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Seid, lo specchio di una società?

Seid Visin aveva poco più di vent’anni, viveva a Benevento e giocava a calcio.  

Una persona normalissima o almeno così pare. Un essere umano come tutti noi, né troppo simile, né troppo differente. Semplicemente un prodotto della società duemila. Seid nasce in Etiopia nel 2001, si trasferisce in Italia (precisamente Nocera, Salerno) da giovanissimo e sfoga la sua passione più grande: il calcio.

Abbandona così tutto quel poco che aveva: genitori, amici, parenti, scuola per giocare a calcio. Un amore incontrastato e che i genitori fortunatamente comprendono. Egli ama il calcio, lo sport più seguito in Italia e in Europa, lo sport più bello al mondo che unisce culture, continenti e mondi diversi. Il ragazzo non è malaccio e se la cavicchia discretamente, facendo provini per squadre dal calibro di Inter e Milan. Due potenze assolute del nostro calcio pronte ad accoglierlo.

All’Inter l’avventura non è particolarmente lunga, al Milan è diverso. Seid ha amicizie, nuovi compagni, un nuovo mister e soprattutto una nuova maglietta. Sarà rivelata una cosa: Seid è stato a lungo compagno di stanza di un certo Gigio Donnarumma, oggi portiere dello stesso Milan e della Nazionale. Ma qualcosa cambia. C’è qualcosa che cambia nell’aria e Seid lo percepisce. Diventato stretto amico di Mino Raiola che ad oggi è reputato come il procuratore calcistico più ricco al mondo, Seid vuole smettere di giocare a calcio e cade in un periodo buio pesto, oscuro e tempestoso. Sarà lo stesso Mino a confortarlo, rincuorarlo e ricaricarlo trasmettendo al giovane talento la grinta e la determinazione giusta per ricominciare.

Il baby Van Basten (era stato il secondo giovane più forte a passare così rapidamente i test abilità a Milanello) si lascia così trascinare dal procuratore-amico, che lo esorta ad avvicinarsi nuovamente alla famiglia. Alla tenera età di sedici anni, Visin è nuovamente nella sua regione d’adozione, questa volta però a Benevento e non nel salernitano. Più vicino alla famiglia, Seid prova a ripartire vestendo la maglia giallorossa della Strega e rilanciarsi nel calcio che conta. Ma nulla da fare anche in quest’occasione.

Dopo nemmeno sei mesi la decisione di smettere con il calcio professionistico e di concentrarsi solo ed esclusivamente al liceo. Un ambiente tossico o quasi, un ambiente che era considerato indigesto e semplicemente non adatto al sedicenne italo-etiope. Un contesto grande e complesso in cui Seid si sentiva troppo piccolo per farne parte. Sarà l’Atletico Vitalica a convincerlo nel ritornare alla pratica, almeno a livelli amatoriali. In maniera sciolta, senza pressioni né ambizioni, ma con talento, Seid era tornato a fare ciò che veramente gli piaceva. Finora una storia normalissima che però è macchiata da una lettera.

Una lettera datata febbraio 2019 e pubblicata dal “Corriere della Sera”, in cui il giovincello di Nocera esprimeva la propria amarezza, il proprio rancore e la propria tristezza nel vedere un ambiente che lo disprezzava perché non di pelle bianca, perché etiope o qualsiasi altra baggianata. «Ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sembra che si sia capovolto tutto». «Ero riuscito a trovare un lavoro», scriveva, «che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro».

Una lettera di due anni fa che fornisce tutte le indicazioni possibili per trovare la causa del suicidio avvenuto qualche giorno fa. Non secondo i familiari, convinti che il ventenne si sia suicidato per cause differenti dalle accuse razziste. Questo mai lo sapremo, ma di quello che siamo certi è che questa lettera sia stata composta per rabbia, sfogo e disperazione non contro un individuo, ma contro una società. Roberto Saviano scrive l’ennesimo messaggio contro Salvini e Meloni invitandoli a riflettere sulla questione razzismo e immigrazione. La pensa come Saviano qualche esponente di sinistra, diversamente qualcuno di destra, una via di mezzo altri ancora. Nemmeno in questa circostanza si riesce a trovare un punto in comune. Neppure di fronte alla morte di un ventenne che due anni fa denuncia di non essere incluso, di non essere accettato solo perché di un’altra carnagione.

