L’idea di intervistare SVD, che si scrive così ma si pronuncia sæd (per chi è appassionato di trascrizioni fonetiche) o più semplicemente come la triste parola inglese sad, è nata parlando con Gabriele Carone a.k.a. NewAir, che del pezzo PVNK(A) ha prodotto la base. Ho incontrato così Francesca, e ne è uscita fuori una conversazione estremamente stimolante, che ha spaziato in una range che va dal suo passato musicale ai suoi progetti futuri. I discorsi con lei sono come i suoi testi: intimistici e toccanti, ma anche caustici e dissacranti, quasi sempre comunque sono cinici e disillusi come piace a noi, ma mai disperati. Lascio in ogni caso lascio letterlamente tra queste parole il collegamento al suo primo singolo su Spotify mentre qui lascio quello al video su YouTube, e dopo questa manciata di righe mi accingo a riportare l’intervista che è scaturita dal nostro incontro.
Da dove nasce il nome SVD?
Il nome SVD nasce dal fatto che l’emozione che provo più spesso, quella più amplificata, è la tristezza. Il nome è partito da Lil’ Sad Beans, “Piccoli Fagioli Tristi”, perché il mio cognome è Fagioli. Poi le cose sono diventate più serie, il nome mi suonava come cose vecchie da cui volevo emanciparmi, quindi è rimasto solo SVD.
Come definiresti il tuo genere?
Eh, questa è una bella domanda. Non lo definisco, non è un genere preciso, perché ora con l’uscita del singolo è il momento di questo genere punk/trap/indie strana, però punto a fare ogni volta qualcosa di diverso. Magari domani mi sveglio e voglio fare pop, o rock.
Da quanto scrivi canzoni?
In realtà da quando avevo tredici anni, però non scrivevo ancora in modo profondo e serio come adesso. Ho iniziato a farlo seriamente, registrando qualcosa di mio, dal 2016.
Quali sono le tue influenze musicali?
Non ne ho. Ho tanti artisti che ascolto ogni giorno, partendo dal grande cantautorato italiano arrivando alla musica contemporanea americana. La musica mi piace tutta, non ho un’influenza precisa. Quello che mi piace mi influenza.
Quanto coincidono in te SVD e Francesca?
Sono la stessa persona. SVD non è niente senza Francesca e Francesca non è niente senza SVD. Quello che scrivo lo vivo, quello che vivo lo scrivo. Sono io.
Come hai incontrato La Prod? E che impatto ha avuto sul tuo percorso musicale?
L’ho conosciuta nel periodo della quarantena. Leonardo (manager e produttore esecutivo, N.d.A.) mi ha scritto grazie a dei miei amici che hanno messo musica su SoundCloud: lui ha conosciuto loro, con i quali io ho fatto un feat., lo ha sentito lì su SoundCloud e mi ha scritto. Abbiamo intrapreso una strada insieme, mi ha salvato: io volevo lasciare, non volevo più fare musica, perché non la stavo facendo seriamente, e per me è inutile fare qualcosa se non la faccio al 100%. Lui mi ha portata in studio, abbiamo registrato la prima canzone, è andata bene, e da lì non riusciamo più a staccarci.
È uscito recentemente il tuo primo singolo, PUNK(A). Cosa ti ha ispirato nella sua scrittura? E una volta terminato, come lo descriveresti? Quanto rispecchia te stessa?
Rispetto agli altri brani scritti e registrati mi rispecchia di meno, rispecchia un mood felice. L’ho iniziata a scrivere una sera in cui stavo sul divano e così, dal nulla, mi è partita un “sopra la panca”… era un brano trash, però Leonardo ci ha visto del potenziale. Ho iniziato solo poi a vedercelo anche io, una volta sistemata, anche perché ho sempre fatto cose più tristi, questa era una valvola di sfogo diversa dalle altre: un modo per sfogarsi quando si è felici, in un momento di benessere, in pace. Nel brano dico comunque cose pesanti, ma con una base che non lo è.
Com’è nata la collaborazione con Khole? E cosa ha portato al tuo pezzo?
Ci siamo conosciute in quarantena su Instagram, dopo l’uscita dell’Ep dei miei amici con cui avevo collaborato di cui ti parlavo qualche minuto fa. Mi ha scritto che le era piaciuta tanto la canzone e ci siamo organizzate per un feat., che non è questo però. Ci è piaciuto collaborare, e quando ho sentito il ritmo di PVNK(A), l’influenza di questa canzone, ho pensato che ci sarebbe stata benissimo lei. Le ho inviato subito il pezzo, lei mi ha risposto immediatamente, e ne è valsa assolutamente la pena. Mi ha aiutato molto: quando non mi andava di fare le riprese, quando stavo un po’ giù, lei era lì a spronarmi. È stata molto stimolante come esperienza.
La musica indie e la musica trap, ragionando un po’ per compartimenti stagni, si rivolgono tendenzialmente a due tipologie di ascoltatori differenti. Cosa ti aspetti da chi ascolta la tua musica, che fonde questi due stili? Che tipologia di pubblico immagini di avere?
Punto a un pubblico che sia molto simile a me. Come io sono influenzata da generi diversi, generi contrastanti, chi mi segue non sa cosa aspettarsi da me. Un giorno mi sveglio e voglio fare un brano trap, un giorno voglio fare indie, ma secondo me si sposano perfettamente. Non mi aspetto nulla da chi lo ascolta, spero solo che piaccia, che non si soffermino al cercare di comprendere il genere.
Cos’è invece che questo tuo pubblico deve aspettarsi da te per il tuo futuro prossimo? Quali sono i tuoi progetti?
Non sono una persona costante, sono molto incoerente dal punto di vista musicale, mi piace sperimentare. Mi piace molto dare il massimo anche in una cosa che faccio per la prima volta. Adesso si dovranno aspettare una cosa più indie, un po’ pop, indie pop. Uscirà un piccolo Ep, di quattro tracce, sul quale abbiamo lavorato molto. Ogni pezzo lo abbiamo registrato mille volte: sono una perfezionista, a tratti paranoica… Non ho l’autostima che spicca, insomma. Per chi mi ha seguito è stata un’esperienza stressante e pesante, seguirmi è così.
Ti stai martellando…
Questo è quello che si devono aspettare da questo Ep: sono io che mi martello. Farsi vedere sicuri di sé quando in realtà non lo sono non serve a niente. Quest’Ep è anche più amoroso, ma secondo me se anche parlo d’amore mi riprende molto, perché comunque l’ho vissuto in prima persona: sono io che ne parlo, io che descrivo quello che io ho sentito, i miei sentimenti. Un Ep molto triste. Molto SVD.