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Io non sono una farfalla

Ma chi vi ha raccontato questa storia assurda della farfalla? Io mi muovo come un elefante, di certo non sono una farfalla. Appena mi alzo da una sedia o peggio ancora dal divano sembra di aver tirato su duecento kg, quando mi siedo su qualcosa di morbido rimbalzo per la forza dell’impatto e per non pensare a quando sono in un negozio che appena mi giro do una manata di qua e una di là e, automaticamente crolla tutto. Sono felice di non essere una farfalla, anche perché odio le farfalle. Non sopporto questo paragone stupido, lo trovo veramente inutile, e poi per quale motivo dovrei somigliare ad una farfalla?                                                          

Una farfalla ogni giorno si alza e inizia a posarsi un po’ qua e un po’ là. Prima di diventare quella che è, era protetta da un uovo che pian pianino è diventato sempre più scuro fino al momento in cui ha spinto il suo corpo fuori. Diventa un bruco schifoso, non è di certo una farfalla. Successivamente si trasforma in crisalide che in alcune specie può essere protetta da un bozzolo e al termine di questo processo la farfalla è pronta per distendere le ali e andare. Queste farfalle, quindi, per quale motivo sono così gettonate? Simboleggiano l’eternità, la leggiadria e il cambiamento, da quanto mi è stato riferito da chi utilizza questo paragone. Eppure sono pochissime le farfalle che vivono a lungo, solitamente muoiono dopo quindici giorni! La leggiadria ci può anche stare, ma è meglio lasciare questo titolo alle campionesse di ginnastica ritmica che a loro calza di più. Senza alcun dubbio la loro metamorfosi è straordinaria e sicuramente quello si può chiamare cambiamento, ma che c’entra con l’anoressia? Le farfalle diventano meravigliose al termine del loro processo, un’anoressica diventa un mostro inquietante. Se penso alla mia metamorfosi mi spavento per quanto il mio aspetto sia cambiato nel corso degli anni e mi guardo allo specchio e non vedo assolutamente colori, ali e leggerezza. Mi metto paura da sola quando mi guardo.

La vita di una come me fa schifo e per smontare ciò che pensano gli altri, ripeto ancora una volta che non l’ho scelto io di essere quella che sono oggi. Con questa malattia non si deve combattere, perché sarebbe una battaglia persa dato che si sta lottando con una parte di séche è decisamente più forte e che vuole esserci a tutti i costi, altrimenti non avrebbe preso il sopravvento. Sarebbe una battaglia impari con tante sconfitte, per questo non si deve combattere, ma si deve imparare a conviverci cercando di mettere ostacoli al suo percorso per non darle modo di farla sentire sempre più potente: in qualche modo va semplicemente fottuta. 

Non ho deciso in una mattina di primavera di voler diventare anoressica o addirittura una cavolo di farfalla, è capitato. É arrivata e sicuramente io non sono stata in grado di sbatterla fuori a calci in culo e ho iniziato a fare amicizia con lei. Ad un tratto ho sentito bussare alla porta. Tre colpi e poi il silenzio. Altri tre colpi e ancora silenzio. Mia madre mi ha insegnato che non bisogna mai aprire agli sconosciuti, ma la curiosità era talmente travolgente che non ho saputo resistere a quella tentazione. Sentivo nella testa una vocina che non smetteva di ripetere “Apri, apri” e così le parole di mia madre hanno preso il volo e chissà in quale pianeta disabitato sono andate a finire. Ho provato a tenerle strette a me, ho alzato il volume dello stereo al massimo in modo tale che quelle note così forti potessero coprire quella vocina assordante. Ormai le parole avevano trovato la loro posizione ideale, e quale terreno è più fertile di una mente curiosa? 

E così ho aperto la porta. Era così affascinante, così disponibile, così speciale che l’ho fatta accomodare senza esitare. Era tutto in ordine come se fosse stato previsto l’arrivo di un ospite. Si guardava intorno mentre io le mostravo ogni parte della casa con entusiasmo, ma lei non era interessata alle mie parole e si è accomodata sul mio divano in pelle sommerso da cuscini di ogni genere e ha iniziato a fissarmi. Non era attenta a ciò che le dicevo, sembrava esser naufraga nel suo mare di pensieri. Poco dopo ha preso le sue cose ed è andata via. 