Walter Izzo

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Cosa sta succedendo in Colombia?

Contesto:   

In Colombia dall’inizio del governo del presidente Iván Duque, candidato dell’ex presidente Uribe1, sono avvenuti più di 100 massacri tra il 2020 e 2021 che il governo fa di tutto per occultare, cambiandogli nome, disconoscendoli. Si è voluto porre fine agli accordi di pace firmati con l’estinta guerriglia delle FARC– Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – che ha contribuito ad una maggiore tensione interna; durante la dichiarazione di emergenza sanitaria data dalla pandemia da Covid-19, il governo ha investito in camionette blindate, carri armati e pubblicità per mantenere alta e pulita l’immagine del governo e un programma televisivo che va in onda quotidianamente su un canale colombiano dove il presidente–presentatore informa i cittadini sui passi avanti del suo governo contro la pandemia. Il tutto, ovviamente, sconnesso da ciò che è la realtà.   

Attualità:   

Durante gli ultimi giorni di marzo il governo annuncia l’imminente realizzazione di una riforma fiscale a cui viene dato il nome di “legge di solidarietà sostenibile”; il 7 aprile il Ministro delle Finanze annuncia che la Colombia ha per andare avanti solo altre 7 settimane; il 15 aprile il governo annuncia che il testo della nuova riforma tributaria intende applicare un’IVA del 19% a beni di prima necessità come sale, cioccolato, zucchero, caffè, e ancora servizi funebri. Ovviamente da molti colombiani questo viene visto come un affronto nonché schiaffo morale alla classe medio-bassa.   

A causa del golpe alla tasca dei colombiani, i sindacati hanno iniziato a muoversi organizzando manifestazioni e blocchi per la giornata del 28 aprile. Il governo guarda incredulo e continua con la sua proposta di riforma; nel corso di queste giornate migliaia di giovani si sono uniti alla causa utilizzando come richiamo anche i social e in pochissimi giorni l’esistenza di questa nuova riforma è diventata virale, sollevando l’indignazione del popolo contro il governo, sostenendo – anche chi solo virtualmente – i cortei, tant’è che il 27 aprile, il giorno precedente alla prima manifestazione, il governo ordina ai comuni tramite un tribunale di sospendere ogni tipo di corteo, vietandolo.  

Se inizialmente la popolazione è intimorita da questi gesti, fa anche da combustibile morale per tutti coloro i quali si sentono oppressi dal governo. Così il 28 aprile scendono in strada milioni di colombiani di tutti gli angoli del paese, una quantità impressionante di gente che, a testa alta, cantando e ballando, alza la propria voce contro un governo che non ha mai veramente conosciuto i propri cittadini.  

Se durante la mattinata la manifestazione è stata pacifica, durante il pomeriggio sono iniziati gli scontri tra il popolo e la polizia: alcuni scontri, causati dai civili, sono stati calmati direttamente all’interno della manifestazione dai civili stessi e altri, invece,sono stati causati dalla brutalità della polizia che apparentemente aveva il compito di placare la manifestazione.  

Da qui inizia il tutto, perché di fronte al rifiuto del governo di ritirare la riforma, iniziano ad essere convocate nuove manifestazioni in tutto il paese, fatte coincidere con la giornata mondiale del 1° maggio. Il governo avverte la popolazione di non uscire dalle proprie case, insiste sostenendo che le manifestazioni altro non erano che atti violenti che non devono ripetersi, ignorando totalmente il grido del popolo e annunciando che saranno messe in atto forti misure di “sicurezza”. Durante la manifestazione del 1° maggio inizia la vera brutalità della polizia in tutto il paese, principalmente nelle città di Cali, Medellín e Bogotá.   

