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Corridoi umanitari

Durante la settimana dei Dialoghi sull’Europa al dipartimento di Scienze Politiche Sapienza, in un incontro tenutosi lunedì 19 Marzo 2018, il professore D’Angelo e il giudice Cottatellucci hanno approfondito e analizzato un nuovo progetto nato in Italia nel 2015, un progetto che ha attirato molte attenzioni in tutta Europa per la sua funzionalità: i corridoi umanitari, una nuova via d’accesso legale per l’Europa. Grazie anche alla testimonianza diretta di Dawood Yousefi e del suo viaggio odisseico per arrivare in Italia dall’Afghanistan è stata sottolineata la necessità di progetti nuovi e concreti come questo. Ma cosa sono concretamente i corridoi umanitari? Chi riguardano? E soprattutto: come funzionano?

I corridoi umanitari sono un progetto realizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese in accordo con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e quello dell’Interno. Il primo protocollo d’intesa è stato firmato il 15 dicembre 2015. Il protocollo consente l’entrata legale e sicura a tutte le persone  in “condizioni di vulnerabilità” (ad es. vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, donne sole, anziani, malati, persone con disabilità) nel territorio italiano attraverso il rilascio di un visto umanitario e successiva presentazione della domanda d’asilo.

La possibilità di ottenere un visto prima ancora di essere in territorio italiano abbatte le barriere territoriali, grande limite delle norme vigenti a livello internazionale. L’art. 33 della Convenzione di Ginevra, così come le direttive europee, vietano fermamente l’espulsione o il rinvio al confine di un rifugiato, a meno che non sia un pericolo per la società. Questa norma, senza ombra di dubbio razionale, comprende dentro di se una grande contraddizione. I rifugiati a cui non viene garantito un visto d’ingresso, procedura regolamentata dal decreto legislativo 286 del 1998, possono decidere comunque di tentare di raggiungere le coste italiane consapevoli del fatto di non poter essere riportati a confine o essere dichiarati automaticamente illegali. Per questo motivo molti rifugiati utilizzano tutti i loro risparmi per intraprendere viaggi pericolosi e sfidare le acque del Mediterraneo, allo stesso modo una soluzione come questa automaticamente porterebbe avanti una lotta contro il business degli scafisti e dei trafficanti di uomini.

Dawood, quando 15 anni fa partì dall’Afghanistan insanguinato dalla guerra per arrivare a Bari, aveva solamente 17 anni. Il viaggio durò 11 mesi e lungo il percorso un suo amico perse la vita. Dawood, ancora minorenne, scappò dal suo paese nativo per raggiungerne un altro dove non gli si negasse il diritto alla vita. La sua testimonianza fa capire quanto occorra un sistema che tuteli delle fasce civili, come i minorenni, in maniera tale che possano trovare rifugio in un paese straniero senza correre il rischio di perdere la vita.

Nella prima fase del progetto i paesi coinvolti sono Libano e Marocco, nella seconda l’Etiopia. Tra i paesi con il più alto numero di rifugiati nel proprio territorio, il Libano conta 1 milione e mezzo di rifugiati, una buona parte siriani.

L’ex Primo Ministro italiano, Paolo Gentiloni, ha espresso apprezzamento per il rinnovo del protocollo d’intesa che permetterà l’arrivo di 1000 rifugiati anche nel biennio 2018/19. Successivamente ha sottolineato la “proficua sinergia tra società civile e istituzioni”. Il meccanismo del rilascio del visto è azionato da una collaborazione tra le due parti, gli esperti e i volontari dalle società aderenti al progetto contattano le associazioni territoriali che operano nei paesi interessati (ONG, Chiese e organismi ecumenici) per compilare una lista di coloro che possono aderire all’opportunità di ottenere il visto. In un secondo momento la lista, esaminata e controllata, verrà trasmessa alle autorità consolari e al Ministero dell’Interno. Quest’ultimo, secondo il decreto legislativo del 25 Luglio 1998, n. 286 sulle “disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, hanno diritto all’ultima parola.

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Il progetto ha una sua struttura ben precisa, ma la domanda sorge spontanea: ma i finanziamenti? E soprattutto una volta arrivati in Italia quale destino attende i rifugiati? In risposta alla prima domanda il progetto è completamente autofinanziato. I finanziamenti vengono raccolti in larga parte dall’otto per mille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi, ma anche da altre raccolte e donazioni, come la Campagna lanciata dalla Comunità di Sant’Egidio. Analogamente l’accoglienza e l’integrazione sono a carico delle organizzazioni promotrici. Così come i finanziamenti anche l’accoglienza e l’integrazione sono a carico delle organizzazioni promotrici. L’integrazione nel tessuto sociale territoriale e culturale italiano non può che passare dall’apprendimento della lingua italiana e la scolarizzazione dei minori e, ovviamente, altre iniziative.

In conclusione, il progetto illustrato propone un’alternativa valida alle politiche sull’immigrazione europee ed internazionali. Oltre ad aver ottenuto elogi dalle cariche istituzionali italiane più alte, il progetto ha attirato le attenzioni dell’Unione Europea. La Francia e il Belgio hanno adottato lo stesso metodo per accogliere rifugiati nel loro territorio nazionale. I corridoi umanitari rappresentano una proposta alternativa, le organizzazioni realizzatrici del progetto permettono di avere una struttura ben oliata e funzionale. I rifugiati arrivano nel territorio nazionale in sicurezza e legalità, e soprattutto ricevono un’accoglienza adeguata. Infine i corsi di integrazione assicurano loro la possibilità di avere un futuro nel paese ospitante.

Oscar Raimondi

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