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Wir Kinder vom Bahnhof Zoo

Tra i banchi di scuola ricorre spesso il titolo “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino.” di Christiane F. 

È una lettura quasi d’obbligo e rientra nell’antologia scolastica, strano a dirsi, ma tra i classici che gli insegnanti propinano agli studenti vi è proprio l’autobiografia di un’eroinomane di tredici anni. Fa effetto accostare alla figura di una giovanissima ragazza qualcosa come l’eroina: è un immaginario crudo, diretto, esplicito e scandalizzante. Ebbene, sono proprio questi i primi aggettivi che fuoriescono spontanei dalla bocca dopo aver terminato il romanzo, un documento-verità con tanto di date, luoghi e personaggi di cui solo il nome è di fantasia. 

È singolare anche solo la sua origine: il libro nasce a seguito di un’intervista da parte di un famoso settimanale tedesco alla futura autrice, perché implicata in un processo per droga e prostituzione minorile; partendo da semplici domande mirate solo a far notizia, nel 1979 viene invece pubblicato il resoconto devastante di Christiane Vera Felscherinow, che ha riportato ai giornalisti di “Stern” in ben due mesi “di intervista”. 

La storia si apre con un cambiamento, l’eccitazione di una bambina che sta per traslocare dalla piacevole Amburgo a Berlino per motivi strettamente economici, nella speranza dei suoi genitori di aprire un’agenzia matrimoniale nella capitale. La disillusione, il grigiore del quartiere di Gropiussadt, il deterioramento del matrimonio dei suoi genitori ed un padre nello specifico, assai violento, sono fattori con cui Christiane e la sua sorellina minore sono costrette a convivere; solo dopo qualche anno la madre di Christiane si separerà dal padre, sempre ubriaco e insoddisfatto, aggiungendo un altro elemento per definire un’infanzia tutt’altro che serena. Vivendo con la madre la ragazza, ormai dodicenne, frequenta un istituto professionale ed ha il permesso di recarsi il pomeriggio all’Haus der Mitte, un oratorio di chiesa evangelica che si rivela essere la dimensione dove si dimenticano i problemi grazie alle droghe leggere e ai vinili trafugati da qualche negozio di dischi. È un momento fondamentale della storia poiché qui la protagonista viene a contatto per la prima volta con il mondo della droga, grazie a questo libro abbiamo una vera testimonianza di come, per l’autrice, un volgarmente chiamato “spinello” possa essere “la fionda” capace di catapultare l’individuo sulla via del non ritorno. La giovane con il passare dei mesi si ritrova sempre più insoddisfatta, sempre più smaniosa di crescere e di evadere dalla realtà ed il circolo del pomeriggio non le basta più. 

Il “Sound” è la nuova meta, una discoteca famosissima che pullula di spacciatori, persone già corrotte da ogni tipo di pasticca. Christian percepisce questi individui come “star” da emulare e seguire. Qui incontra i ragazzi che definirà la sua vera famiglia, tra cui Detlef il suo primo amore, avvelenato dalla onnipresente Eroina.  Tra le righe vi sono alcuni sprazzi di innocenza e di sentimento genuino, tipico dell’adolescenza, in questa giovane coppia che vive la storia d’amore in un mondo fatto di dosi, astinenze, dolori e degrado. 

“David Bowie viene a Berlino.” 

Altro avvenimento importante è il concerto dell’icona di quei tempi, l’idolo dei giovani, nonché il Duca Bianco che tutti conosciamo ancora oggi, lì la nostra protagonista, dopo il concerto di David Bowie, si inietta per la prima volta l’eroina. 

“Non fu certo così che io, povera ragazza, venni presa di mira consaplevomente da un pericoloso bucomane o da uno spacciatore, come si legge sempre sui giornali. Non conosco praticamente nessuno che sia stato spinto a bucarsi contro il suo desiderio. La maggior parte dei giovani alll’eroina ci arrivano da soli, quando sono maturi per farlo come lo ero io.” così nel testo si è spettatori di una scelta che appare quasi inevitabile e al contempo, la stessa autrice ne sottolinea la convinzione e la consapevolezza con cui questa è stata presa.

La squallida stazione del Bahnhof Zoo diventa la sua quotidianità, il “fare marchette” è necessario per le dosi perché l’eroina costa e Christiane più volte, anche con l’aiuto della madre cerca di smettere, ma la compagnia che frequenta non fa altro che invogliarla a  tornare. È palpabile la sua fobia della solitudine, la sua completa mancanza di forza di volontà che continua a costruirsi per sentirsi ancora “la ragazza più temuta della scuola” inutilmente. Subisce un duro colpo con la morte di una delle sue migliori amiche Babette Döge (14 anni, morta il 19 luglio 1977), detta Babsi, la vittima più giovane dell’eroina. 

