Si potrebbe definire Cold War di Paweł Pawlikowski (1957), più che una storia d’amore, il racconto delle “stazioni” di un amore: non è casuale, visto che questo film si rivela profondamente cattolico nel nocciolo e nella struttura, in un susseguirsi di tappe cronologicamente e geograficamente distinte nel contesto di una messa a morte.
Wiktor (Tomasz Kot) e Zuzanna detta ‘Zula’ (Joanna Kulig) si conoscono alla scuola di danza e canto Mazurek nella Polonia del ‘49: è colpo di fulmine ma lui sogna l’Occidente e le chiede di oltrepassare il Muro durante la trasferta per uno spettacolo a Berlino.
Zula ha paura e solo dopo anni lo raggiungerà a Parigi. Il problema è che la sua voce vigorosa è costretta nel poeticismo spiccio ed affettato da rive gauche che infesta la capitale. Wiktor vorrebbe essere assimilato ma proprio questo porta di nuovo ad una separazione.
Tornati entrambi in Polonia, Wiktor viene torturato per aver fatto la spia agli inglesi. Lei riesce a liberarlo a costo di un matrimonio indesiderato e di un figlio non voluto ma lui non può più suonare. Ormai al limite, ai due non resta che la morte.
La struttura liturgica contiene un amore da ballata e questo spiega l’ingenuità e l’idealismo dei protagonisti, che è forza e limite del film e li riallaccia al fatalismo dello spirito polacco e slavo.
I punti di forza sono il loro legame con la propria terra ed il bianco metafisico che li avvolge e fa sembrare i cori femminili del film dei cori ecclesiastici, nel senso più bello del termine.
L’ironia tragica del film è un’ottima fondazione su cui poggiare la trama: i cori della Mazurek cantano di amori semplici, di promesse che solo chi ha un rapporto diretto con la vita e vive del quotidiano può fare e mantenere; l’amore dei protagonisti cerca sempre un terreno diverso su cui fiorire e alla fine non può che farli deperire: hanno perso sia il luogo che il momento giusto per trovare la stabilità.
Su due protagonisti bravissimi è Joanna Kulig a primeggiare per intensità e a racchiudere in sé la volubilità di entrambi i personaggi. La sua Zula non cessa mai di essere “ragazza”, non perde mai la sua freschezza di adolescente.
Se c’è un film che si possa legare strettamente a Cold War, è Bright Star (2009) della Campion che raccontava del rapporto tra John Keats e Fanny Brawne: un film figlio di tutt’altro contesto e con tutt’altro intento, più tattile ed aggraziato nello stile ma pur sempre un racconto dove è percepibile l’influsso della poesia sul piano della musica e dove si riesce a sentire il tempo in cui vivono gli amanti protagonisti.