Durante le prime ore del mattino, l’ex-presidente Uribe dal suo profilo Twitter incita le forze armate dello stato ad utilizzare le armi con il seguente tweet:  

“Apoyemos el derecho de soldados y policías de utilizar sus armas para defender su integridad y para defender a las personas y bienes de la acción criminal del terrorismo vandálico” 2   

Immediatamente, dall’interno delle manifestazioni protratte fino a notte inoltrata, iniziano a diffondersi video dell’orrore portato fieramente avanti dalla polizia: spari sui civili indifesi, persone aggredite, giovani assassinati in circostanze ambigue, persone trasportate con forza senza sapere dove. In mezzo a tutta questa atrocità riportata dalle reti (ripeto dalle reti perché i notiziari colombiani continuano a sostenere che non si tratti di abuso di potere e insistono nel riferirsi ai manifestanti con l’appellativo di vandali) alcune emittenti internazionali come il New York Times e la BBC hanno iniziato a denunciare l’evidente ferocia della polizia.  

Il giorno seguente, il 2 maggio, le persone continuano a manifestare, vengono convocati i cacerolazos notturni (persone che, nelle strade, fanno rumore colpendo pentole e quant’altro) per continuare a manifestare, rifiutando la riforma – e la violenza.  

Di tutta risposta, il governo, vedendo che la situazione inizia a sfuggire di mano, decide di inviare l’esercito in città come Cali. Ovviamente questa decisione non fa altro che peggiorare la situazione, i momenti che si vivono sono densi e, temporaneamente, il Ministro delle Finanze decide di bloccare la riforma per acquietare gli animi e addirittura si dimette.  

Ovviamente le proteste continuano, il malcontento è maggiore e le persone si rendono conto che il governo li sta schiacciando e giocando con loro. Con il seguire delle manifestazioni, continuano anche le violazioni dei diritti umani da parte della polizia e tutto resta evidenziato nei video condivisi dagli stessi cittadini. La situazione è tanto grave che, all’arrivo dell’ONU, le forze armate, polizia ed esercito, le impediscono l’ingresso nelle zone di maggior interesse.   

L’ONU fa un comunicato, considerato improprio da parte del governo, e in questo momento tutto diventa incerto all’interno del paese.  Il 5 maggio continuano le proteste e in alcune zone della città è stato bloccato il servizio internet dichiarando guasto tecnico per evitare che venissero diffuse le immagini del massacro che sta andando avanti. 

Martina Grujić B.

Per leggere l’articolo in Spagnolo, clicca qui.

1 Uribe attualmente ha 276 investigazioni e processi aperti, tra cui spunta pure che durante il suo governo 2002 – 2010 ci sono stati più di 6.000 casi di "falsos positivos": durante il suo governo Uribe premiava i militari che portassero morti in battaglia, si andava nelle città e nei pueblos a prelevare giovani ragazzi con la promessa di un lavoro, i ragazzi venivano poi assassinati, vestiti come guerrilleros affinché alla popolazione arrivasse il messaggio che il governo stava lottando, e vincendo, contro la guerrilla.   
2  "Appoggiamo il diritto di soldati e della polizia di utilizzare le armi per difendere la propria integrità e per difendere le persone e i loro beni dall'azione criminale del terrorismo vandalico"

¿Qué está pasando en Colombia?

Contexto: 

En Colombia desde que inició el gobierno del presidente Iván Duque, que fue el candidato del ex-presidente Uribe, el cual tiene en la actualidad 276 investigaciones dentro de las cuales se encuentran que durante su gobierno del 2002 a 2010 se perpetraron más de 6.000 casos de falsos positivos que consistían en matar civiles y hacerlos pasar como guerrilleros de bajas en combate, han pasado más de 100 masacres nada más entre el 2020 y el 2021 que el gobierno pretende ocultar cambiando su nombre por homicidios colectivos desconociendo estos mismos, se ha pretendido acabar con los acuerdos de paz firmados entre la extinta guerrilla de las FARC lo cual ha acarreado en el crecimiento de un nuevo conflicto interno en el país, durante la declaración de emergencia sanitaria o pandemia por el Covid-19 el gobierno gastó dinero  en camionetas blindadas, tanquetas para la fuerza pública, publicidad para la imagen del mismo gobierno y un programa televisivo diario en un canal colombiano donde el presidente hace de presentador todos los días informando el avance de su gobierno contra la pandemia, todo esto desconectado totalmente de la realidad.

