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Lettera aperta di un’attivista femminista nel 2020 (quasi 2021)

Ho iniziato a fare attivismo sui social, perché sono una studentessa di Comunicazione e mi piace guardare allo strumento che ho tra le mani non come un demone cattivo che ci divide, ma come uno di quegli scettri magici con cui giocavo quando ero bambina.
Per me il social è: piazza, con l’unica differenza che se mi mettessi al centro della piazza del mio paese per dire ciò che penso su alcune tematiche, probabilmente sembrerei una pazza. E non so nemmeno se qualcuno mi starebbe a sentire.
Il social è: potenza. Basta esprimere un qualcosa che crei interazione, positiva o negativa che sia. Crei riflessione.
La riflessione è diventata il mio primario obiettivo, primordiale obiettivo. Dal primo post in cui ho iniziato a parlare di mercificazione del corpo femminile, uno specchio e una scritta di rossetto rosso: “decidi tu”.
In quei mesi stavo scrivendo la mia tesi di laurea in Sociologia Generale: Stereotipi e Mercificazione del corpo femminile in televisione, pubblicità e media.
Il riscontro è stato positivo ma anche negativo.
Vi chiederete perché c’è del “negativo” dietro ad un messaggio che invece è del tutto positivo perché spingevo solo tutte le ragazze come me ad autodeterminarsi!

Positivo perché ho capito che non sono sola e l’ho fatto capire di riflesso alle altre ragazze, tutte insieme ci siamo confrontate e abbiamo capito quanto quel mostro (il maschilismo) spesso e volentieri non ci lascia scelta e così “non decidiamo noi”, non decidere per se stess*: mi sento svuotata se ci penso;
negativo perché sono arrivati i primi insulti, i primi giudizi, perché si sa quando ti esponi è così. Dico “negativo” non perché non accetti le critiche costruttive, ma perché spesso e volentieri erano giudizi giusto per difendere la categoria, dalla serie “not all men”. O perché fa sempre strano che una donna si ribelli, dobbiamo stare al nostro posto e subire, no?!

Da sempre siamo destinate: siamo le bimbe che giocano ai ruoli passivi, e i maschietti a quelli attivi.
Poi siamo lo stigma madre, moglie, figlia, dedita alla casa.

Che fai, ti ribelli?
Stai zitta, che è meglio!

Così iniziano a darmi della “femminista” per offendermi, o denigrare il mio lavoro e ancora oggi non so ancora bene come prenderla sinceramente: a volte penso che certe persone mi provocano dispiacere, nel senso che non riescono ad informarsi pur avendo a disposizione uno strumento che glielo permette, ma come ho detto qualche giorno fa nelle mie stories: a volte si tratta di non-volontà.
Basterebbe davvero, leggere un libro, navigare in internet per capire che quando ridicolizzate il movimento dicendo cose come “neofemminismo” state sbagliando, perché il femminismo va per ondata e noi ci troviamo ancora nella quarta ondata, dal 2012 circa,  l’ondata del femminismo inclusivo, il femminismo intersezionale. E che il “neofemminismo” non esiste, come non esistono le “nazifemministe”.
Soprattutto perché date per scontato che il femminismo sia una cosa che riguarda solo le donne.
E invece esistono (per fortuna) anche uomini femministi.
E “dovremmo essere tutti femminist*”.
Maschilist* invece lo siamo tutt*, ed è facile capire il perché.
Viviamo in una società che ci campa a pane e maschilismo.
E lo assimiliamo tutt*, in modo davvero intrinseco.

Io sono stata maschilista in passato, lo sono stata quando facevo slut-shaming senza rendermene conto, lo sono stata quando giudicavo e facevo body-shaming.
Nessun* nasce femminista, purtroppo. Perché, ripeto, nasciamo in una società messa così.
Però lo si può diventare. Si può migliorare. Ci si può correggere.

Intanto, come boomerang mi arrivano di ritorno certe parole:

Ripetitiva.
Esagerata.
Esasperata.


Queste parole qui me le hanno dette più e più volte. Anche “femminista” come offesa: il femminismo guarda alla parità, non vedo perché dovrebbe essere visto con accezione negativa. Non vogliamo la superiorità rispetto a voi, vogliamo semplicemente essere viste alla pari e speriamo ogni giorno di più che voi siate d’accordo per questo e lottiate al nostro fianco e invece …  “ancora che rompete?non vi manca niente! Potete pure votare!”

Oh, sì, grazie mille!
Sì, “ ancora” , fatevi un giro per dati ISTAT, e capirete.

Ripetitiva: E menomale! Stiamo ancora al punto che confondete il maschilismo col femminismo, credendo che siano opposti. A livello linguistico vi confondono forse, ma grazie ar BEEEPP… che stiamo sempre a ripetere le stesse cose, non fate sforzi, mi raccomando!

