“È ancora austerità!” Così tuona Felice Roberto Pizzuti, professore ordinario e direttore del master in Economia Pubblica alla Sapienza, davanti a diverse e importanti figure istituzionali come il Presidente della Camera Roberto Fico, il Presidente dell’INPS Raffaele Tridico e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Ma a cosa si riferisce Pizzuti? Beh, il titolo dell’articolo già risponde a questa domanda: alla sanità. Pizzuti nella presentazione annuale sullo Stato Sociale porta un rapporto di 500 pagine in cui affronta diversi argomenti, dal Reddito di Cittadinanza alla Quota 100, ma anche lo stato del nostro Sistema Sanitario Nazionale e su quest’ultimo si focalizza sul danno provocato dal welfare aziendale.
Prima di analizzare la critica del rapporto bisogna capire cos’è il welfare aziendale in generale e cos’è nello specifico per la sanità. Con welfare aziendale intendiamo l’insieme di piani e iniziative messi in atto dal datore di lavoro con l’obiettivo di migliorare il sentiment (opinione) del lavoratore. In termini teorici intendiamo il riconoscimento del valore del lavoratore (definito come capitale umano) nell’azienda, in termini pratici intendiamo una serie di servizi che migliorino la qualità lavorativa e di vita del lavoratore. Questi servizi possono essere sia per il singolo come sconti e promozioni, ma anche buoni per palestra, shopping ecc., oppure per la famiglia come buoni per l’istruzione, per l’asilo e anche per la sanità privata. Nel caso specifico della sanità parliamo di “buoni premio” che si aggiungono sul contratto dei lavoratori, ma che possono essere utilizzati solo in strutture sanitarie private e che sono generalmente detassati (ad esempio ipotizziamo che lo Stato prenda il 30% di tasse dalla paga del lavoratore, su questi buoni si ha una detassazione al 10% che ovviamente rende molto più appetibile il “buono” al lavoratore, guadagnando un 20% in più).
Proprio su quest’ultimo punto si imbastisce la critica di Pizzuti, il quale afferma nel rapporto che questo tipo di welfare aziendale toglie ogni anno ingenti risorse (stimate attorno ai 2 miliardi di euro) che potrebbero andare al Sistema Sanitario Nazionale, aggiungendo che questa scelta rientra in un piano più ampo in cui si cerca di orientare il lavoratore, incentivandolo, verso la sanità privata. A questa critica si oppongono in prima linea Confindustria e una parte dei sindacati confederali, dove entrambi affermano che è impossibile abolire questo contributo ai lavoratori senza incorrere nella loro ira, siccome proprio il lavoratore se dovesse scegliere 100 euro detassati al 10% da sfruttare nella sanità privata e 100 euro tassati al 30% sceglierebbe a occhi chiusi la prima condizione (n.d.r. dati citati come esempio da Confindustria). Il motivo per cui Confindustria si oppone ovviamente è dovuto proprio a una questione di “sentiment”, in quanto, come citato sopra, ottiene la fidelizzazione dei lavoratori, mentre una parte dei sindacati si oppone per il semplice motivo che se accettasse di abolire questi buoni sanitari rischierebbe di incontrare la dura opposizione dei lavoratori, molto spesso iscritti agli stessi sindacati. (Va sottolineato che queste posizioni non sono per niente oscure o nascoste, sono sempre esplicitate da entrambi i gruppi).
Ora qui arriva la questione centrale: chi ha ragione? Pizzuti o l’opposizione? Pizzuti ha innanzitutto ragione quando afferma tramite il rapporto che questo sistema contribuisca al definanziamento del Sistema Sanitario Nazionale e che rafforzi quello privato, ma bisogna comunque tener conto che le esigenze dei lavoratori si pongono come un ostacolo non indifferente. Il problema reale, comunque, è da ricercarsi su una particolare affermazione del rapporto, ovvero quella per cui questo farebbe parte di un piano sostenuto dai Governi a favore della sanità privata ed è qui che bisognerebbe affrontare la questione, se ci fosse una forza realmente interessata a cambiare questo, si riuscirebbe anche a intavolare una discussione in cui i lavoratori non si sentirebbero in perdita, ovviamente ad oggi, al di fuori delle associazioni, questo interesse non esiste.
Infine va segnalato che associazioni come “Dico32” e “Forum per il diritto alla Salute” hanno già proposto, prima ancora di questo rapporto, un’iniziativa di legge per affrontare il problema del welfare aziendale che magari affronteremo in un successivo articolo di “Sanità for Dummies”.