Actualidad:

A finales de marzo el gobierno anuncia que realizarán una reforma fiscal a la cual llaman ley de solidaridad sostenible, el 7 de abril el Ministro de Hacienda dice que Colombia solo tiene caja para 7 semanas. El 15 de abril el gobierno da a conocer el texto de la nueva reforma tributaria que entre sus muchos aspectos pretende aplicar con IVA del 19% productos de la canasta familiar como la sal, chocolate, azúcar, café, servicios funerarios entre otros, lo que se considera por muchos colombianos como un duro golpe a la clase media y baja, lo que llamamos clase obrera y trabajadora.

En vista del monumental golpe al bolsillo de los colombianos, las centrales obreras y sindicatos comienzan a convocar marchas y paros para el día 28 de abril, el gobierno nacional incrédulo ante esta convocatoria sigue adelante con su propuesta de reforma, en el transcurso de estos días miles de jóvenes se unieron a la causa compartiendo la convocatoria por redes sociales, en pocos días la información de la nueva reforma era viral y se sentía la indignación del pueblo de forma virtual, la convocatoria multitudinaria era inminente, las redes estaban inundadas de todo tipo de apoyo a la marcha, un día antes de la marcha, el día 27 de abril el gobierno nacional por medio de un tribunal ordena suspender todo tipo de marchas y manifestaciones, ordenan a las alcaldías y gobernaciones quitar los permisos de marchar a los manifestantes, asunto que aunque asustó a muchas personas también sirvió de combustible moral a quienes ya se sentían reprimidos por el gobierno.

El día 28 de abril salen a la calle millones de colombianos de todos los rincones del país, una cantidad impresionante de personas inconformes con lo que está sucediendo salen a las calles de sus respectivas ciudades marchando con la cabeza en alto, cantando, bailando y haciendo sentir en toda Colombia una voz de protesta y de rechazo principalmente contra la reforma tributaria y contra un gobierno indolente y centralizado que no ha querido escuchar a su población.

Durante la mañana las marchas se mantuvieron pacíficas mientras la mayoría de las personas estuvieron en las plazas públicas, en cierto momento de la tarde se comenzaron a ver enfrentamientos entre la población y la policía, algunas causadas por civiles que fueron calmadas por las mismas personas dentro de la marcha y otras causadas por la brutalidad de la policía que aparentemente tenía la orden de disipar las manifestaciones.

Este es el comienzo de todo porque ante la negativa del gobierno de retirar la reforma, se vuelven a convocar nuevas marchas en todo el país para el día internacional del trabajador celebrado el 1 de mayo, el gobierno advierte a las personas que no salgan y que se queden en sus casas, insisten en que las marchas solo fueron actos violentos que no se deben volver a presentar, desconociendo totalmente el clamor del pueblo y anuncian que habrán fuertes medidas de “seguridad“.

Durante esta nueva marcha multitudinaria del 1 de mayo comienza la verdadera brutalidad policial en todo el país, principalmente en las ciudades de Cali, Medellín y Bogotá, en horas de la mañana el ex-presidente Uribe incita en Twitter a las fuerzas del estado a usar las armas con el siguiente tweet

«Apoyemos el derecho de soldados y policías de utilizar sus armas para defender su integridad y para defender a las personas y bienes de la acción criminal del terrorismo vandálico»

inmediatamente en las marchas que se extienden hasta largas horas de la noche, se comienzan a ver videos en vivo en redes sociales de cómo la policía dispara sus armas de fuego contra las multitudes indefensas, se ven videos de policías golpeando a las personas que se encuentran transitando en calma por las calles de sus ciudades, se ven videos de jóvenes asesinados en circunstancias extrañas, se comienzan a reportar desaparecidos, personas llevadas por la fuerza por personas de la policía sin conocerse su paradero, ante tanta atrocidad evidenciada por redes, repito por redes porque los noticieros Colombianos seguían desconociendo que hubiesen abusos de autoridad y por el contrario siguen llamando vándalos a quienes salen a marchar por sus derechos, algunos medios internacionales como el New York Times y la BBC comienzan a mencionar la brutalidad policial vivida en Colombia durante las marchas, ante tales actos las personas siguen marchando el día siguiente, se convocan cacerolazos nocturnos en rechazo a la violencia y obviamente en rechazo a la nueva reforma.