A livello linguistico è vero, le parole possono confondere, ma ripetita iuvant:

femminismo
/fem·mi·nì·ṣmo/
sostantivo maschile
Storicamente, il movimento diretto a conquistare per la donna la parità dei diritti nei rapporti civili, economici, giuridici, politici e sociali rispetto all’uomo: le prime manifestazioni del f. risalgono al tardo Illuminismo e alla Rivoluzione francese; estens., il movimento, ampio e articolato, che tende a porre l’accento sull’antagonismo donna/uomo, nel sociale come nel privato, e a realizzare una profonda trasformazione culturale e politica, riscoprendo valori e ruoli femminili in senso antitradizionale.

maschilismo
/ma·schi·lì·ṣmo/
sostantivo maschile
La presunta superiorità dell’uomo sulla donna, tradizionalmente connessa con gli attributi della virilità; l’atteggiamento o il comportamento che ne deriva, nei suoi riflessi sociali.

Chiedo, al ragazzo che in direct message mi disse: “Beh io odio le femministe e odio i maschilisti”.

Ora è più chiaro?

Esagerata: è una parola che proprio non sopporto, cosa è esagerato per te, non lo è necessariamente per me. Tu sei una persona X, e io ne sono tutt’altra. Il mio percorso di vita è il mio, le mie reazioni sono le mie, i miei modi restano i miei, non esagero, ma reagisco. E quando un uomo, bianco, cisgender mi dice che sono esagerata se penso che il catcalling sia una cosa squallida, beh, anche meno. Vorrei tanto riparlarne se mai succedesse il contrario, voglio vedervi lì di sera mentre torni a casa con il mazzo di chiavi tra le dita e il cuore in apnea. Allora in quel momento, avendolo provato, sì: potremmo riparlarne. Ma non succederà mai, perciò decido io ciò che è esagerato sulla mia pelle, se permettete.
E’ un po’ come se io donna, bianca, cisgender, un giorno mi sveglio e dico ad una donna, nera, transgender: sei esagerata se ti senti esclusa, dai!
Non posso saperlo, non potete saperlo, punto.

Esasperata: sì, sono esasperata.
Esasperare vuol dire: rendere  acuto, gravoso.
Per me è tutto questo è grave, molto grave.
Ogni giorno molte ragazze mi raccontano le loro storie, una ragazza che ormai è mia amica, mi ha raccontato di quella volta che è stata stuprata.
Capite? Ditemi ancora che non devo essere “esasperata”.
Esasperata lo sarò sempre, fin quando non cambia tutto questo.
Fin quando troverò lavoro e sarò trattata al pari del mio collega uomo.
Fin quando potrò uscire a tutte le ore senza modificare il mio abbigliamento “perché non si sa mai”.
Fin quando in televisione non sentirò più di una donna uccisa dal marito “perché l’amava troppo”.
Fin quando “una donna ha fatto questa importante scoperta per la scienza” come se non avesse nome e cognome.
Fin quando ognuna di noi potrà scegliere come autodeterminarsi e potrà vivere liberamente la sessualità.
Fin quando non esisteranno più lo slut-shaming, il body-shaming, il revenge porn, il victim blaming, le molestie verbali, quelle fisiche, gli stupri, il femminicidio, il mansplaining.
Fin quando non saremo più carne da macello, vetrina, involucro sfavillante o cornice muta.
Fin quando non saremo davvero libere.

Punto. 

Vanessa Putignano

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Fridays for future, Ende Gelände e Greenpeace manifestano contro l’estrazione del carbone

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Nella miniera a cielo aperto più grande d’Europa, la “Rheinisches Revier”, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, vicino a Erkelenz, le organizzazioni contro il cambiamento climatico hanno annunciato che protesteranno nel fine settimana dal 19 al 24 giugno. “Ende Gelände”, Fridays for future e Greenpeace si aspettano che migliaia di persone partecipino per manifestare contro l’estrazione di carbone a cielo aperto e il trasferimento di interi villaggi. L’uso continuato del carbone come combustibile fossile fino al 2038 è insostenibile per molti attivisti e uno dei temi principali di discussione quest’anno.

All’inizio, la polizia era preoccupata per le escalation, specialmente in relazione agli studenti che manifestavano con i Fridays for future. Avevano anche paura di attività illegali e violente.

Si prevede di bloccare i binari ferroviari che portano alla miniera e fermare la produzione e la spedizione. Il programma dei manifestanti con i Fridays for future è di marciare attraverso la vicina Aquisgrana e poi unirsi a una grande manifestazione chiamata “Alle Dörfer bleiben” (“Tutti i villaggi restano”) prima di unirsi a “Ende Gelände” alla periferia della zona. Greenpeace ha anche annunciato che si uniranno a questa manifestazione.

Ci sono diversi punti di vista sulla fine dell’uso del carbone: “Ende Gelände” vuole l’arresto immediato dell’estrazione mineraria, mentre i Fridays for future pensano che il 2030 sia un obiettivo realistico – ma dal momento che tutti stanno combattendo per la stessa cosa, sono solidamente uniti.

