La situazione attuale:
In occasione del meeting per l’accordo sulla stabilizzazione dell’area siriana di Idlib, svoltosi a Mosca il 5 marzo scorso alla presenza del Presidente russo Vladimir Putin e del Presidente turco Recep Erdogan, la principale questione affrontata è stata quella di una de-escalation della violenza nel territorio.
L’accordo ha previsto il cessate il fuoco a partire dalla mezzanotte del 6 marzo scorso, ed è stato predisposto l’inizio di un pattugliamento congiunto turco-russo su di un’area di 30 chilometri a partire dal 15 marzo. Nello specifico si tratta del controllo dell’autostrada M4 di fondamentale importanza strategica che collega l’Iraq con la regione siriana di Latakia, attraversando la città di Aleppo e lungo la quale vi sorge la base aerea russa di Hmeimim. Dal 10 marzo i russi avrebbero già iniziato a sorvolare il distretto di Idlib con droni in via di osservazione.
Nell’testo dell’Accordo, i due capi di stato hanno riaffermato l’importanza del rispetto della sovranità, indipendenza e integrità territoriale dello stato siriano, sostengono la lotta al terrorismo come stabilito dalla risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 2015, affermando inoltre che non sarà possibile una soluzione del conflitto attraverso l’utilizzo di armamenti.
La guerra civile siriana è attualmente una delle più gravi al mondo, dove il conflitto, che ormai è in atto da quasi un decennio, ha causato la morte di più di mezzo milione di civili, spingendo milioni di persone a fuggire dal loro paese cercando di oltrepassare il vicino confine greco – turco. Quello siriano è un territorio dove i conflitti interni ormai si sono fortemente incancreniti, e gli interessi internazionali (per questo la si può ritenere una guerra per procura) hanno favorito il prolungamento di una guerra crudele che ha visto nella popolazione civile la principale vittima sacrificale.
Sono molti i tentativi intrapresi ormai da anni per cercare di favorire una stabilizzazione, o una riduzione della violenza. A settembre dello scorso anno, l’ONU è riuscita, non senza difficoltà, a costituire un comitato per l’elaborazione di una nuova costituzione per il Paese sotto la guida dell’inviato Geir Pedersen e a cui la Russia partecipa congiuntamente ad altri 150 Paesi.
Altro importante elemento in questo senso è il Formato di Astana del dicembre 2016 attraverso il quale Russia, Turchia e Iran si accordarono per favorire una de-escalation della violenza, nel rispetto di quanto stabilito dalla risoluzione delle Nazioni Unite precedentemente menzionata. Il Formato portò alla suddivisione del territorio siriano in 4 zone, 2 per ognuno dei due fronti nemici ossia il regime di Damasco contro quello ribelle. Nonostante ciò, è importante ricordare che in questa occasione non furono coinvolte le milizie per l’Unità di Protezione del Popolo (YPG) comprendenti anche i Curdi che ormai, in seguito al ritiro degli Stati Uniti, si sono ritrovati completamente soli nella lotta al terrorismo, ma anche nel doversi difendere da un lato dagli attacchi turchi, essendo accusati di essere un gruppo terroristico, e dall’altro dal regime di Assad che non ne riconosce la legittimità. In questo senso, proprio su spinta di Putin, il governo di Damasco, allo scopo di frenare l’avanzata turca, ha proposto un accordo di tregua proprio con i Curdi, a condizione che questi dichiarino, quindi, apertamente di opporsi agli Stati Uniti, in cambio di protezione dagli attacchi di Ankara.
Ma quali sono gli interessi che hanno spinto Mosca a ricoprire un ruolo così rilevante in un territorio come quello siriano? Perché Putin si è fatto promotore della creazione di un’immagine della Russia come di una mediatrice tra le parti a favore di una pace per Damasco?
Sin dagli anni ‘70 del secolo scorso, l’allora Unione Sovietica ha influito negli affari siriani. Durante gli anni della Guerra Fredda la Siria ebbe sempre un approccio filo sovietico, sin dalla rivoluzione Ba’athista degli anni ‘60 e che vide nell’URSS il naturale alleato a cui appoggiarsi contro l’imperialismo occidentale e i sostenitori di Israele. Questo legame si intensificò sempre più arrivando anche alla stipula di un accordo di amicizia negli anni ‘80. Andropov, l’allora segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, riteneva che la Siria fosse l’ultimo baluardo contro gli Stati Uniti in Medio Oriente e per questo si fece carico, in quegli anni, di grandi finanziamenti a Damasco oltre al rifornimento di armamenti, garantendole un sostegno non indifferente. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Siria risultò fortemente indebitata con l’alleato russo, ma, nonostante ciò, Mosca ritenne opportuno l’annullamento del 70% del debito acquisito, grazie una delibera del governo nel 2005.
