Nel periodo “turistico” di Allen i temi preferiti dal regista sembrano rimpicciolirsi, farsi da esportazione, con esiti non sempre felici. To Rome with love (2012) è il punto più basso di questa fase europea non già per i contenuti ma per la struttura disomogenea, la disarmonia, la bellezza della città ritratta che appare ad intermittenza, mal sfruttata, in una trama sgraziata.
Ci può essere il sospetto della cartolina nell’ultimo Allen ma non si può negare che sia riuscito a dare levità, respiro e leggerezza a certe opere figlie di felici combinazioni. L’atmosfera dorata di Parigi aveva già incantato il regista newyorchese: esempio luminoso ne è Tutti dicono I love you (1996).
Proprio come i protagonisti di quel musical frizzante, il Gil (Owen Wilson) di Midnight in Paris (2011) vuole immergersi nello spirito della città. Idealista, sognatore, incastrato in un fidanzamento che gli sta stretto, trova per le strade della capitale francese il modo per tornare nei mitici anni ‘20 che idolatra.
Non è diverso, nel suo entusiasmo e nella sua timidezza, da un bambino in un’attrazione al parco giochi. Gertrude Stein (Kathy Bates) fa critiche accorate al suo romanzo; Hemingway (Tom Hardy) gli dà consigli d’amore e di vita; Picasso, la coppia Fitzgerald e Buñuel fanno capolino con i propri siparietti. Il protagonista arriva pure a suggerire a quest’ultimo l’idea de L’Angelo Sterminatore (1960).
L’amore ideale arriva con la figura di Adriana (Marion Cotillard), modella e groupie ante litteram che gli fa battere il cuore, sognatrice che non accetta a sua volta la propria realtà e sceglie la Belle époque.
Bella trovata quella di innestare il sogno nel sogno, non certo estranea alla Cotillard e ai fan di Nolan per via di Inception (2010). L’idealismo romantico è interamente alleniano, alleggerito dai caratteri di contorno che arrivano con cinismo e lucidità a far tornare Gil coi piedi per terra. Come fiancée Allen sceglie accuratamente la duttile Rachel McAdams nel ruolo della borghese Inés ma di certo cade quando mostra Carla Bruni come guida museale.
Le debolezze in sceneggiatura sono soppiantate dal mestiere del regista, soprattutto quando si affida ai colori di Darius Khondji che fa predominare l’accostamento del verde e del giallo, in un’atmosfera soffusa. La cornice vale più del quadro, in Midnight in Paris. Non si trova il calore e la sottigliezza leggera di Vicky Cristina Barcelona né la profondità, a volte letteraria, dei film londinesi. Conta solo che sia frizzante come lo spumante, toccante nei momenti intimi, delicato e musicale come quei suoi movimenti minimali di camera.