Lea Hüntemann


Sitografia:

La generazione di rimessa di Andrea Catarci

Giovedì 6 giugno Andrea Catarci, attivista e scrittore nonché ex presidente del Municipio VIII di Roma, ha presentato nella Libreria Nuova Europa – I Granai il suo ultimo libro, “Generazione di rimessa”, edito da DeriveApprodi. Con lui la giornalista di Repubblica Marina De Ghantuz Cubbe Amedeo Ciaccheri, che per una sera sveste i panni di presidente del Municipio VIII per indossare quelli inediti di moderatore. A loro si è aggiunto nel finale Massimiliano Smeriglio, fresco di elezione al Parlamento europeo, per un intervento dal pubblico.  Continua a leggere

Chiudi il rubinetto quando ti lavi i denti per salvare l’ambiente? Sei un irresponsabile

Con l’allarmante avvicinarsi del punto di non-ritorno per il cambiamento climatico, il tema della salvaguardia dell’ambiente è stato oggetto negli ultimi anni di crescente attenzione da parte dei media e degli organi nazionali e sovranazionali di tutto il mondo, seppur in netto ritardo rispetto all’instancabile lavoro di sensibilizzazione portato avanti da scienziate/i, NGO, attivisti/e ed esponenti della società civile. Il risultato di questa rinnovata attenzione si traduce spesso in una serie di programmi ed iniziative volti a informare e sensibilizzare le cittadine e i cittadini del mondo riguardo lo spreco di risorse, il consumo consapevole e la produzione di rifiuti. Spegni la luce quando lasci una stanza, chiudi la doccia mentre ti insaponi, usa lampadine a basso consumo, muoviti con la bici o coi mezzi pubblici, installa pannelli solari, usa prodotti riutilizzabili o in materiale riciclabile e così via. Bene, ottimo anzi! Giustissimo! O no?

No, non è giusto. Non lo è per niente: il 90% dell’acqua consumata dal genere umano in tutto il mondo è utilizzata per l’agricoltura e l’industria, il resto è diviso fra consumo individuale e utilizzo pubblico. Negli ultimi 15 anni il consumo energetico individuale non è mai stato più di un quarto del totale, il resto è usato da industria, agricoltura, commercio, governi e multinazionali. Dati simili riguardano le emissioni di CO2 e la produzione di rifiuti. Tralasciando i fenomeni da baraccone che negano il cambiamento climatico ed i media che si ostinano a metterne in discussione gli effetti quando non la realtà stessa, il mondo intero è messo sotto pressione affinché ciascuna/o riduca il proprio impatto ambientale individuale e privato. In sostanza è un po’ come chiedere alle persone, durante un’epidemia, di usare meno farmaci perché altrimenti potrebbero finire le scorte, mentre la produzione di farmaci è ferma e nulla viene fatto per contenere la diffusione dell’epidemia o addirittura la si favorisce. Piuttosto assurdo come ragionamento.

Il motivo per cui continuando di questo passo non vinceremo mai la guerra contro il cambiamento climatico è che stiamo utilizzando le armi sbagliate contro il nemico sbagliato. L’azione isolata ed individuale di ciascuna/o di noi, anche quella di tutti/e noi sommata, è sicuramente importante ma non è sufficiente a cambiare alcunché. Siamo oggetto di una costante e martellante campagna di colpevolizzazione che trasferisce la responsabilità di fermare il cambiamento climatico su ciascuno/a di noi, la quale ci isola e ci intimidisce, ci convince che noi come individui siamo causa di tutto ciò e che quindi solo noi come somma di individui possiamo essere la soluzione. Eppure i dati elencati sopra mostrano una realtà diversa, una realtà i cui protagonisti e colpevoli sono appunto le multinazionali e le grandi compagnie dell’industria, dell’agricoltura, dell’estrazione e del trasporto ed i governi nazionali e sovranazionali. E purtroppo in questo caso non si può parlare di becero complottismo perché questi sono dati diffusi e confermati da qualsiasi studio ed indagine condotti con metodo scientifico.

Pensare di salvare il pianeta limitandosi alle azioni citate sopra, o anche dando una svolta radicale al proprio modo di vivere impegnandosi a condurre un’esistenza a “impatto zero” è da irresponsabili. Ciò di cui abbiamo bisogno è uno sforzo collettivo: dobbiamo essere più della somma degli individui, dobbiamo andare oltre il nostro agire quotidiano, indirizzare la nostra attenzione e la nostra forza verso i veri colpevoli del disastro ambientale ed umanitario verso cui stiamo precipitando. Responsabilizzarsi significa quindi prendere coscienza di tutto questo e decidere di impegnarsi in un qualcosa di più grande – certamente più difficile – e più incisivo. I modi per farlo sono infiniti e vanno da manifestazioni come i “Fridays for future” a quello che viene sprezzantemente definito eco-terrorismo con tutte le sfumature intermedie, ma dobbiamo fare qualcosa e dobbiamo farlo ora: non serve a nulla investire nel costruirsi il proprio futuro in un mondo che un futuro rischia non averlo più.

Quando le conseguenze sono collettive, la responsabilità non può essere individuale.

Mattia Comoglio