– Cosa stai provando in questo momento? – Mi chiedeva il mio dottore.
– Non lo so – rispondevo io.
– Cosa provavi in quel momento? Cosa sentivi dentro di te? – Mi ripeteva il mio dottore.
– Non lo so, non sento niente – rispondevo io.
Questa è una delle mie classiche conversazioni. Io, infatti, non riconosco le mie emozioni, non le sento e quindi non riesco neppure ad esternarle e a comunicarle. Io sono alessitimica.
E che cos’è l’alessitimia? Adesso ve lo spiego.
Osservazioni cliniche su pazienti affetti da malattie psicosomatiche (come la colite ulcerosa, l’asma, l’eczema, ecc.) hanno permesso di individuare un disturbo chiamato alessitimia o analfabetismo emotivo (dal greco a– «mancanza», lexis «parola» e thymos «emozione» dunque: mancanza di parole per esprimere un’emozione). Il termine alessitimia fu coniato da John Nemiah e Peter Sifneos all’inizio degli anni Settanta per indicare la patologia causata dall’incapacità di riconoscere ed esprimere verbalmente le emozioni. I pazienti alessitimici manifestano problemi nel distinguere gli stati emotivi e non sono in grado di interpretare le emozioni degli altri presentando una scarsa capacità immaginativa e onirica.
Già Paul MacLean (1949) notò una grande incapacità a verbalizzare le proprie emozioni in molti pazienti psicosomatici e ipotizzò che in queste persone le emozioni non riuscissero ad andare dai centri nervosi inferiori alla neocorteccia (il cervello verbale) compromettendo così la verbalizzazione. Jurgen Ruesch (1948) oltre ad osservare l’analoga ipotesi, notò che i pazienti avevano una personalità infantile manifestando uno stile di pensiero tendente alla passività, alla dipendenza e all’imitazione, difficoltà di espressione verbale e riconoscimento delle emozioni. Ruesch ipotizzò che le loro difficoltà relazionali potessero aver prodotto un arresto dello sviluppo psichico ed emotivo. Infine, Peter Sifneos, nel 1973, coniò il termine alessitimia per indicare un disturbo delle funzioni affettive e simboliche riferendosi:
- a una difficoltà ad esprimere verbalmente le emozioni
- a un’attività fantasmatica limitata
- a uno stile comunicativo incolore
Questi pazienti, infatti, quando venivano interrogati sulle emozioni provate durante un evento stressante, sapevano descrivere dettagliatamente l’evento, ma non riuscivano a fare alcun riferimento alle emozioni provate in quel momento.
Per comprendere meglio il costrutto di alessitimia è fondamentale fare una distinzione tra due termini inglesi: emotions (letteralmente: emozioni) e feelings (letteralmente: sentimenti). Le emozioni sono fenomeni biologici innati, mentre i sentimenti sono fenomeni psicologici individuali molto più complessi perché implicano un’elaborazione cognitiva. Questi ultimi consentono di comunicare le emozioni mediante la funzione verbale o non verbale, dipendono dalla cultura, dalle esperienze vissute, dalle rappresentazioni di sé e degli altri, da fantasie e sogni. L’alessitimia, quindi, non indica dei soggetti senza emozioni, ma degli individui che hanno un deficit della componente psicologica dell’affetto (feeling), o meglio delle persone che hanno delle emozioni biologiche (emotions), ma hanno scarsa possibilità di ricorrere agli strumenti psicologici per rappresentarle.
Taylor, Bagby e Parker hanno considerato l’alessitimia un disturbo dell’elaborazione degli affetti che interferisce con i processi di auto-regolazione e riorganizzazione delle emozioni. Questo spiega la tendenza dei soggetti alessitimici ad assumere alcuni comportamenti compulsivi come l’abbuffarsi di cibo, l’abuso di sostanze o il vivere in modo perverso la sessualità. La difficoltà di espressione per descrivere ciò che si prova, spesso, crea dei pazienti psicosomatici. Non essendo in grado di tradurre in parole le emozioni, si tende a vivere sul corpo l’emotività.
Ad oggi, il trattamento più efficace per i pazienti alessitimici sembra essere la psicoterapia cognitivo-comportamentale poiché il compito del terapeuta è quello di aiutare i pazienti a esprimere, riconoscere e gestire le proprie emozioni tenendo conto delle carenze del soggetto alessitimico.
Francesca Motta
BIBLIOGRAFIA:
V. Caretti, D. La Barbera cur., Alessitimia. Valutazione e trattamento, Casa Editricie Astrulabio, Roma 2005
SITOGRAFIA: