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Birra e cinema – Marvel

Ciao! Siamo Lorenzo e Giorgio; due ragazzi appassionati di cinema sin da tenerissima età.
Siccome ogni volta parlavamo tra di noi delle meraviglie della settima arte abbiamo pensato… perché non registrarci? Nasce così il nostro podcast sul cinema.
Mezz’ora a settimana sugli argomenti più disparati, senza pretese. Il nostro motto è: frittatone di cipolle e rutto libero.
Buon ascolto!

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A volte ritornano: Volver

Almodóvar parla meglio di sé quando si nasconde. Volver è un film dove l’Io del narratore è fatto a pezzi e usato come struttura portante: c’è più sincerità autobiografica nei fatti minimi che costellano le vicende della trama, nei rapporti, nei dettagli delle scene che in tutto Dolor y gloria.

Tutta la storia vive del contatto quotidiano del regista con il mondo femminile, riceve la linfa dai dialoghi che tradiscono più di quanto dicano. È una storia di provinciali, che si dividono tra una Madrid periferica ed il paese natìo. Raimunda (Penelope Cruz), sua sorella Soledad (Lola Dueñas) e la figlia della prima, Paula (Yohana Cobo), sono originarie di Alcanfor de las Infantas nella Mancha, dove non mancano mai il vento e la follia.

Si portano dietro affetti intensi e dolorosi, un passato di violenza incestuosa che si ripete come se fosse una riemersione del rimosso. Il trauma ripetuto, quasi un’opera di sciamano, sembra rievocare un fantasma benigno che ha il sorriso ironico e la sensibilità dell’Irene di Carmen Maura.

Il riferimento a Mildred Pierce, fatto dallo stesso regista, sfiora appena il film, non lo definisce se non in superficie. Citazioni assai più importanti, già a livello visivo, sono quelle che portano Almodóvar ad incorniciare nel contesto trash della tv il viso di Blanca Portillo come una Giovanna d’Arco di Dreyer o d’inquadrare nonna Irene e la nipote Paula con un taglio perpendicolare alla Bergman.

C’è il sospetto, vedendolo, che questo sia uno dei pochi film di Almodóvar destinati a durare la prova del tempo. È pure più bello di Tutto su mia madre: in quel film si sentiva ancora il bisogno di esprimere una diversità, un bisogno, che è tipico degli adolescenti, di distaccarsi da una tradizione, di prendere partito; in Volver gli affetti e le passioni dominano con una simbologia serena, un’ideologia forte della propria naturalezza, hanno davvero una grazia primitiva.

Il passo qui scorre limpido: lo si sente dalla facilità con cui le parole rendono perfettamente l’ambiente sociale delle protagoniste e le fanno muovere tra gli spazi e i ricordi. Trasportare il film in Italia non sarebbe difficile, proprio per quel sapore mediterraneo delle tradizioni che il film mostra con padronanza e disinvoltura.

Al contempo però, è incredibilmente spagnolo senza accarezzare l’idea del pittoresco e del turistico. Merito sommo del regista è di aver scelto i visi giusti: le sue protagoniste furono premiate a Cannes insieme alla sceneggiatura. La Cruz, che avrebbe poi vinto l’Oscar grazie a Woody Allen, perse la nomination con una stella che in un altro festival (Venezia) aveva fatto centro: Helen Mirren, che brillava in The Queen di Stephen Frears, film non alla sua altezza ma scrittole su misura.

Antonio Canzoniere

 

Un giorno piovoso a New York per ritornare in sala

Per i nuovi film di Woody Allen c’è speranza: dopo la rottura degli accordi tra il regista e Amazon, i lavori avviati con la casa di produzione spagnola Mediapro per i prossimi progetti, il regista newyorchese potrà vedere il suo ultimo lavoro completo in sala.

#Metoo e Time’s Up avevano creato il clima e le pressioni perfette per far saltare la distribuzione di A Rainy Day in New York, che Allen aveva girato (con la sua solita velocità) tra il settembre e l’ottobre del 2017. Timothée Chalamet, Rebecca Hall e Selena Gomez, tutti presenti nel cast del film, non hanno tardato a prendere le distanze dal regista (a riprese concluse) e destinare i loro salari a Time’s Up.

Solo Jude Law ha espresso il suo rammarico per la cancellazione del film sul New York Times. Lontani dal polverone americano, sono gli europei a venire in soccorso del film.

Il 22 gennaio 2019 i critici italiani sono entrati nel dibattito per promuovere la diffusione del film e la libertà d’espressione del regista. L’Appello per un cinema libero firmato tra gli altri da Paolo Mereghetti, Roberto Silvestri e Fulvia Caprara (che ha ribadito la propria posizione su La Stampa) è stato accompagnato dall’articolo di Pierluigi Battista sul Corriere.

I francesi, con la Mars Distribution, hanno subito puntato all’uscita in sala dell’ultimo progetto di Allen anche prima che Amazon, questo 20 maggio, desse ad Allen i diritti di distribuzione negli USA. In Italia, A Rainy Day in New York verrà distribuito da Lucky Red il 3 Ottobre.

Il film, che vede nel reparto tecnico Vittorio Storaro alla fotografia ed il fidato alleniano Santo Loquasto alla scenografia, parla di Shannon (Elle Fanning) e Rolly (Chalamet), arrivati nella Grande Mela e travolti dal maltempo e da imprevisti di carriera come di cuore.

Una giovane coppia che si scontra con New York e le sue distrazioni: potremmo non essere lontani, sulla carta, dalla coppia Mastronardi-Tiberi di To Rome with Love, a sua volta ripresa da Lo sceicco bianco di Fellini. Toccherà però aspettare ottobre per avere un’idea chiara del risultato.

Godiamoci pertanto quest’ultimo Allen prima di vedere le sue prossime opere girate in Spagna.

Antonio Canzoniere

La prima notte di quiete

Immaginate che il Samourai di Melville, sopravvissuto al colpo fatale infertogli alla fine di Frank Costello faccia d’angelo (1968), voglia rifarsi una vita. Provate quindi ad immergerlo in una provincia dominata da un bianco opaco e lattiginoso, in un gruppo di vitelloni goliardi come compagni e con un passato totalmente diverso, più sofferto.

In questo modo avrete in mente l’impressione che Alain Delon (1935) fa col suo cappotto beige per le strade di una Rimini nebbiosa, sonnolenta, disperata. Il paesaggio è in perfetta armonia con l’inquieto Daniele Dominici, che cammina per “quella costiera adriatica che avevo visto l’inverno, quando non c’è l’esplosione del turismo estivo, stretta dal rancore, dalla ferocia, dalla violenza. L’avevo vista, quella violenza dell’uomo sulla donna. La prima notte di quiete (1972, nda) è un film molto legato ad un certo ambiente geografico.(Zurlini)

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Siamo nel 1972: il regista Leone d’Oro per Cronaca familiare (1962) lavora al suo penultimo film con lo sceneggiatore Enrico Medioli che per il melodramma (ancor meglio se turgido) ha talento. Dal soggetto esce un film romanzesco di rapporti sfaldati, denso di simbolismo (cristiano), d’esattezza psicologica nello scandaglio della provincia.

Il Daniele Dominici di Delon è un randagio, supplente in un liceo del capoluogo romagnolo senza passione per l’insegnamento ma capace di slanci lirici. Suo unico svago è ritrovarsi di sera a giocare o andare a troie col colto Spider (un Giancarlo Giannini frizzante), il ricco Gerardo (Adalberto Merli) e Marcello (un Renato Salvatori in fase calante).

Sono piccole distrazioni dai ricordi di un passato che non vuole rimembrare e da un’amante, Monica, che ormai sembra essere nient’altro che uno sbaglio. Il contraltare per questa donna focosa col corpo di Lea Massari è una sua studentessa dall’aria scocciata, apatica e dal viso lunare della ballerina Sonia Petrova: Vanina Abati.

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La ragazza, figlia di una megera resa da una sprezzante Alida Valli, è un “vaso d’iniquità” (Morandini) e attira l’ombroso professore che è spinto a sondare i suoi silenzi e smussarne gli spigoli. Il finale sarà tragico.

Zurlini è regista di genio e disegna il Limbo in cui si muovono i protagonisti con la camera e le luci dense di Dario Di Palma. Il suo romanticismo si traduce in immagini efficaci che fanno risaltare spazi e corpi; in dialoghi che nella prima parte brillano per intelligenza e nella seconda recuperano (anche troppo) in massa, quando i personaggi scaricano gli uni sugli altri il peso dei propri fantasmi.

Film indubbiamente sbilanciato, avrebbe potuto essere gestito secondo un dosaggio più forte nel linguaggio verbale, cosa che avrebbe influito non poco sulla letterarietà del risultato. I riferimenti cristologici che s’addensano verso il finale erano più adatti ad un romanzo che ad una pellicola.

I sentimenti dominano, ma ne La prima notte di quiete la nebbia di Rimini funge da nube tossica che non fa intravedere la Salvezza. Ai protagonisti non restano che momenti densi di significato come la danza della Petrova e di Merli sotto gli occhi di un Delon innamorato, sulle note di Domani è un altro giorno della Vanoni: quella scena è ben più intensa della visita alla Madonna del Parto.

Zurlini è un regista di amori: nelle sue corde non manca mai la freschezza coniugata col realismo, la resa del quotidiano non s’allontana dagli affetti ma ne è potenziata. Suo sbaglio, in questo film divenuto comunque di culto, fu di unire frammenti liturgici al suo spartito.

Questi scompensi, seppur visibili, non tolgono rilievo al fascino del film: bisogna ricordare che fu il figlio di una gravidanza assai travagliata. Il pubblico amò il risultato ed il suo protagonista nonostante tutto:Da lui (Daniele Dominici, nda) nacque una storia molto semplice, divisa fra verità e verosomiglianza, nonché il mio film che amo di meno ma per ragioni del tutto diverse (…). Lo amo meno degli altri perché fui brutalmente costretto dalle circostanze a disamarlo, perché il protagonista – che ne ricavò un trionfo – era l’opposto morale del personaggio e non ne rifletteva che esteriormente la profonda gentilezza e l’inguaribile malinconia. Furono dieci settimane di lavoro massacrante rette sulla forza dei nervi e sull’orgoglio di non cedere, di sofferenza e di amarezza, forse come si può provarle quando si scopre in un figlio molto amato una vocazione di criminale. Nonostante questo fu il film italiano di maggior successo del 1972.” (Zurlini)

Antonio Canzoniere

 

Come leggere una poesia

La poesia è certamente la più alta e nobile tra le espressioni letterarie: la sua capacità, soprattutto se pensiamo alla poesia moderna e contemporanea, è certamente quella di condensare in pochi versi una grande quantità di immagini, suoni e significati. Data questa sua intrinseca densità e complessità, la lettura di una poesia degna di questo nome presuppone alcuni accorgimenti, volti proprio a garantire una piena comprensione e una fruizione completa del testo poetico.

Il seguente articolo non vuole in alcun modo avere carattere dogmatico o normativo, ma vuole proporre una serie di consigli e suggerimenti per il lettore, più o meno esperto, che voglia avvicinarsi al testo poetico; o più semplicemente, per il lettore di poesie già ferrato, questo testo vuole rappresentare il mio modus operandi nel confrontarmi con una poesia: ogni critica o suggerimento che apra al confronto è dunque ben accetto.

  • Non abbiate fretta

Questo in realtà dovrebbe essere il primo consiglio per ogni lettore, ma ancor di più per il lettore di poesie: una poesia ha bisogno di tempo e pazienza per essere letta e compresa; la condensazione attuata dal poeta non deve trarci in inganno: nonostante il minor numero di parole rispetto a un componimento in prosa, il testo poetico è spesso assai denso e deve essere analizzato con calma e in profondità prima di coglierne a pieno il significato.

  • Leggete più volte

Direttamente collegato al suggerimento precedente è quello di leggere più volte il componimento poetico: una sola lettura infatti difficilmente è sufficiente per comprendere in maniera esauriente una poesia; suggerisco inoltre di variare la modalità di lettura: per esempio io leggo solitamente un componimento poetico tre volte: la prima volta a mente, cercando di concentrarmi soprattutto sul significato delle parole, muovendomi principalmente sull’asse paradigmatico; la seconda volta leggo mormorando, cercando di individuare gli accenti, gli aspetti sintattici e quelli fonici più rilevanti, muovendomi principalmente sull’asse sintagmatico; infine leggo a voce alta, come se leggessi la poesia a un’altra persona, scandendo e pesando ogni parola e cercando di unire i due tipi di analisi.

  • Leggete più volte #2

Leggete più volte lo stesso componimento poetico a distanza di tempo: questo vale in realtà, ancora una volta, per tutte le opere letterarie; non sempre infatti si è pronti o ben predisposti a ricevere pienamente un’opera letteraria in un determinato momento: talvolta, rileggendo una seconda volta, a distanza di tempo, possiamo scoprire e apprezzare elementi che ci erano sfuggiti alla prima lettura.