El gobierno al ver que la situación se va saliendo de las manos comienza a llevar ejército a las calles de ciudades como Cali, cosa que empeora la situación, se viven momentos muy tensos, en cierto momento el presidente decide retirar momentáneamente la reforma para calmar los ánimos de las personas, además el Ministro de Hacienda renuncia.

Sin embargo la marcha sigue porque el descontento es mayor, las personas sienten que el gobierno los pisotea y juega con ellos, así como la marcha sigue, siguen las violaciones a los derechos humanos por parte de la policía y todo queda evidenciado en videos compartidos por los mismos habitantes del país, es tan grave la situación que ante la llegada de la ONU, las fuerzas del estado que son policía y ejército les impiden el ingreso a las zonas de mayor afectación, la ONU lanza un comunicado el cual el gobierno tilda como desacertado, en este momento todo es incierto en el país. El 5 de mayo siguen las marchas y en algunas zonas del país, para evitar que se difundan imágenes del masacre, cortan la línea de Internet…

¿Democracia? ¿Libertad?

Javier Noreña

Para leer el artículo en italiano, haga clic aquí.

“Il dolore non aspetta”: la storia di Walter De Benedetto

Quando tre anni fa mi dissero che ero affetta da Miastenia, mi resero al corrente che si trattava di una malattia neurodegenerativa, rara, e cronica. Mi spiegarono anche che una cura ancora non esisteva, ma che potevamo sperimentare alcuni trattamenti. Io sono stata davvero molto fortunata, ho incontrato sulla mia strada un’equipe di medici che mi segue costantemente, mi monitora, mi trasmette un senso di amore e protezione. Ormai mi conoscono quasi tutti al reparto di neurologia al terzo piano. Il mio neurologo è riuscito a farmi approvare dalla direzione sanitaria un farmaco biologico in sperimentazione, che su di me ha avuto effetti più che positivi. Ma mettiamo conto che io non fossi stata tanto fortunata. Mettiamo conto che tutti i trattamenti a cui sono stata sottoposta non hanno dato frutti. Mettiamo conto che la mia patologia tende ad essere recidiva, e che i dolori a volte sono talmente tanto forti e martellanti da non permettermi di svolgere una vita come tutti gli altri, da costringermi dolorante a letto. La mia condizione è una prigione che mi invalida e nulla può darmi un po’ di sollievo, se non l’uso della cannabis terapeutica, che, però, non riesco a procurarmi. Molto probabilmente, la sofferenza e la mia volontà di salvarmi mi spingerebbero a produrla per conto mio.

Questa è la storia di Walter De Benedetto, ma è un po’ anche la storia di tanti pazienti in Italia. Walter ha 49 anni e a 16 anni gli è stata diagnosticata l’artrite reumatoide, malattia infiammatoria cronica e sistemica, che lo ha reso invalido al 100% e gli ha provocato dolori lancinanti, che lo hanno costretto a letto. Non esiste cura per questa patologia, ma con la cannabis Walter riusciva a contenere i dolori e soffrire un po’ meno. Nonostante avesse una prescrizione medica, non riusciva a procurarsi la quantità giusta di cannabis curativa che gli occorreva per affrontare le sue giornate. Siccome, come da lui detto, non avrebbe mai acquistato dal mercato nero, alimentando la criminalità, si è visto costretto all’autoproduzione, per colpa delle carenze del sistema sanitario. In Italia, infatti, la cannabis può essere prodotta solo nello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare (SCFM) di Firenze, che ne produce circa mezza tonnellata all’anno, quando la richiesta dei pazienti supera le due tonnellate. La cannabis viene anche in parte importata dall’Olanda, ma con costi elevatissimi e spesso notevoli ritardi.

