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Una lettera dagli Studenti di medicina: tirocini online? No, grazie

Chi si farebbe curare da un dottore che ha preso la laurea dal proprio computer? No, non si tratta dello scenario tratto da un film distopico di terza seria, ma della realtà attuale. Migliaia di laureandi in medicina di diverse facoltà d’Italia non possono infatti attualmente seguire tutti i tirocini pratici e i tirocini abilitanti alla formazione medica (TVPES) in presenza, come sarebbe normale, bensì unicamente da casa, seduti davanti a un monitor.

Si tratta di studenti del quarto, quinto e sesto anno, coloro che tra un anno o due si ritroveranno a rimpolpare le fila di un sistema sanitario nazionale in rovina, svolgendo compiti delicati come guardie mediche o 118. Qual è il compito dell’università? Formare i professionisti del domani o stampare e consegnare tanti più diplomi di laurea possibili? Questa domanda vale per ogni facoltà, dipartimento e ateneo, con l’università ormai ridotta a un esamificio, ma acquista ancor più valore dal momento in cui quei laureati in fretta e furia avranno a brevissimo tra le mani vite umane. Al danno si aggiunge anche la beffa: questa impellente fretta di sfornare nuovi medici da mandare in trincea nella guerra che stiamo combattendo contro il virus è totalmente assurda se si considera che in Italia ci sono attualmente 24000 medici già pronti a lavorare, bloccati da una graduatoria a causa di ricorsi su ricorsi da parte del MIUR.

Ovviamente va considerato che per superare questa situazione di gravissima emergenza è necessario avere grandi capacità predittive, organizzative, logiche in tutti gli aspetti della nostra società e specialmente negli ospedali, dove in caso di una cattiva gestione i rischi sono altissimi. Nelle regioni più colpite la sorveglianza sul personale sanitario è certamente più complessa, e per molti è giusto limitare l’accesso alle strutture sanitarie a chi non è già parte del personale specializzato, ma ovviamente non per tutti è così.

In diversi atenei gli studenti si sono mossi per protestare contro la loro estromissione dagli ospedali. Ci è pervenuta una lettera da parte degli studenti di medicina dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, e noi non possiamo esimerci dal rilanciarla. Nella redazione de La disillusione siamo consapevoli della necessità di trovare una soluzione pratica ai rischi che si corrono eseguendo determinate attività in questo periodo, ma non possiamo accettare che l’unica proposta sia lo stop senza condizioni. Nella speranza di un possibile compromesso tra attività in presenza e sicurezza degli studenti, riportiamo di seguito integralmente il corpo della lettera:

Siamo un gruppo di studenti del corso di laurea di medicina e chirurgia della Sapienza, sede Sant’Andrea, e scriviamo in merito all’attuale crisi formativa che stiamo vivendo.
Giovedì 22/10 il presidente del consiglio di area didattica, in seguito a nuove direttive del direttore sanitario dell’azienda ospedaliera Sant’Andrea, ha firmato una circolare che impedisce nuovamente a tutti gli studenti del III, IV e V anno e in parte a quelli del VI di frequentare l’ospedale per lo svolgimento dei tirocini.
Se da una parte comprendiamo la necessità di contenere la nuova ondata di contagi, limitando al minimo le presenze in ospedale, dall’altra vorremmo che venisse analizzato il problema della formazione dei futuri medici, a cui vengono proposti dei tirocini professionalizzanti e abilitanti (TPVES) per via telematica. Siamo spaventati dalle conseguenze di questa condotta e dalla poca attenzione e importanza dedicata al tema: fra meno di due anni noi saremo medici abilitati che dovrebbero saper fare il proprio mestiere e la mancanza di pratica è un vuoto che non può essere in alcun modo colmato con lo studio individuale sui libri, con la didattica a distanza e nei casi più fortunati con simulazioni su manichini didattici.
La pandemia ha cambiato il nostro modo di vivere sotto tanti aspetti, ci siamo adeguati. Ma la formazione dei futuri medici ha bisogno di soluzioni più audaci: non può prescindere nella maniera più assoluta dal contatto con il paziente. E questo perché l’apprendimento pratico, complemento insostituibile dello studio nozionistico sui libri, è costituito dall’inquadramento diagnostico del paziente ma anche dall’acquisizione delle basilari capacità umane per essere un buon medico, per sviluppare un rapporto di fiducia e alleanza terapeutica con il paziente; un bagaglio di conoscenze che deve essere fatto proprio tramite l’esperienza e che non può essere efficacemente trasmesso per via telematica.
Che i casi di contagio sarebbero saliti di nuovo non sorprende nessuno. Perché non sono state pensate delle soluzioni alternative alla frequenza in ospedale efficaci e valide? Eppure delle alternative sono possibili da attuare anche adesso come: assegnare ad ogni studente un medico di base da cui fare delle ore di tirocinio, distribuire gli studenti in diversi ospedali fuori dalla rete ospedaliera covid, oppure rimuovere gli ostacoli amministrativi facendo firmare scarichi di responsabilità agli studenti e sottoponendoli a test rapidi periodici.
La formazione di nuovi medici non è una priorità assoluta nel mezzo di una pandemia? Questa non può essere una questione secondaria da rimandare a quando saremo usciti dall’emergenza perché non sappiamo quando usciremo da questo periodo e perché danneggerà i nostri futuri pazienti.
Vorremmo semplicemente che qualcuno tenesse alla nostra formazione quanto noi: che sia garantito un programma di recupero sul campo non appena sarà possibile e che, anzi, sia una priorità assoluta.
L’attuale situazione fornisce inoltre lo spunto per una riflessione più grande sulla gestione della nostra formazione professionale. Ci viene detto che non possiamo stare in ospedale perché inutili oltre che dannosi. Perché arriviamo al quinto anno in modo tale da essere ancora considerati inutili?
Nel mezzo di una pandemia, con carenza di personale, noi potremmo e vorremmo essere considerati d’aiuto. Eppure non è così, si tratta di una vecchia abitudine: venivamo considerati inutili e d’intralcio anche prima della pandemia quando il tirocinio professionalizzante era soggetto alla rara buona volontà del medico di turno. Non è possibile che gli studenti, le future risorse del sistema sanitario, siano considerati una
 seccatura e un peso. Se non ci viene consentito di diventare capaci continueremo ad essere inutili, d’intralcio e pericolosi. Ma nel frattempo saremo medici abilitati con in mano la vita delle persone.
Gli Studenti di medicina

Paolo Palladino

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