Sono quasi due mesi da quando è iniziato il periodo di quarantena, due mesi in cui in molti, abbiamo dovuto cambiare le nostre abitudini. Cambiamenti che, per quanto necessari, sono risultati comunque difficili. Per semplicità, ci dividiamo in due categorie generiche: in chi si è dovuto adeguare alle nuove condizioni di lavoro e in chi si è ritrovato rinchiuso in casa, categorie che comunque spesso si sovrappongono in quanto anche la prima alla fine si ritrova molto spesso nella seconda. Detto questo, i cambiamenti hanno indotto le persone a cercare delle nuove attività, dal crearne di nuove al recuperare quelle rimaste in sospeso. Attività che non necessariamente sono ludiche o di svago, per dire c’è chi ha dovuto giostrarsi tra il proprio lavoro a casa e il doversi occupare allo stesso tempo del proprio figlio piccolo, o chi deve preoccuparsi perché ha un componente della famiglia molto fragile e che quindi ha iniziato a stare attento a ogni minimo dettaglio per evitare che appunto quest’ultimo sia esposto a rischi; tutto questo per citare alcuni esempi molto spesso ignorati, ma che rientrano comunque nelle attività citate. Poi seguono invece quelle attività più leggere come trovarsi un hobby, imparare a cucinare, darsi all’attività fisica (“leggere” sic!), recuperare le serie tv lasciate in sospeso o guardare nuovi film… Proprio su quest’ultima attività voglio soffermarmi, essendo uno studente universitario mi riguarda direttamente.
In questo periodo ho deciso di guardare un po’ di film che magari avevo lasciato in sospeso o cercarne di nuovi che magari mi ero perso nell’ultimo periodo. Tra gli ultimi film che ho visto, uno in particolare voglio riportare in questo articolo, film che mi è stato consigliato da una mia cara amica.
Il film si intitola “A un metro da te” (“Five Feet Apart”), un film misto tra drammatico e romantico, quindi premetto subito che, come ogni tipologia di film, non è detto che interessi a chiunque, ma si tratta di un film comunque molto semplice, non impegnativo e soprattutto attuale. A un metro da te segue la solita linea romantica, con due teenager innamorati e con molte scene cliché, però tratta di un argomento particolare: la vita di persone affette dalla fibrosi cistica.
Ho affermato che il film fosse attuale proprio per l’argomento trattato, in quanto descrive benissimo come la vita giornaliera di queste persone coincida molto spesso con quella che è la nostra attuale vita in quarantena. I personaggi principali di questa storia sono tre:
- Stella, interpretata da Haley Lu Richardson, una ragazzina affetta da fibrosi cistica, meticolosa e molto osservante delle regole.
- Will, interpretato da Cole Sprouse, l’altro personaggio chiave della storia amorosa, anche lui affetto da fibrosi cistica, ma che presenta una serie di complicanze tra cui un’infezione batterica e un trattamento sperimentale per la sua condizione. Will è l’opposto di Stella, ribelle, eccentrico e soprattutto irrispettoso delle regole.
- Poe, interpretato da Moisés Arias, il migliore amico di Stella, anche lui affetto da fibrosi cistica
Il film si incentra, come detto, sulla vita giornaliera in ospedale dei tre personaggi, descrive bene i comportamenti che devono mantenere per evitare infezioni o di infettarsi a vicenda, come il lavaggio delle mani, mantenere le distanze di minimo un metro e tossire nel gomito (regole che anche noi oggi siamo tenuti a osservare in modo particolare). Questi aspetti portano allo sviluppo dei personaggi e del rapporto tra di loro, in particolar modo tra Will e Stella che lentamente si innamorano l’uno dell’altra. Rapporto che deve far fronte al fatto che entrambi sono affetti da fibrosi cistica, quindi con l’incombere della possibilità di non vedersi più da un giorno all’altro, e con il problema dell’infezione batterica di Will.
Il film si sviluppa attorno a queste premesse, seguendo degli alti e bassi, per poi culminare con un finale “dolceamaro” (bittersweet).
Non darò troppi dettagli, ma riporterò quello che viene detto all’inizio del film e poi ripetuto anche nel finale, che riassume benissimo il messaggio della storia, che rappresenta bene quel cambiamento che noi affrontiamo oggi e a cui ho accennato all’inizio dell’articolo:
“Il contatto fisico, la nostra prima forma di comunicazione. Sicurezza, protezione, conforto. Tutto nella dolce carezza di un dito o di due labbra che sfiorano una guancia morbida. Ci unisce quando siamo felici. Ci sostiene nei momenti di paura. Ci emoziona nei momenti di passione. È amore. Abbiamo bisogno di quel tocco della persona che amiamo così come abbiamo bisogno di respirare, ma non ho mai capito l’importanza di quel tocco, del suo tocco, fino a quando non ho potuto più averlo.”
Con questa citazione concludo l’articolo e vi invito a godere in questo dolceamaro molto semplice ed educativo, sperando che vi aiuti nell’affrontare le sfide che ci pone, ancora per un po’, questa quarantena.