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Out of the Closets and into the Streets: un approfondimento sulle teorie di conversione per omosessuali

Sebbene nella maggior parte del mondo non si faccia al giorno d’oggi più alcuna distinzione discriminatoria tra etero e omosessuali, esistono realtà nascoste all’interno delle quali avere un orientamento sessuale diverso dalla tradizionale eterosessualità viene considerato un peccato, una deviazione mentale, una patologia psichica o, addirittura, una distorsione genetica o un reato. Esistono, invero, delle vere e proprie “terapie di conversione”, dette anche “riparative” o “di riorientamento sessuale”, metodi intesi a cambiare l’orientamento sessuale di una persona dall’omosessualità originaria all’eterosessualità, oppure ad eliminare o quantomeno ridurre i suoi desideri e comportamenti omosessuali.
In Italia, così come negli Stati Uniti ed in altri Paesi, questo tipo di terapie sono state categoricamente vietate dall’Ordine professionale nazionale, e ci sono state sanzioni significative nei confronti di vari psicologi che hanno operato nel campo. Non è però così, ad esempio, in Cina, dove sono circa 130 le cliniche che offrono terapie di conversione per “guarire” dall’omosessualità. Tr
a le strutture che praticano questo tipo di trattamenti ci sono ospedali sia privati che pubblici, rispettivamente controllati e gestiti dalla Commissione nazionale per la salute e dal governo. Alcune delle vittime hanno dichiarato di aver subito, senza consenso orale o scritto, l’elettroshock e di essere state costrette dai medici a ricevere iniezioni, ad assumere pillole e farmaci e a confrontarsi con consulenti (perlopiù religiosi) che avrebbero loro spiegato che essere gay è immorale e nessun genitore potrà mai perdonare un figlio macchiatosi di un peccato tanto disgustoso e grave. In Ecuador, invece, a mettere in atto queste terapie sono circa 200 centri teoricamente specializzati nella riabilitazione di persone alcoliste o con dipendenze da diversi tipi di droghe; ma che in realtà nascondono in cella persone omosessuali costrette a subire sevizie contro la propria volontà (nella maggior parte dei casi sono proprio i genitori a rivolgersi a determinate strutture per far “guarire” i propri figli). I pazienti vengono violentati, sottoposti a percosse e frustate, alienati e costretti all’isolamento. Oltre a dover studiare la Bibbia e dedicarsi alle pulizie del centro, le pazienti donne sono obbligate fin dal risveglio a truccarsi, indossare gonne e tacchi per “imparare ad essere vere donne”. Questo e molto di più ci viene raccontato, tramite il progetto “Untilyouchange”, con l’ausilio di una sequenza di fotografie e didascalie della fotografa Paola Paredes. Paola è una fotografa ecuadoriana, lei stessa omosessuale, che ha sempre dedicato il suo impegno e il suo lavoro alla comunità LGBT, esplorandone, in particolare, gli aspetti del suo stesso Paese. (Qui Untilyouchange ed altri progetti correlati: https://www.paolaparedes.com/).  
Sebbene la maggior parte delle persone che sono state vittime di taluni modelli di terapie riparative abbiano riscontrato traumi a livello psichico e abbiano dovuto affrontare periodi di depressione e diversi disturbi post-traumatici, esistono invece associazioni di matrice religiosa nate negli Stati Uniti intitolate “gruppi di ex-gay”, che hanno lo scopo di dimostrare che sia possibile “guarire” l’omosessualità essenzialmente attraverso la preghiera e la forza di volontà. Gli “ex-gay” sostengono di esser stati omosessuali per un periodo della loro vita e di esser poi completamente guariti grazie alla vicinanza e al supporto di persone “alla pari”, sul modello degli alcolisti anonimi. Per loro l’omosessualità è infatti una devianza, una condizione di disagio mentale, così come la bisessualità e il transgenderismo, considerati condizioni patologiche che possono però essere curate e guarite, o quantomeno represse.
L’impossibilità di classificare scientificamente le teorie dei movimenti degli ex-gay è stata riaffermata dall’Organizzazione mondiale della sanità, che a partire dal 1974 ha riclassificato l’omosessualità da “disturbo” a “variante dell’orientamento”, proprio di fronte all’impossibilità di trovare nelle ricerche scientifiche elementi che supportassero il carattere di “patologia” delle varianti dell’orientamento sessuale.
Pertanto, citando il motto della Queer Nation, una delle tante associazioni attiviste della comunità LGBT, Out of the Closets and into the Streets“!

Francesca Moreschini

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