Nella campagna circostante l’area di Newcastle, una città situata nella regione KwaZulu-Natal in Sud-Africa, un ragazzo di 15 anni è in procinto di andare a pascolare il gregge. All’improvviso un gruppo di uomini, una folata di vento, ed ecco che il suo udito percepisce il nome di un uomo e una frase ben distinta: “Deve morire”. Riconosce subito il nome di quell’uomo, il suo nome è Lucky S., uno dei più noti attivisti dell’area contro le aziende minerarie. Preso da un senso di spaesamento corre a casa mentre quelle parole rimbombano sempre più forti nella sua testa. Arrivato a casa, consapevole della gravità di ciò che aveva sentito avverte la madre. Il telefono sta squillando. Lucky S. risponde. Dall’altra parte della cornetta una donna lo avverte che è in pericolo di vita, qualcuno ha intenzione di ucciderlo. Come era successo ad altri attivisti nelle altre regioni del Sud Africa sapeva che quel momento sarebbe arrivato.
I proprietari delle grandi aziende minerarie cercano di mettere le mani sul grande tesoro nascosto nel sottosuolo del paese africano. Tra i primi paesi con la più grande riserva di carbone e metalli; ben l’80% delle riserve di platino mondiali sono nascoste in questo territorio. Lo scontro di interessi con gli abitanti autoctoni delle varie comunità sorge nel momento in cui le diverse attività minerarie mettono in grave pericolo l’ecosistema, la tradizione, il sostentamento e la sopravvivenza delle stesse comunità. Oltre all’impatto ambientale, gli attivisti locali protestano contro le condizioni lavorative invivibili e i bassi salari dei minatori.

Il governo non si è mai soffermato troppo sugli effetti collaterali di queste attività sull’intera popolazione considerando solamente il suo impatto sullo sviluppo economico del paese. Gli attivisti così si trovano ad affrontare non solo le potenti multinazionali, ma il loro stesso governo che ostacola il loro diritto di espressione e di assemblea attraverso stratagemmi burocratici senza alcun fondamento legale o attraverso l’uso coercitivo per mezzo delle forze di polizia. Come riportato da alcuni leader di protesta di varie zone del paese, spesso i municipi hanno fatto richiesta di permessi specifici o addirittura hanno esercitato la capacità di proibire manifestazioni in casi assolutamente non specificati dalla legge. Allo stesso modo l’intervento della polizia per disperdere le manifestazioni è stato richiesto più volte in casi non previsti, la legge sud-africana ne prevede l’intervento solo in casi di estrema necessità o pericolo.
L’impatto delle attività minerarie è davvero così devastante? Alcuni dati riportano chiaramente l’effetto negativo delle miniere sull’aria, il terreno, le risorse d’acqua e i campi arabili, essenziali per il sostentamento delle famiglie rurali della zona. In uno studio del 2014 il Council for Scientific and Industrial Research ha esaminato l’acqua del fiume Olfants River, le cui acque scorrono in molte zone minerarie, trovando un eccesso di antimonio, arsenico, mercurio e uranio. Tutti elementi che, se in eccesso, sono altamente tossici per l’uomo e l’organismo marino. Difatti questo fiume è considerato tra i più inquinati d’Africa, ma per molte comunità è una risorsa idrica essenziale. La qualità dell’aria viene compromessa dalla polvere prodotta dalle miniere, senza contare l’impatto sul suolo, la South African Policy on Food and Nutrition, in uno studio dal 1994 al 2009, ha constatato che l’aumento del numero di miniere è inversamente proporzionale alla percentuale di terreni utilizzabili per la produzione di cibo, un declino del 30%. Tutto ciò senza considerare l’impatto sui lavoratori, in cui viene riscontrata una crescita di malattie come la silicosi o la tubercolosi o il suo impatto sociale dato che molte famiglie devono allontanarsi dalle proprie case in cerca di nuovi terreni arabili e l’aumento di casi di HIV.
Nel secolo precedente il governo aveva varato una legge per tutelare le comunità autoctone locali e le loro proprietà terriere. Nel 1996 venne firmata “Interim Protection of Informal Land Rights Act” una legge con la quale veniva stabilito l’obbligo della maggioranza di una comunità situata in un determinato territorio per consentire ad eventuali aziende minerarie il diritto di proprietà. Nel 2002 un’altra legge, il “Mineral and Petroleum Resources Development Act”, permise al governo di rilasciare concessioni edili senza alcun bisogno di una maggioranza comunitaria. Questa convivenza di leggi contraddittorie creò disordine e confusione. La Corte Nazionale in due occasioni ha specificato come per alcuni territori la prima legge prevalga sulla seconda. Sfortunatamente per colpa dell’esagerata corruzione e per la mancanza di trasparenza, i leader di alcune comunità hanno acconsentito alla costruzione di miniere senza la consultazione della propria comunità di appartenenza.
In questo caos legislativo e sociale, i protestanti subiscono violenze, minacce di morte e perdono la vita per salvaguardare il loro diritto di espressione, il diritto di assemblea e il diritto a manifestare. I leader di queste organizzazioni di protesta sono costretti a scappare dalle loro comunità o a dormire ogni giorno in una casa diversa per non essere arrestati. Gli attivisti vengono picchiati a sangue, incarcerati, ridicolizzati davanti la loro stessa comunità. Il governo è completamente assente e la giustizia non ha nessun effetto in un sistema tanto marcio. Questo clima di paura pian piano sta avvilendo coloro che credono in un paese che può e deve lottare per i propri diritti. Nell’Agosto del 2016 in quello che viene ricordato come il massacro di Marikana, 17 lavoratori furono uccisi da colpi da arma da fuoco, a distanza di 3 anni nessun poliziotto fu indagato per quell’atto brutale. Vite sono state bruciate, ma con loro non morirà il loro canto di protesta.

In una giornata di sole in Sud Africa, un lavoratore maltrattato e sottopagato marcia con i propri compagni in nome dei propri diritti. All’improvviso appare un gruppo di uomini armati, poliziotti venuti per disperdere la manifestazione. Ma con quale diritto? Una folata di vento e quella sensazione di paura che ti paralizza, il corteo si fa improvvisamente silenzioso. Gli occhi dei suoi compagni si cercano a vicenda. Poi una frase: “Sparate a questi cani”. Corre, corre cercando di essere più veloce dei proiettili di gomma, davanti a lui vede un uomo a terra colpito alla testa dal un proiettile di gomma. Il sangue circonda il capo. Non può fermarsi, non ora, non oggi, non senza aver visto il suo paese e i suoi lavoratori liberi dalle vecchie oppressioni di una storia già vista.
Oscar Raimondi
foto con poliziotti ap/lapresse, foto con protestanti reuters