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Who the Fuck Are Arctic Monkeys? – Roma, 26 maggio

Il 26 maggio del lontano 2018 l’Auditorium Parco della Musica ha ospitato gli Arctic Monkeys, una delle band inglesi più conosciute anche in Italia dal 2013, quando l’album AM e l’iconica ondina bianca su sfondo nero approdarono sulle classifiche. La fama però, non nasce solo per come il gruppo abbia sempre declinato il genere indie in maniera così accattivante, attingendo dal carisma dei “veterani” e dal gusto del  secondo millennio, ma anche per la cara e vecchia gavetta consumatasi nei locali di Sheffield e nelle sale di registrazioni indipendenti. Proprio in questi giorni gli Arctic Monkeys stanno festeggiando l’anniversario con ben diciassette candeline, dopo questa pausa forzata da una tappa e l’altra di grandi tour in programmazione. Ormai il non più nuovo album Tranquility Base Hotel & Casino si è consolidato nella loro discografia. Chissà se quest’ennesimo esperimento rimarrà nell’immaginario comune come i precedenti? Solo qualche candeline fa, in fondo, entravano nel Guinness dei primati per aver venduto più di un milione di copie con l’album di esordio in soli 8 giorni, superando i famosissimi Oasis.

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Nonostante una lunga pausa di quasi tre anni (2015-2017), non si sono smentiti e i fan in fibrillazione intasarono il sito di Ticketone dal primo giorno di disponibilità dei biglietti dell’ultimo concertone sofisticato, qui nella capitale, tanto da strappare loro una seconda data.

Ebbi la fortuna di potermi sedere in tribuna laterale e godermi il concerto, così come i giornalisti  che non fanno la fila dal giorno prima e non sgomitano al parterre: è stata soprattutto la splendida acustica dell’Auditorium ad aver valorizzato al massimo i suoni frenetici delle chitarre e la voce riconoscibilissima di Alex Turner, sempre in tiro, ma questa volta con i capelli lunghi e un accenno di barba.  Prima di qualsiasi altro fattore, anche, purtroppo, del sex appeal del frontman, è importante assicurarsi che l’acustica del luogo sia impeccabile, o che almeno valga il denaro speso. 

Il led luminoso componeva la scritta “Monkeys”,  ricreando l’atmosfera un tantino vintage e sci-fi dell’ultimo album, minimale e dalle tinte lounge, alle spalle dei musicisti che, invece, hanno aperto le danze con le canzoni più rock e caotiche del repertorio, nonché le più amate e “saltate” di tutta la loro discografia: non c’era una persona che stesse ferma, tutti improvvisamente giovani e squattrinati nel garage di un amico! 

Brianstorm con il suo ritmo furioso e la storia di questo fantomatico “Brian” sciupafemmine, Crying Lighting sempre accattivante come la ragazza descritta, una Lolita con le guance dalle saette di mascara colato e  di seguito ancora, la buffa e politicamente scorretta Don’t sit down Cause I’ve moved your chair, hanno scaldato un pubblico partecipe che riusciva a star dietro ai testi densi, da cantastorie, ma allo stesso tempo frenetiche ed urgenti, nel nome del rock. È davvero questo aspetto ad aver reso le “scimmie artiche” tanto care a noi giovani, tanto rare in una giungla musicale come quella attuale? E la vera domanda è: ” Ma le scimmie possono sopravvivere nel Circolo Polare Artico?

La serata fu un crescendo, mentre Alex osava con le sue movenze melliflue senza mai prendersi troppo sul serio e Matt “picchiava forte” sulla pelle delle casse, anche durante i pezzi più orecchiabili, quelli che hanno riportato tutti alle proprie storielle d’amore, tra i pensieri sottointesi, interessi non propriamente dichiarati e notti giovani con Why’d You Only Call Me When You’re High? e 505

I brani del nuovo album (Tranquility Base Hotel + Casino e She Looks Like Fun) sono stati acutamente dosati tra un ricordo del passato e una hit indimenticabile, proprio per far assaporare un po’ del nuovo sound, non da tutti apprezzato, in piccole e piacevoli dosi; come dei camaleonti che chiedono il permesso per poter cambiare colore. L’atmosfera non poteva che essere congeniale alla melodia, con tanto di brezza di prima estate. 

Ecco una storia buffa, in un vecchio EP fu registrata all’ultimo una canzone a metà fra un’ironica descrizione ed un inno della band, orgogliosa del genere indie e della fama acquisita agli albori solo esclusivamente attraverso la rete e nessun’altra sponsorizzazione, così tra i versi il frontman Alex Turner cantava:

“Oh, in five years time will it be Who the fuck’s Arctic Monkeys?”

Ebbene, ne sono passati quasi vent’anni e nessuno si è scordato di loro. Vi lascio con la playlist della settimana con l’augurio di ritrovarci tutti presto in un bel concertone indie.

Playlist:

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Iris Furnari

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