Ma i motivi che legano la Russia alla Siria e che ne hanno spinto l’intervento nel conflitto nel 2015, non sono da ricondurre esclusivamente a questioni del passato di tipo ideologico, infatti, nel 1971, venne accordata la concessione di una base navale nelle acque siriane, la base Tartus, unico sbocco navale sul Mediterraneo per Mosca e per questo strategicamente di grande importanza, e ancora attualmente in suo possesso grazie ad un accordo siglato nel 2017, che ne prevede una concessione per altri 49 anni.
A ciò si aggiunge che la Siria è il 3° acquirente di armi dalla Russia, rappresentando circa il 10% di tutte le esportazioni russe di armi e quindi di non indifferente rilevanza per l’economia del Cremlino.
Infine, in questo scenario il settore energetico riveste sicuramente un ruolo fondamentale. Quelli stipulati tra Russia e Siria sono accordi di lungo termine per l’esplorazione e sfruttamento di gas naturale. A livello energetico la posizione siriana è strategica trovandosi proprio come territorio di transito verso la Turchia e di conseguenza verso l’Unione europea e avere uno stretto legame con essa permette di poter influire sul mercato energetico siriano, ma anche di avere una posizione di osservatore su tutto il mercato energetico mediorientale diretto a Occidente.
L’attuale strategia di Mosca nelle relazioni internazionali:
La Russia si è posta l’obiettivo di voler riguadagnare un ruolo di rilevanza nelle dinamiche geopolitiche globali perse proprio successivamente al collasso dell’URSS. La dura situazione economica in cui si trovava dopo il 1991 e che addirittura la portò nel 1998 a dichiarare default, la fecero ritirare dalla sua posizione tra gli attori preminenti. Oggi la Russia, che è in lenta ripresa economica già a partire dal 2000, non ha interesse a ricreare la situazione bipolare del passato, bensì Mosca comprende come le relazioni internazionali siano profondamente cambiate e dove nuovi attori si sono affacciati nello scenario globale favorendo lo sviluppo di un multipolarismo.
La Federazione Russa sta puntando a favorire un dialogo positivo proprio con queste nuove figure come ad esempio con la Cina, ma anche con stati dalle più ridotte dimensioni, come nell’America centrale e nell’America del Sud, ma anche con l’Africa e, per l’appunto, con il Medio Oriente. La Russia intende quindi creare un fronte multipolare in cui potersi ritagliare un ruolo non di egemone, bensì di mediatore a favore di un dialogo costruttivo, allo scopo di arginare l’influenza statunitense e di evitare di trovarsi nuovamente isolata dalle questioni internazionali. Per Mosca una situazione di equilibrio in Medio Oriente è di fondamentale importanza dato che ciò garantisce alle potenze dell’area di potersi contrapporre all’influenza statunitense.
La Siria in questo contesto è un esempio di questa strategia. Il sostegno al regime di Damasco, in collaborazione anche con l’Iran, è di fondamentale importanza per favorire l’influenza nell’area.
Inoltre la Russia, che sin dal 2014 è stata fortemente isolata a livello internazionale a causa dell’invasione della Crimea, azione considerata illegittima dal fronte occidentale, ha trovato nell’intervento in Siria una via per uscire da questo isolamento: spingere per una de-escalation della violenza a favore del ritorno alla pace nell’area è un tema che l’Occidente non può che sostenere positivamente.
Resta da chiedersi quanto la strategia offensiva di Ankara non destabilizzi il dialogo trilaterale costruito su spinta di Mosca con Teheran per favorire la stabilizzazione in Siria. Inoltre, quanto questa situazione pone il Cremlino in una posizione scomoda nel cercare di mantenere il suo ruolo di mediatore non potendo rinunciare a un alleato strategico (forse poi non tanto alleato), e rendendola, per questo, complice?
Quando l’intervento di questi attori esterni alla Siria potrà portare alla conclusione di un conflitto dove contrasti etnici, di religione e sociali si confondono con gli interessi internazionali?Proprio a causa di ciò gli obiettivi principali, ossia quello della lotta al terrorismo e la protezione dei civili, rischiano di passare in secondo piano, oscurati da disaccordi tra le parti che, invece di sostenersi a vicenda, favoriscono propria l’inarrestabile riversamento dei siriani nei campi profughi, nonché la ripresa del fronte jihadista che, con tanta difficoltà e tante perdite, si cerca di contrastare.
SITOGRAFIA:
- https://www.ilsole24ore.com/art/siria-perche-assad-va-soccorso-miliziani-curdi-ACdXl1r?refresh_ce=1
- https://www.limesonline.com/siria-curdi-assad-turchia-stato-islamico/114669?prv=true
- https://www.difesa.it/InformazioniDellaDifesa/periodico/Periodico_2017/Documents/Numero6/ID_6_2017_intervento_russo_in_siria.pdf
- https://www.panorama.it/news/economia/siria-conflitto-interessi-russia-iran-cina
- https://www.affarinternazionali.it/2019/10/turchia-siria-crisi-interessi/
- https://www.huffingtonpost.it/2016/02/13/crisi-siria-interessi_n_9227156.html