Il libro si conclude con un luce fioca in fondo ad un tunnel degli orrori ed una overdose scampata, perché finalmente la madre riesce a prendere una decisione e allontana Christiane da Berlino. 

Sia lo scritto, sia il film ispirato hanno riscosso un incredibile successo, tanto da rendere la ragazza famosa anche nel mondo occidentale.

Per quanta riguarda lo sceneggiato, il cast – esclusa la protagonista – era interamente formato da ragazzi normali scelti tra le scuole superiori di Berlino, una scelta mirata per rendere ancora più realistico il racconto che, tuttavia, non si attiene totalmente al libro. La presenza di David Bowie ha contribuito a rendere la pellicola famosissima, la colonna sonora è sicuramente suggestiva tanto da  rendere completa la visione e la comprensione di una realtà che ci sembra tanto lontana, ma che lontana non è, considerando i temi attuali e gli avvenimenti segnalati dal telegiornale ogni sera. 

“Le cose stavano così che l’uno vedeva nell’altro la merda che lui stesso era. Uno vedeva il proprio squallore e rimproverava all’altro lo stesso squallore per dimostrare a se stesso di non essere tanto squallido come l’altro. (p. 153).” 

Iris Furnari

PLAYLIST DELLA SETTIMANA 

(Colonna Sonora del film “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino.”) 

David Bowie

STAY (1976

HEROES/HELDEN (1977)

SENSE OF DOUBT (1977)

STATION TO STATION (1978)

LOOK BACK IN ANGER (1979)

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Un dolceamaro per questa quarantena

Sono quasi due mesi da quando è iniziato il periodo di quarantena, due mesi in cui in molti, abbiamo dovuto cambiare le nostre abitudini. Cambiamenti che, per quanto necessari, sono risultati comunque difficili. Per semplicità, ci dividiamo in due categorie generiche: in chi si è dovuto adeguare alle nuove condizioni di lavoro e in chi si è ritrovato rinchiuso in casa, categorie che comunque spesso si sovrappongono in quanto anche la prima alla fine si ritrova molto spesso nella seconda. Detto questo, i cambiamenti hanno indotto le persone a cercare delle nuove attività, dal crearne di nuove al recuperare quelle rimaste in sospeso. Attività che non necessariamente sono ludiche o di svago, per dire c’è chi ha dovuto giostrarsi tra il proprio lavoro a casa e il doversi occupare allo stesso tempo del proprio figlio piccolo, o chi deve preoccuparsi perché ha un componente della famiglia molto fragile e che quindi ha iniziato a stare attento a ogni minimo dettaglio per evitare che appunto quest’ultimo sia esposto a rischi; tutto questo per citare alcuni esempi molto spesso ignorati, ma che rientrano comunque nelle attività citate. Poi seguono invece quelle attività più leggere come trovarsi un hobby, imparare a cucinare, darsi all’attività fisica (“leggere” sic!), recuperare le serie tv lasciate in sospeso o guardare nuovi film… Proprio su quest’ultima attività voglio soffermarmi, essendo uno studente universitario mi riguarda direttamente.

In questo periodo ho deciso di guardare un po’ di film che magari avevo lasciato in sospeso o cercarne di nuovi che magari mi ero perso nell’ultimo periodo. Tra gli ultimi film che ho visto, uno in particolare voglio riportare in questo articolo, film che mi è stato consigliato da una mia cara amica.

Il film si intitola “A un metro da te” (“Five Feet Apart”), un film misto tra drammatico e romantico, quindi premetto subito che, come ogni tipologia di film, non è detto che interessi a chiunque, ma si tratta di un film comunque molto semplice, non impegnativo e soprattutto attuale. A un metro da te segue la solita linea romantica, con due teenager innamorati e con molte scene cliché, però tratta di un argomento particolare: la vita di persone affette dalla fibrosi cistica.

