Vi siete mai chiesti cosa succede nel più prezioso macchinario biologico, ovvero il nostro cervello, ogni volta che ascoltiamo una melodia?
La musica oggigiorno è una componente fondamentale delle nostre vite, la ascoltiamo quasi in ogni momento e luogo e ci accompagna durante l’arco di tutta la giornata. Potrebbe sembrare paradossale data con quanta facilità la ascoltiamo, ma è uno degli stimoli uditivi più complessi che l’uomo possa percepire. I suoni, una volta entrati nell’apparato uditivo, sono scomposti in diversi elementi, come ad esempio ritmo e melodia, che poi saranno ricomposti per generare stimoli motori come battere il piede a ritmo. Complicatissimo è il processo che ci permette di svolgere una semplice azione come battere le mani a ritmo di musica, si può solo immaginare cosa possa succedere quando si suona uno strumento o si canta. Molti ricercatori si sono posti domande a riguardo ed hanno iniziato, negli ultimi 20 anni, a definire quali siano gli effetti della musica sul nostro cervello. La potenza dell’effetto della musica sul nostro cervello è tale che sono state ideate alcune strategie terapeutiche, ancora in sperimentazione, per i pazienti affetti da ictus oppure Alzheimer per permettere loro rispettivamente di tornare ad utilizzare parzialmente la parola e parte della memoria.
Quali sono le aree implicate nell’elaborazione della musica?
Grazie ad alcune tecniche come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) o la tomografia ad emissione di positroni è possibile osservare il cervello umano in azione durante l’ascolto o la produzione musicale. In pratica con la fMRI si possono vedere le aree del cervello attive in un determinato momento accendersi come lampadine. Avete presente il macchinario della risonanza magnetica? Ecco, l’fMRI è molto simile nel funzionamento ed anche nella forma. Ponendo i soggetti dell’esperimento in questo macchinario e facendoli cantare o parlare si può osservare cosa succede, momento per momento, nel loro cervello. Immaginate ora che facciano ascoltare al soggetto un brano durante il monitoraggio, cosa vedranno i ricercatori sullo schermo? Piccoli fuochi d’artificio! Ovvero, durante l’ascolto musicale tantissime aree del nostro cervello si attivano contemporaneamente. Particolarmente stimolata dall’ascolto è la circonvoluzione temporale superiore, che si trova poco sopra l’orecchio e contiene l’area che processa le frequenze sonore. I neuroni di quest’area sono raggruppati in modo tale che quelli responsivi ad una determinata gamma o combinazione di frequenze si trovano nello stesso gruppo. Gli scienziati, esaltati dal numero enorme di aree attivate dal semplice ascolto musicale, hanno iniziato ad indagare sugli effetti di ogni tipo di musica sul cervello umano (pensate, c’è addirittura uno studio pilota che esplora il risultato di una particolare composizione di Bach, le “Variazioni di Goldberg” sull’attivazione di particolari aree del cervello umano).
Musicisti di ogni tipo sono stati oggetto di studio da parte di scienziati dall’ indubbia indole creativa per monitorare il loro cervello durante la produzione musicale. È stato scoperto che tantissime aree del cervello si accendono contemporaneamente, creando un vero e proprio spettacolo di fuochi di artificio! Gli studiosi li hanno messi alla prova facendoli suonare uno strumento (sempre nel macchinario di risonanza, cosa a dir poco scomoda) e leggere contemporaneamente la musica; hanno osservato l’accensione contemporanea di quasi tutte le aree conosciute del cervello, con particolare intensità la corteccia visiva, motoria e uditiva. Immaginate che il cervello si trovi in quel momento inondato da stimoli provenienti da ogni dove e che riesca, come un esperto direttore d’orchestra, ad organizzarli ordinatamente e produrre un raffinato schema motorio per generare suoni in armonia fra loro. È stato osservato che durante l’improvvisazione si attivano le aree responsabili della creatività e dell’inventiva.
Molti studi affermano che suonare è l’equivalente per il cervello di fare un allenamento completo. Come in ogni esercizio fisico allenare determinate aree del cervello permette di rafforzarle, la forza acquisita può essere utilizzata in ambiti dove è richiesto il funzionamento delle stesse. Suonare inoltre aumenta il volume e l’attività del corpo calloso, l’area che connette i due emisferi; permettendo quindi ai messaggi di passare da una parte all’altra del cervello in modo più veloce e attraverso vie neurali sempre più complesse ed elaborate. Questi dati confermano le storie riguardanti le capacità dei musicisti di risolvere problemi in modo efficace e creativo sia nell’ambito accademico che sociale. Altri studi ci dicono che non è necessario essere dei musicisti esperti per risentire dei benefici della pratica musicale, ovviamente a maggiore esercizio corrispondono maggiori vantaggi (ergo, gli anni passati a suonare il flauto alle medie non sono andati persi!).
Quali sono le applicazioni della musica in ambito terapeutico?
Ovviamente nell’ascolto e nella produzione musicale entra in gioco anche la comprensione dell’emotività e la produzione degli stati emotivi di cui è artefice la “sensibile” amigdala. Anche senza alcuna conoscenza dell’armonia o senza avere alcuna idea di come si legga uno spartito chiunque può interpretare il messaggio emotivo di un brano. Ricordate qual era il vostro pezzo preferito da piccoli? Immagino che stiate già canticchiando le sue note. In alcuni malati affetti da demenza senile oppure da Alzheimer che avevano perso il linguaggio, l’ascolto della musica preferita nell’infanzia ha avuto proprietà benefiche, tra cui un aumento delle capacità cognitive e della memoria. Sfortunatamente il meccanismo biologico sotteso non è stato ancora chiarito. È possibile che la musica, in alcuni casi, possa stimolare alcune aree del cervello e rafforzarle in pazienti affetti da Alzheimer o demenza senile? Molti studiosi stanno ancora lavorando per avere una risposta precisa a questa domanda.
Pazienti affetti da ictus oppure che hanno subito un trauma (fisico o meno) che ha portato al danneggiamento dell’area del linguaggio (anche detta area di Broca) con conseguente afasia (quindi impossibilità di proferire parole con un senso logico) possono essere attualmente trattati, al fine di tentare di recuperare il linguaggio, con la melodic intonation therapy (MIT). Questa tecnica si basa sul principio che per cantare non è necessaria l’attivazione dell’area di Broca e che quindi una parziale comunicazione verbale potrebbe essere recuperata facendo intonare ai pazienti frasi in melodia. Immaginate una persona che, in seguito ad un ictus, intonando una melodia riesce a tornare a pronunciare frasi quotidiane e a comunicare. Nonostante i successi di questi studi, bisogna essere molto cauti nell’affermare che la MIT possa essere risolutiva poiché i risultati sono stati osservati solo in seguito ad una lunga terapia ed è più probabile che i pazienti pronuncino solo le frasi apprese durante la terapia piuttosto che frasi nuove composte spontaneamente.
Indubbiamente la musica ha un impatto ed un’influenza enorme sia sui nostri stati emotivi che sulle nostre capacità cognitive. Anche se gli studi in questo campo sono moltissimi, le domande aperte che gli studiosi si stanno ponendo restano molte.
Ilaria Serangeli
È un’area di ricerca molto interessante! Complimenti davvero per questo articolo, è stata una piacevole sorpresa. ☺️
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Grazie mille!
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