Walter è stato accusato di coltivazione di stupefacenti in concorso (in concorso perché un amico lo aiutava ad annaffiare le piantine, dato che lui non riesce a muoversi) e il 23 febbraio al Tribunale di Arezzo si è tenuta l’udienza preliminare. Rinviato a giudizio, andrà a processo il prossimo 27 aprile. Questo accanimento giuridico, come si può definire senza dubbio, ha sconvolto Walter, ma non lo ha piegato. Chi, come lui, soffre costantemente ogni giorno della propria vita, di certo non viene spaventato da un’aula giudiziaria. Ma è mai possibile che una persona che già deve lottare per sopravvivere, per aggrapparsi alla vita, debba ora anche affrontare questa battaglia? È mai possibile reprimere in questo modo condotte personali spinte dal dolore, dalla malattia, dalla noncuranza della sanità pubblica, in un paese dove le narcomafie gestiscono milioni e milioni di incassi e tanti pazienti rimangono senza terapia?

Walter si è presentato il 23 Febbraio, trasportato da un’ambulanza. Prima di tornare a casa, fuori dal Tribunale di Arezzo ha spiegato che questa non è la battaglia di uno, ma è la battaglia per tutti i malati che come lui vengono dimenticati dalla sanità e non riescono a procurarsi la cannabis per la terapia medica di cui hanno pieno diritto.

Purtroppo, ancora esiste un assurdo atteggiamento oscurantista nei confronti della cannabis, nella falsa convinzione che si combatta la criminalità mantenendola illegale.

Nel nostro paese se la si acquista dal mercato nero, per un qualunque uso, si è sanzionati solo amministrativamente. Mentre se si coltiva per uso personale, contrastando la criminalità e non andando ad alimentarla, si viene sanzionati penalmente e si rischiano anche fino a 6 anni di reclusione. Paradossalmente, questa legge incita il consumatore a rivolgersi al mercato illegale.

Sarebbe opportuno permettere ad alcuni soggetti controllati dallo Stato la produzione, così da assicurare ai pazienti il loro diritto alle cure.

Lo scorso ottobre 2020 Walter De Benedetto si era rivolto al Presidente della Repubblica Mattarella, con un appello che al momento ha raggiunto più di 20.000 firme. Nella lettera, scrive:

«La mia richiesta di aiuto è anche un atto di accusa contro un Paese che viola il mio diritto alla salute, il mio diritto a ricevere cure adeguate per il mio dolore. Che è un diritto garantito dall’articolo 32 della Costituzione. 

E non solo non mi garantisce questo diritto fondamentale, ma mi persegue davanti alla legge per aver provato a risolvere da me il mio stato di necessità. Oggi oltre ad essere malato e inchiodato a un letto sono anche indagato davanti al tribunale di Arezzo per coltivazione di cannabis. 

Caro Presidente, mi appello a Lei perché non ho più tempo per aspettare i tempi di una giustizia che ha sbagliato il suo obiettivo, e non ho più tempo di aspettare le ragioni di istituzioni così caute da essere irresponsabili. Il dolore non aspetta. […] Caro Presidente, io rimango, nonostante tutto, aggrappato alla vita. Ma il dolore non aspetta. Ed è un vostro dovere istituzionale confrontarvi con questa mancanza.»

È vero Walter, la giustizia ha sbagliato il suo obiettivo e non è colpa tua se le istituzioni non si sono confrontate con questa mancanza. Nella speranza che tutto questo circo finisca il più presto e che tu, come tutti gli altri pazienti, potrete avere le cure che vi aspettano, ti auguriamo di non perdere il coraggio che ti contraddistingue.

                                                                                                                 Giorgia Andenna

Le dissacranti dinamiche di Piazza Sempione

Il caso di Piazza Sempione sta rievocando i demoni della nostra democrazia. 

In un deumanizzante contesto quasi post-pandemico, la proposta di pedonalizzazione della piazza, approvata lo scorso novembre dalla giunta Caudo, sarebbe dovuta essere una notizia accolta da chiunque con entusiasmo; invece ha portato non solo a disaccordo e conflitto, ma anche, e soprattutto, a gravi atti di discriminazione che in questi giorni sono vergognosamente strumentalizzati.