  • Leggete in un luogo silenzioso

Questo in realtà è un consiglio assai soggettivo, perché conosco molte persone in grado di leggere nei luoghi più affollati e rumorosi; ecco, io personalmente proprio non ci riesco: perdo continuamente il segno e assorbo stimoli di ogni tipo distraendomi dalla lettura. Se ciò può essere un problema per la lettura di una prosa lo è certamente di più per la lettura di versi: l’aspetto fonico e musicale del testo poetico è spesso imprescindibile per la sua comprensione; leggere dunque in un luogo pieno di voci e suoni di ogni tipo non ci aiuto per niente nella nostra analisi.

  • Ogni parola è un macigno

La differenza fondamentale tra la prosa e la poesia è forse rappresentata proprio dal peso che ogni singola parola assume all’interno dei due componimenti: mentre in prosa una parola assume significato fondamentalmente sul piano sintagmatico, ovvero rispetto alle parole che la precedono e a quelle che la seguono, in poesia una parola non solo trae il suo significato da questo tipo di rapporto, ma anche e soprattutto sul piano paradigmatico; il solo fatto che una parola sia presente in una poesia e non ce ne sia un’altra al suo posto è un messaggio fortissimo. Il poeta sceglie con cura le parole da utilizzare: tutte, persino quelle apparentemente più banali, di uso comune, si trovano lì con un preciso compito, ovvero quello di comunicare un sentimento, evocare un’immagine, riprodurre un suono. Nella lettura di una poesia tenete sempre conto di questo aspetto: non trascurate mai l’apporto fonico e di significato che ogni singola parola può dare, tenete sempre in considerazione tutte le parole di un componimento, dando a ognuna di loro la giusta importanza.

  • Lasciatevi trasportare

Una poesia, spesso e volentieri, vuole evocare un’immagine, una sensazione, un sentimento: nel fare ciò si presuppone che il lettore si abbandoni completamente al poeta, facendosi guidare attraverso i versi nel mondo da lui ricreato. Purtroppo, soprattutto in ambiente scolastico, spesso e volentieri si predilige un approccio formalistico e quasi scientifico nella lettura delle poesie: si cerca immediatamente lo schema delle rime, la lunghezza del verso, le figure retoriche utilizzate. Non voglio affermare che conoscere e saper apprezzare l’aspetto formale e tecnico non sia importante e appagante: credo però che, per godere e comprendere a pieno una poesia, non sia strettamente necessario, quantomeno nel lettore alle prime armi – come può essere uno studente della scuola secondaria. Per questo motivo cercate sempre di essere ricettivi a ogni sensazione, ogni immagine e ogni suggestione evocata dal poeta, lasciandovi trasportare senza alcun preconcetto e confrontando questi elementi con le vostre conoscenze ed esperienze.

  • Cercate informazioni sulla biografia del poeta

Di fondamentale importanza per la comprensione di un componimento poetico è invece spesso la conoscenza, almeno basilare, della biografia del poeta: questo elemento risulta spesso imprescindibile in quanto, più o meno consciamente, ogni artista inserisce sempre qualcosa della propria vita nelle proprie opere. La conoscenza delle principali esperienze del vissuto del poeta risulta infatti assai utile per comprendere riferimenti altrimenti oscuri, che inficerebbero la profondità della comprensione del componimento. Non a caso in ogni libro o raccolta poetica che si rispetti troviamo sempre, prima dei componimenti poetici, quantomeno una sintetica biografia del poeta: non la trascurate mai.

  • Accettate di non capire

La poesia, per il suo tasso di condensazione di elementi simbolici, è stata spesso paragonata alle rappresentazioni oniriche – già Freud ravvisava molte analogie tra i due mondi. Come succede nei sogni dunque, nei quali non sempre tutti gli elementi sono chiari e presentano un significato univoco, anche nelle poesie, per quanto le nostre analisi possano essere appropriate e la nostra lettura accurata, talvolta alcuni elementi rimangono oscuri e incompresi. In questi casi avete due possibilità: fare qualche ricerca e cercare un’esegesi da parte dello stesso autore o di un critico oppure accettare di non capire. Una poesia, dopotutto, è una sorta di enigma che il lettore deve riuscire a risolvere: non sempre gli enigmi vengono risolti e, soprattutto, non sempre gli enigmi hanno una soluzione. La meraviglia suscitata da una poesia è anche questa: la sua capacità di restare misteriosa e impenetrabile, di trasmettere emozioni e sensazioni andando al di là dell’aspetto razionale e comunicando direttamente alla nostra parte più istintiva e irrazionale.

Danilo Iannelli