Tutti conosciamo almeno alcune delle note vicissitudini della vita tormentata del pittore olandese che influenzò profondamente l’arte del XX secolo, ma un profilo ancor più dettagliato della sua personalità emerge dalle lettere scritte al fratello Theo tra il 1872 e il 1890, che costituiscono un’avvincente biografia: pochi artisti hanno rivelato così tanto di sé stessi nei propri scritti. Van Gogh amava leggere e scrivere, e, delle 820 lettere scritte nell’arco della sua breve esistenza, ben 651 furono indirizzate a suo fratello Theo, il primo a comprenderne il talento e a incoraggiarne la vocazione, e il solo che non gli negò mai l’indispensabile sostegno morale e finanziario.
Vincent è un giovane curioso, intraprendente e dinamico: si sposta spesso, viaggia molto e si dedica a diverse attività. Nonostante le pressioni del padre, pastore protestante, decide di dedicarsi alla pittura, seppur cominciando a dipingere tardi, intorno ai ventisette anni, e realizzando molte delle sue opere più note solo negli ultimi anni di vita. Prima di trasferirsi a Parigi col fratello Theo, frequenta la scuola a Zevenbergen, dove impara l’inglese, il francese, il tedesco e le diverse tecniche di disegno. Durante il soggiorno parigino Van Gogh scopre la pittura impressionista e approfondisce l’interesse per l’arte e le stampe giapponesi. Fa la conoscenza di molti pittori tra cui Toulouse Loutrec e Paul Gaugain, che apprezza particolarmente e col quale condividerà per diverso tempo la sua abitazione di Arles. Lo stesso Gaugain rivela “Dapprima fu il disordine a colpirmi, ovunque e in qualunque cosa: la scatola dei colori riusciva a malapena a contenere i tubetti schiacciati e mai richiusi. Ma malgrado tutto questo guazzabuglio, non c’era cosa che non finisse sulla sua tela – e nelle sue parole. […] Nonostante tutti i miei sforzi per trovare una logica nel suo intelletto disordinato e nelle sue opinioni, non sono stato in grado di correggerne la contraddittorietà.”
Che Van Gogh avesse un animo tanto tormentato quanto ricco va da sé, ma,
nonostante i suoi modi amabili, venne spesso allontanato per via dei suoi sbalzi d’umore, dovuti principalmente all’insuccesso delle sue opere. Vincent dipingeva giorno e notte (si muniva di cappelli appositi sui quali poteva issare delle candele che gli permettevano di lavorare nelle ore notturne) e ripeteva spesso al fratello di venire assorbito dal lavoro a tal punto da perdere il contatto con la realtà e con ciò che lo circondava. Nonostante ciò, la lucidità non lo abbandonava mai: era consapevole di dover ricevere una somma mensile dal fratello che gli avrebbe permesso di coprire le spese di vitto e alloggio (ma ciò che poteva permettersi in termini di cibo era talmente scarso che per diversi periodi ebbe ricadute fisiche alquanto pesanti, che resero le sue fasi di lavoro altalenanti). Per questo, al termine di quasi ogni lettera, Vincent ricordava al fratello di non dimenticare la busta contenente i franchi necessari, e, a volte, gli mostrava le spese sostenute durante il mese.
Ma, tralasciando gli aspetti concreti, non è assolutamente raro che la penna di Vincent ci regali alcune riflessioni di origine metafisica: Van Gogh era un grande pensatore e s’interrogava spesso sul senso della vita e della sofferenza che era destinato ad affrontare. “E’ come la muta per gli uccelli, il tempo in cui cambiano le piume; per noi essere umani corrisponde ai
momenti di avversità, di infelicità, ai tempi difficili. Possiamo restare in questo periodo di muta o possiamo uscirne anche rinnovati”.
Per il pittore i momenti di sofferenza erano momenti di estrema crescita e consapevolezza e venivano vissuti con una naturalezza ed una filosofia disarmanti. Dopo l’episodio dell’orecchio tagliato ed un conseguente periodo straziante dovuto al dilagare del suo disturbo mentale, passò diverso tempo in una clinica psichiatrica, conducendo interessanti riflessioni anche sui pazzi che vi erano in cura. Van Gogh descriveva i malati come persone estremamente intelligenti e generose, capaci di una bontà rara, che lui stesso faticava a trovare al di fuori.
Theo è sempre stato il suo mentore, il suo consigliere e la persona più vicina a lui fisicamente, spiritualmente ed economicamente. Poche altre sono state le figure importanti nella vita di Van Gogh, anche perché, come facilmente intuibile e come Gaugain ci ha rivelato, pochi erano entusiasti all’idea di condividere un’abitazione con lui e per questo condusse una vita prevalentemente solitaria.
Non si deve però pensare che non avesse amici: ne aveva, e molti, con i quali si manteneva in contatto sempre per via epistolare e occasionalmente in maniera concreta.
Van Gogh continua al giorno d’oggi ad essere discusso e studiato, così come le sue opere vengono ancora apprezzate in tutto il mondo, e teorie su quale fosse di preciso il suo disturbo vengono ancora ipotizzate.
Per chi fosse curioso di scoprirne di più, “Lettere a Theo” è un’interessante fonte di studio sul pittore sia dal punto di vista umano che artistico, ed è ormai considerato un classico della letteratura moderna, prestandosi a qualsiasi tipo di lettore.
Francesca Moreschini