Ho affermato che il film fosse attuale proprio per l’argomento trattato, in quanto descrive benissimo come la vita giornaliera di queste persone coincida molto spesso con quella che è la nostra attuale vita in quarantena. I personaggi principali di questa storia sono tre:

  • Stella, interpretata da Haley Lu Richardson, una ragazzina affetta da fibrosi cistica, meticolosa e molto osservante delle regole.
  • Will, interpretato da Cole Sprouse, l’altro personaggio chiave della storia amorosa, anche lui affetto da fibrosi cistica, ma che presenta una serie di complicanze tra cui un’infezione batterica e un trattamento sperimentale per la sua condizione. Will è l’opposto di Stella, ribelle, eccentrico e soprattutto irrispettoso delle regole.
  • Poe, interpretato da Moisés Arias, il migliore amico di Stella, anche lui affetto da fibrosi cistica

Il film si incentra, come detto, sulla vita giornaliera in ospedale dei tre personaggi, descrive bene i comportamenti che devono mantenere per evitare infezioni o di infettarsi a vicenda, come il lavaggio delle mani, mantenere le distanze di minimo un metro e tossire nel gomito (regole che anche noi oggi siamo tenuti a osservare in modo particolare). Questi aspetti portano allo sviluppo dei personaggi e del rapporto tra di loro, in particolar modo tra Will e Stella che lentamente si innamorano l’uno dell’altra. Rapporto che deve far fronte al fatto che entrambi sono affetti da fibrosi cistica, quindi con l’incombere della possibilità di non vedersi più da un giorno all’altro, e con il problema dell’infezione batterica di Will.

Il film si sviluppa attorno a queste premesse, seguendo degli alti e bassi, per poi culminare con un finale “dolceamaro” (bittersweet).

Non darò troppi dettagli, ma riporterò quello che viene detto all’inizio del film e poi ripetuto anche nel finale, che riassume benissimo il messaggio della storia, che rappresenta bene quel cambiamento che noi affrontiamo oggi e a cui ho accennato all’inizio dell’articolo:

“Il contatto fisico, la nostra prima forma di comunicazione. Sicurezza, protezione, conforto. Tutto nella dolce carezza di un dito o di due labbra che sfiorano una guancia morbida. Ci unisce quando siamo felici. Ci sostiene nei momenti di paura. Ci emoziona nei momenti di passione. È amore. Abbiamo bisogno di quel tocco della persona che amiamo così come abbiamo bisogno di respirare, ma non ho mai capito l’importanza di quel tocco, del suo tocco, fino a quando non ho potuto più averlo.”

Con questa citazione concludo l’articolo e vi invito a godere in questo dolceamaro molto semplice ed educativo, sperando che vi aiuti nell’affrontare le sfide che ci pone, ancora per un po’, questa quarantena.

Andrea Zamboni Radić

Birra e cinema – Marvel

Ciao! Siamo Lorenzo e Giorgio; due ragazzi appassionati di cinema sin da tenerissima età.
Siccome ogni volta parlavamo tra di noi delle meraviglie della settima arte abbiamo pensato… perché non registrarci? Nasce così il nostro podcast sul cinema.
Mezz’ora a settimana sugli argomenti più disparati, senza pretese. Il nostro motto è: frittatone di cipolle e rutto libero.
Buon ascolto!

Birra e cinema – Horror anni ’80

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Il piccolo schermo aspetta Haneke

Cinema

Si aggiunge un altro nome alla lista dei cineasti attratti dalla serialità televisiva degli ultimi anni. Michael Haneke, 2 volte Palma d’Oro e Premio Oscar per Amour, non è mai stato insensibile al piccolo schermo e lo ha dimostrato già ai suoi inizi di regista nel 1974 per l’emittente Südwestfunk in Germania.

Il suo futuro ritorno in televisione però non sarà in tedesco: il successo lo ha proiettato ormai sul mercato anglosassone, pur essendo spalleggiato dalla casa di produzione tedesca UFA.

Il suo prossimo progetto è il racconto distopico Kelvin’s Book, di cui ancora non è iniziata la pre-produzione. Sono certi ben dieci episodi della serie, ambientata in un futuro dispotico  dove i passeggeri di un aereo sono costretti ad un atterraggio di salvezza.

Una trama ancora non pienamente in luce quella della serie ma che già si preannuncia coerentissima con gli interessi di Haneke in materia di sociologia, di distruzione sociale e crudeltà.

L’entusiasmo dei produttori, specialmente quello di Nico Hoffman, è evidente dalle dichiarazioni rilasciate sul sito Deadline per l’occasione: “Nessun regista contemporaneo mi ha ispirato e commosso più di Michael Haneke. Kelvin’s Book è una storia straordinariamente ricca, coinvolgente e ambiziosa. Con i temi della contemporaneità e la resa dell’era digitale in cui viviamo, non c’è tempo migliore per questo progetto.”

La produzione UFA, proprietà della Fremantle Media, si accinge a portare nella casa madre di produzione un altro grande nome dopo quello di Paolo Sorrentino (The Young Pope), Neil Gaiman (American Gods) e Neil Cross (Hard Sun).

Si dovrà però aspettare ancora per avere date di riprese ed uscita del progetto, ancora su carta ma preannunciato come uno dei titoli di punta del 2020.

Antonio Canzoniere