Veniva spesso a trovarmi, sempre agli stessi orari, era puntualissima non saltava mai un appuntamento. Anche se pensandoci bene, ma quale appuntamento? Si presentava senza chiedere o avvertire! Era davvero strana. A me questo suo modo di fare non dispiaceva, è sempre piacevole stare in compagnia. A volte passava per un saluto, altre volte invece occupava gran parte del mio tempo. Mi sentivo al sicuro quando c’era la sua presenza in giro per casa, anche se non lasciava né odori né parole. Io però sapevo che era con me. Me ne accorgevo guardandomi allo specchio, da quell’immagine riflessa riuscivo a percepire quanto sarebbe rimasta, com’era il suo stato d’animo e soprattutto se la sua compagnia mi stava rendendo felice oppure no. Mi accorgevo che c’era dal modo in cui era stato sistemato il lenzuolo del mio letto, da come erano stati piegati gli asciugamani in bagno, dai piatti posizionati con il fiore blu a sinistra della credenza rivolto verso l’esterno e me ne accorgevo dalla scia di perfezione che lasciava in giro. 

Con il passare del tempo questa situazione ha iniziato a pesarmi, poiché si sentiva superiore a me e i suoi consigli presto si sono trasformati in obblighi. Mi sentivo protetta, ma allo stesso tempo mi faceva mancare l’aria, mi soffocava con le sue ossessioni e le sue manie, con la sua perfezione nel mio disordine. Il mio caos era il posto in cui le piaceva trascorrere più tempo possibile, si divertiva a mettere a posto i miei dubbi e le mie incertezze, sistemava tutto a suo piacimento. Era soddisfatta quando tutto era in ordine secondo il suo schema, riusciva a convincermi ogni volta e la lasciavo fare. Ben presto tutto ciò che era mio era diventato suo, si ostinava a volermi togliere tutto. Giorno dopo giorno si impossessava sempre più di me. Mi sentivo impotente, non sapevo come fermarla e soprattutto non sapevo se fermarla oppure no, perché in fondo le volevo bene. Tenevo davvero tanto a lei, anche se in tutto questo tempo non si era degnata di dirmi neppure il suo nome.                                                                                                                                                                                                            Lei si sentiva invincibile, più forte di qualsiasi cosa. Mi teneva come ostaggio per sentirsi superiore a tutti. Mi aveva incatenato e mostrava agli altri il suo premio tanto sudato: me. Ero il suo trofeo da esibire al mondo intero e mi sventolava come una bandiera mentre tutti rimanevano a guardare. Era il suo modo per apparire, usando me. Lei era talmente vile che non ci metteva mai la faccia, mandava me avanti ed io ingenua continuavo ad ascoltarla. Mi aveva tolto tutto. Io non esistevo più ero solamente l’abitante del mio corpo. Ha aspettato che arrivassi al limite dell’esasperazione per presentarsi e mi ha detto:”Ciao, io sono la tua malattia!” e di certo, non mi ha promesso di farmi diventare una farfalla colorata che si posa su un fiore cullata dai raggi del sole. 

Insomma, non c’entro nulla con le farfalle, nemmeno quando si dice “sento le farfalle nello stomaco” perché, purtroppo, non riesco a provare delle emozioni così travolgenti da poter sentire questa sensazione e soprattutto, perché io nel mio stomaco sento solo una mandria di bisonti, altro che farfalle!

Francesca Motta

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L’anarchica bastarda

Il freddo caldo o il caldo freddo,
cade giù da solo, incredibilmene fiacco,
formicola pian piano,
nemmeno dieci ore sulla neve.

Le dinoccoli ma nulla,
calma piatta.
La farfalla in pvc
versa
nettare fresco e trasparente.

Chi per un verso, chi per l’altro,
quando chiami ora rispondono.
Si torna lentamente
a quel nuovo cammino.
Cilindro assordante e donazioni sgradite,
fino al prossimo temporale.

Luca Fiorentino