Il nostro futuro non deve essere grigio

Mi chiamo Arianna e finalmente, dopo sei lunghi anni, sono un medico abilitato.
Ben prima di indossare il camice, però, ho imparato cosa voglia dire essere abbandonati dallo Stato e dalle Istituzioni, le quali dovrebbero tutelarmi e tutelarci.
Sono infatti cresciuta in una scuola dove mi ripetevano che «voi giovani siete il futuro di questo Paese», non avendo però mai accennato che, al di là delle belle parole, lo Stato, i politici, le Istituzioni non hanno alcun interesse nei giovani: in effetti, quando c’è da tagliare per risparmiare, si inizia sempre dalla scuola e dall’educazione.

Da quando ho memoria, ho sempre voluto fare il medico: mi piace il contatto con le persone, il poter rendermi utile, investigare sui problemi e aiutare a risolverli, l’individualità della patologia di ogni singolo paziente, la continua necessità di rimanere aggiornati sulle nuove scoperte e a volte persino di dover mettere in dubbio nozioni certe fino a poco prima, perché questo è il metodo scientifico.
Da quando ho memoria, ho sempre sentito dirmi che medicina è difficile e che è lunga e che ci sono i raccomandati e che le donne non sono considerate al pari degli uomini: la mia testardaggine ha comunque vinto e mi sono iscritta al test di ingresso.

Era il 2013, ma lo ricordo come se fosse ieri: era l’anno del bonus maturità, quei punti bonus relativi al voto di maturità, calcolati sulla base di tutte le valutazioni dell’intero Istituto Scolastico. Sono sempre stata una ragazza studiosa e di conseguenza ero davvero contenta di poter ricevere un riconoscimento per il merito al voto di maturità e all’intera carriera liceale, dedicandomi ancora di più per ottenere il massimo a cui potessi ambire.
Ovviamente, passai anche tutta l’estate a prepararmi per il test di ingresso a medicina, ben conscia che la modalità crocette non fosse il mio cavallo di battaglia, piuttosto un cavallo di Troia.
Iniziai il test con ben 7 punti su 10 di bonus maturità, svolgendolo cosciente di questo “vantaggio”, potendo quindi evitare di sbagliare risposte su cui ero indecisa e rischiare di perdere punti. Uscita dall’esame, venni a sapere che durante la prova i ministri si erano riuniti abolendo il bonus maturità. Scusate se mi ripeto: durante la prova.
Non credo sia necessario descrivere il mix di rabbia e di incredulità che causò quel momento, a me come a tanti altri. Lo Stato, che avrebbe dovuto tutelarci, cambiò senza preavviso le regole durante una prova nazionale: quello fu il primo momento in cui mi resi conto che noi «voi giovani» non siamo il futuro. Non siamo nulla.

Seguirono ricorsi per l’incostituzionalità di ciò che avevano deciso e nel frattempo mi iscrissi all’Università di Parma, dovendo fare la pendolare per tutto il primo anno.
Vinsi poi il ricorso e, riottenendo il mio bonus, riuscii a trasferirmi nella mia prima scelta, nella mia città, nella mia Bologna. A causa del trasferimento, però, rimasi leggermente indietro con alcuni esami, perché, nonostante la graduatoria sia nazionale, lo stesso corso di laurea è diverso nelle diverse università.

 

Tra queste difficoltà, iniziai comunque medicina a Bologna. Chiunque conosce la mole di studio e la difficoltà degli esami (t r e n t a c i n q u e) e dei tirocini a medicina, ma ciò su cui vorrei soffermarmi è che in sei anni di vita possono accadere molte cose. Le più banali, come un amore che finisce. Purtroppo, anche le più serie: i genitori possono ammalarsi, come mia mamma che ha rischiato di morire per un infarto, o come mio padre che, rompendosi il tendine d’Achille, non ha potuto lavorare per mesi, lui, il libero professionista che porta a casa il pane; i traslochi, che si presentano maledettamente nei momenti meno opportuni, i tre che ho dovuto affrontare nel giro di un anno e mezzo, mentre i miei genitori continuavano con i propri problemi di salute. Sono chiaramente eventi che cambiano, che colpiscono improvvisamente e che fanno dubitare di te stessa; eventi a cui bisogna reagire in modo rapido e fermo, perché gli appelli d’esame non aspettano nessuno, le lezioni non si fermano, molti non possono permettersi economicamente di finire fuoricorso e dover pagare altre tasse. Tutto questo, credetemi, non è semplice da sopportare. In sei anni può accadere di avere momenti di sconforto e difficoltà, anzi penso sia inevitabile, ma bisogna trovare la forza di superarli. Altrimenti vieni lasciata indietro.

