendenti e bersaglio degli indigenti, che lui stesso chiama clown all’indomani della sparatoria nella metro.

Si candida a sindaco per il bene di Gotham, ma è chiaro sin da subito che la sua Gotham non include una buona fetta della popolazione.

Abituata al bravo e giusto compianto padre di Batman, questo Thomas è stato difficile da digerire all’inizio, ma poi ho riflettuto sul fatto che effettivamente, ciò che noi vediamo di Thomas nei fumetti, è frutto dei ricordi di suo figlio e del suo devoto maggiordomo, sicuramente edulcorati rispetto alla realtà.  Anche loro sono inconsapevolmente narratori inaffidabili.

Thomas Wayne e Murray Franklin rappresentano in modo diverso la figura paterna che è mancata ad Arthur e che lui agogna. L’uno perché la mamma di Arthur, Penny, è fermamente convinta che suo figlio sia frutto della relazione clandestina avuta con Thomas quando lavorava per i Wayne. L’altro invece è il presentatore di un talk show che Arthur e sua madre guardano tutte le sere, compagno inconsapevole delle loro cene.

Sagace e divertente, Murray Franklin diventa l’idolo di Arthur, l’uomo che aspira di diventare e la figura paterna che sogna di avere. Quando durante il suo show Franklin manda una clip in cui si vede Arthur alla sua prima prova di stand-up comedy davanti ad un pubblico che ride in maniera incontrollata, faticando a dire le proprie battute, il presentatore lo prende in giro molto duramente, facendo crollare il piedistallo sul quale Arthur lo aveva posto.

Grazie alla clip viene invitato come ospite del Talk Show, ma quello che arriva negli studios di Murray Franklin non è più l’Arthur che aveva come sogno incontrare Murray e vivere una vita felice e normale con una famiglia e una carriera da commediante. Davanti allo schermo arriva Joker, sull’orlo della crisi che lo porterà alla pura follia. Uccidendo Murray, che gli si rivela ostile tanto quanto Thomas Wayne, muore anche l’identità di Arthur Fleck.

Joker_ Foto in Articolo 02

 Ciò che ci resta è Joker, nato non dalle mani inconsapevoli di Batman, ma dal degrado e dalla disperazione che attanaglia la classe medio-bassa di Gotham. 

Il finale del film è semplicemente perfetto: è il trionfo del caos a Gotham impersonificato da Joker che uccide i signori Wayne e da inizio ad un’altra lunga e famosa storia.

Con un forse voluto, forse no, riferimento al Batman di Tim Burton in cui è il gangster che compie il celebre omicidio è proprio Joker, e un capovolgimento della storia narrata dal Alan Moore, nella pellicola di Todd Phillips le mani inconsapevoli di Joker fanno nascere il Cavaliere Oscuro, portatore di ordine e giustizia.

Annabella Barbato

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