“Elogio della Follia” è un saggio scritto dall’umanista e teologo olandese Erasmo da Rotterdam nel 1509. L’autore apre l’opera con una dedica al suo intimo amico Tommaso Moro, al quale spiega i motivi per i quali ha deciso di tessere un elogio alla Follia, i pensieri e le riflessioni dai quali ha tratto ispirazione e l’intento del suo scritto, che è quello di mirare alla piacevolezza piuttosto che all’offesa. Nonostante ciò, Erasmo specifica che sì, tesse le lodi della Follia, ma non certo da folle.
Dopodiché è la Follia a raccontarsi in prima persona, cominciando col dire che è la sola a possedere il dono di rallegrare gli uomini e gli dèi. Specifica, inoltre, che è l’unica in grado di descriversi e lodarsi seguendo il vecchio detto popolare secondo il quale “chi non trova un altro che lo lodi, fa bene a lodarsi da sé”. Nata dall’unione di Pluto, dio della ricchezza, e della ninfa Neotete, rappresentante la Giovinezza, la Follia ritiene di essere presente in tutti gli uomini e non può essere nascosta nemmeno da quelli che si mascherano da saggi (per definizione, coloro che si fanno guidare dalla ragione piuttosto che dalle passioni). Anche gli stoici ed i filosofi, infatti, non disprezzano il piacere, soprattutto in giovane età, quella descritta come la più lieta e gradevole grazie all’assenza di senno. Tanto più si va avanti con l’età, più sopraggiungono l’esperienza e l’educazione e più sfioriscono la bellezza e il vigore: ci si allontana quindi dalla Follia per dirigersi verso la molesta vecchiaia. Tutto ciò che c’è di buono e piacevole nella vita è infatti sempre frutto della Follia: citiamo a questo proposito Sofocle, secondo il quale “dolcissima è la vita nella completa assenza di senno”.
La Follia è l’elemento base di ogni relazione umana: è la sola in grado di cementare le amicizie e donare stabilità al vincolo matrimoniale; per questo è fondamentale al regolare funzionamento di ogni società che si rispetti. È inoltre a lei che si deve l’invenzione di ogni nobile arte, ed è lei stessa ad arricchire l’uomo di esperienza: il filosofo che passa la maggior parte del suo tempo a riflettere, meditare ed osservare gli eventi, non impara nulla di ciò che riguarda la vita di tutti i giorni, finendo per rendersi incapace e inutile a sé stesso e alla società. Il sapiente tende infatti a rifugiarsi nei libri (e pur non sapendo nulla afferma di sapere tutto), mentre il folle affronta concretamente le situazioni acquistando saggezza (ricordiamo che nessuno, senza la guida della Follia, è in grado di raggiungere la Sapienza). È inoltre il folle il più favorito dalla Fortuna, in quanto quest’ultima risulta amante degli imprudenti e degli audaci.
È anche nell’ambito religioso che la Follia risulta indispensabile: persino l’Ecclesiastico afferma che essa è superiore alla Sapienza, che “la follia di Dio è più saggia del senno degli uomini” e che “Dio aveva voluto salvare il mondo attraverso la stoltezza”, poiché attraverso la saggezza non era possibile. In effetti, anche fra le bestie Cristo predilige le più lontane dall’astuzia della volpe e chiama “pecore” i suoi discepoli destinati a vivere in eterno, professandosi con orgoglio pastore di questo gregge.
Il monologo della Follia si conclude con l’esortazione a ricordarci che, “se per caso il discorso abbia peccato di petulanza e prolissità”, chi parla è donna, per natura più folle dell’uomo.