Finalmente arriva la tanto desiderata Laurea, per me luglio 2019, perfettamente in corso, ed è una giornata stupenda. Finalmente posso diventare un medico…
No! Non sono un medico finché non svolgo altri tre mesi di tirocinio post-laurea e non supero un esame di abilitazione a crocette con database pubblico, come a dire che sei anni di studio e una laurea non valgono nulla se poi non si conoscono a memoria le risposte a 6000 domande pubblicate su internet, alcune addirittura errate. Così, sei mesi dopo la laurea, bisogna fare anche questo quiz a crocette, pur sapendo già di passare, perché il 99,7% dei candidati supera l’esame.
Quest’anno, con la pandemia in corso, si sono resi conto che incatenare migliaia di neolaureati nel limbo dell’esame di abilitazione sarebbe stata una scelta assurda, decidendo quindi di rendere la laurea in medicina abilitante per tutti. Molto bene non dover più aspettare minimo sei mesi per lavorare. Molto male che sia stata necessaria una pandemia per farlo capire alla classe politica.

Oggi, a quasi un anno dalla mia laurea, sono un medico abilitato. Ma abilitato a cosa? In teoria a tutto, in pratica a nulla: posso sostituire i medici di medicina generale, prescrivere farmaci ed esami, lavorare come guardia medica, ma non posso avere un contratto degno di questo nome e di fatto non posso iniziare a costruirmi una vita. Sono una professionista precaria a tutti gli effetti.

Per avere un contratto devo avere una specializzazione, e per entrare nella scuola di specializzazione devo affrontare, ahimè, un altro cavallo di Troia. Essendo l’ingresso a medicina programmato, penserete che il numero di laureati sia almeno paragonabile al numero dei contratti di specializzazione, garantendo così il diritto costituzionale al lavoro e alla formazione degli specialisti, ai quali un giorno vi rivolgerete per essere curarti, garantendo il vostro diritto costituzionale alla salute.

Invece pensate male: da diversi anni le borse di specializzazione sono insufficienti a coprire il numero dei laureati in medicina e solamente lo scorso anno circa 10000 medici non hanno potuto continuare il proprio percorso formativo, i cosiddetti camici grigi; molto probabilmente, si ripeteranno questi numeri anche quest’anno, se non cambierà qualcosa.

Ed eccomi qui, come nel 2013, mi sento nuovamente abbandonata dallo Stato, dai politici e dalle Istituzioni, ma questa volta oltre il danno la beffa: è davvero possibile che esistano politici che gridano al libero accesso alla scuola di medicina? Conoscono davvero le problematiche del nostro Paese?
Se fossero davvero interessati al bene della Sanità e dei Cittadini, dovrebbero gridare che non mancano i medici, mancano gli specialisti! Sì al numero chiuso a medicina e no ai camici grigi! Che senso avrebbe sfornare migliaia di medici se poi non possono diventare specialisti? Se poi non viene garantito un lavoro?

Nei prossimi anni ci sarà un ricambio generazionale di medici specialisti e di medicina generale mai visto fino ad oggi. Questo lo sanno tutti, anche lo Stato, i politici, le Istituzioni, ma per far fronte a questa mancanza è necessaria una riforma: lo meritiamo noi come professionisti e voi come cittadini.
Il nostro futuro non deve essere grigio.
Qualcosa deve cambiare, e deve cambiare adesso.

Arianna Novellis

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