Sera di primavera, luna piena, vigilia di Pasqua.
Ciuffo al vento e gengive sorridenti t’aggiravi tra i tavoli vuoti,
per uno spicchio di cassata, del pane e mezzo litro d’acqua,
stanca del mondo, della strada e degli sguardi di reprimenda ignoti.
Dalla lombarda valle che guarda sullo Stelvio sei fuggita
fin giù nell’Isola dei Mori, rincorrendo quell’anima che adoravi.
Inconsapevole sua schiava e di quella mistura bandita,
di quel pungiglione metallico con cui, in un fulmine, l’esistenza t’addolcivi.
Lo sguardo serenamente tormentato ed il parlare disinvolto,
volevi raccontare dei tanti che non hanno ascolto.
In quella notte mite fuori da una trattoria,
in trentatré minuti ci hai insegnato l’empatia.
Grazie. La poesia forse è questa cosa qui: la leggi, e sei quasi certo che stia parlando di qualcuno che hai conosciuto anche tu.
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