Siamo a Roma, III Municipio, per chi non fosse di zona; Piazza Sempione rappresenta il cuore storico del quartiere, un punto obbligato di passaggio che, con Ponte Tazio, collega il Tufello, Talenti e la Nomentana Nuova, al resto della capitale.

Nel corso degli anni, questa piazza ha smesso di essere un luogo di incontro per diventare ogni giorno di più un luogo di transito, un parcheggio per le auto dei residenti, una stazione dei taxi, una fermata dell’autobus.

La proposta di riqualificazione urbana prevede: la rimozione del parcheggio di fronte agli uffici del III Municipio, sostituita da una nuova pavimentazione per destinare il luogo ad eventi culturali e istituzionali; la risistemazione dei parcheggi nelle aree laterali; l’allargamento dei marciapiedi della Chiesa e il riposizionamento della Statua della Madonna della Misericordia di fronte alla Chiesa stessa.

La statua si trova ora al centro della piazza ma ha assunto, per questo, il triste ruolo di spartitraffico. Annerita dallo smog e divisa da un’alta inferriata, inoltre, la Madonnina è difficile da raggiungere a piedi e anche guardandola dalle scale della Chiesa si vede solo di spalle.

Nonostante ciò, questo riposizionamento ha indignato il parroco della Chiesa dei Santi Angeli Custodi e parte dei credenti, che hanno formato un comitato di conservazione della piazza. 

Pochi giorni più tardi, un manifesto riconducibile al movimento politico religioso Militia Christi è stato affisso davanti alla statua per protestare contro il suo spostamento. L’assessore alla cultura Christian Raimo lo ha personalmente rimosso, scatenando la disapprovazione del parroco. 

La risposta di quest’ultimo è stata quella di umiliare la bandiera arcobaleno che si trova sul Municipio, definendola uno scempio; un’offesa immorale che ha spostato l’attenzione su una presenza più che legittima nella piazza.  

L’intolleranza omofoba profusa dal parroco rischiava di passare inosservata, quindi il quartiere ha deciso di rispondere. Fortemente sensibile alle tematiche di genere (è attivo da inizio marzo 2021 il Centro Antiviolenza in via Titano) è sceso in piazza domenica 7 marzo, non con la rabbia, ma con una provocazione satirica capace di attirare l’attenzione. 

Si è trattato di una simbolica processione raffigurante La Vagina, in cartapesta, come un’immagine sacra, realizzata dall’Atelier Popolare delle Arti – Lab Puzzle.

Il nostro ordinamento tutela il diritto alla satira nell’art.21 della Costituzione. 

Tale diritto è rinforzato dalla sentenza 188/1975 della Corte Costituzionale, che pone come unico limite alla satira religiosa quello del rappresentare un’offesa fine a sé stessa.

L’Holy Vagina è stata una celebrazione sacra contro l’oscurantismo della nostra società, contro la repressione dell’identità sessuale degli individui, contro la violenza di genere e soprattutto contro l’odio e la divisione.

In Italia non si rispetta il principio di laicità, questo è evidente. 

Il parroco ha messo il proprio diritto di culto davanti al diritto alla libertà nell’espressione della sessualità. 

È importante notare come tutto questo non abbia alcun collegamento logico con l’iniziale progetto di riqualificazione della piazza. Il parroco ha coinvolto nel polverone di potere temporale, da lui acquisito, il versante qui più vulnerabile.

Il livello delle discriminazioni perpetrato a danno di tutti coloro che si riconoscono nell’acronimo LGBTQIA è senza dubbio un indicatore di qualità, di civiltà e di modernità culturale di una società. 

Non si può essere tolleranti nei confronti dell’intolleranza se si vuole vivere in una società inclusiva e libera, come affermava Karl Popper.

La realtà dei fatti è che le persone che stanno scendendo in piazza in questi giorni e che si stanno scontrando in un dibattito politico piuttosto forte, stanno già segnando l’inizio di un progetto di riqualificazione della piazza come luogo di incontro.

Dopotutto, come affermava Lefebvre, la città ideale è una continua opera degli abitanti.

Zoe Votta