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La rotta dei Balcani: un viaggio pericoloso che inizia da lontano

Il 23 dicembre scorso, a seguito di un incendio all’interno del campo migranti di Lipa, nella città di Bihać, una cittadina della Bosnia al confine con la Croazia, 900 persone sono rimaste sfollate, prive di acqua, elettricità e un tetto per ripararsi dal freddo. L’inverno in quelle zone è rigido e i boschi non  possono essere un adeguato rifugio per un essere umano. Eppure, da quel giorno, centinaia di uomini,  donne e bambini continuano a vivere in condizioni disumane. Il 3 gennaio la Commissione Europea  ha annunciato lo stanziamento di 3,5 milioni di euro di aiuti umanitari per i migranti rifugiati nel  territorio della Bosnia-Erzegovina.

Tuttavia, pensare di poter risolvere una crisi umanitaria di tale  portata senza coinvolgere i territori ai confini dell’Unione Europea è inverosimile e non tiene conto della complessa rete di attori presenti all’interno di questo scenario.  

Le storie dei migranti nel campo di Lipa sono diverse tra loro e allo stesso tempo unite da un unico  filo conduttore. Sono persone provenienti da paesi che a noi sembrano lontani, immaginabili solo osservando una cartina geografica; territori come l’Afghanistan, l’Iran, l’Iraq, la Tunisia, l’Etiopia,  l’Eritrea. Il loro viaggio non è unidirezionale e non prevede un’unica meta, ma tante discese e talvolta  fermate a lungo termine. È come ritrovarsi su un binario, senza sapere se giungerai al punto di  partenza, di arrivo o di stallo perenne. Molte di queste persone decidono di fuggire dal loro paese a  causa della guerra, della fame, della povertà o per andare alla ricerca di un futuro migliore. Si affidano a trafficanti di esseri umani per poter raggiungere i paesi dell’UE, visti come un’isola felice, dove i loro diritti verranno rispettati. Cercano di trovare delle rotte che possano portarli al sicuro e dove  invece, spesso, incontrano la morte. Le loro vite, spezzate via dalle onde del mare, dalle ruote dei  camion, dalle sevizie delle polizie di frontiera o dai governi dittatoriali, vengono raccontate in  continuazione, eppure nessuno sembra volersene occupare.

Per alcuni politici sono persone di serie  B che devono essere respinte a priori nei loro paesi di origine, per altri sono comuni mortali che  potrebbero essere aiutati, ma sempre con cautela, relegandoli, di fatto, in una categoria inferiore. È quello che è accaduto al campo di Lipa, nel momento in cui, nonostante le condizioni di difficoltà in  cui riversavano centinaia di migranti, le autorità locali e la popolazione di Bihac si sono opposte ad ospitarli nell’altro centro di accoglienza della città, vuoto e pronto per essere utilizzato. In un articolo  dell’Internazionale, di Annalisa Camilli, risalente a novembre del 2019, viene affrontata la questione  della migrazione in Bosnia e le sue parole sembrano annunciare la recente tragedia. “In Bosnia dal  2018 hanno transitato 40 mila persone e circa seimila sono bloccate nel cantone di Una-Sana,  intorno a Bihać, mentre aspettano di provare ad attraversare la frontiera con la Croazia, primo  avamposto dell’Europa. Ma al confine, nei boschi, è alta la probabilità che i profughi incontrino i  manganelli e la violenza dei poliziotti croati e che siano rimandati indietro in quello che è diventato  una specie di stato cuscinetto ai margini dell’Europa, la Bosnia Erzegovina.” Tale situazione di  emergenza umanitaria poteva dunque essere evitata se si fossero prese misure adeguate.

I Paesi  dell’UE non possono continuare a voltarsi dall’altra parte, né a chiudere le frontiere. Il rischio, infatti, è quello di incentivare il lavoro dei trafficanti e delle organizzazioni criminali che si occupano di  organizzare viaggi rischiosi e interminabili.

Nel libro “La frontiera”, scritto da Alessandro  Leogrande, scomparso nel 2017, viene analizzata la situazione del fenomeno migratorio attraverso  una pluralità di voci che narrano in prima persona l’agonia del “viaggio” sia via mare che via terra.  È il caso di Aamir, un ragazzo afghano che nel 2010, a soli 16 anni, ha scelto di partire insieme ad  altri suoi compagni. “Aamir è stato uno dei primi a percorrere la rotta dei Balcani. È andato dalla  Grecia in Turchia, senza passare dall’Italia”. Il giovane, infatti, dopo essere riuscito a raggiungere  la Grecia, aveva tentato più volte, senza ottenere successo, di saltare sui camion all’imbarco delle  navi che da Patrasso si dirigono verso l’Italia. Un “gioco” pericoloso che ogni anno causa la morte  di decine e decine di persone, asfissiate o schiacciate dalle ruote del mezzo pesante. Aamir ha deciso  così di studiare un percorso alternativo, ricorrendo all’aiuto di Google maps. Lui e altri ragazzi sono  riusciti a stampare la mappa che li avrebbe portati in territorio europeo. Hanno camminato centinaia  e centinaia di chilometri, attraversato Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria. Per notti non hanno  dormito, accampandosi tra i boschi dei Balcani, in alcune zone popolate dai lupi. Sono stati catturati dalla polizia serba e sbattuti in carcere per mesi; dopo aver raggiunto l’Ungheria, invece, sono stati inviati in centri per rifugiati. La polizia di confine non si è accertata che fossero minori, destinandoli  nel centro di accoglienza per adulti di Debrecen. Alcuni dei ragazzi con cui Aamir aveva iniziato il lungo viaggio durato 6 mesi, sono stati rispediti in Grecia in quanto le loro impronte digitali erano  finite nei database della polizia a Patrasso.

Secondo l’accordo di Dublino, entrato in vigore per la  prima volta nel 1997, infatti, si può fare richiesta di asilo solo nel primo paese di arrivo. I nuovi scenari geopolitici, tuttavia, richiederebbero una revisione dell’accordo che non riesce più a gestire il  flusso di migranti provenienti da diversi paesi. La soluzione si può trovare solo in una cooperazione all’interno dell’Unione Europea per evitare un “lavaggio delle mani” generale. Ad esempio, in alcuni  casi, potrebbe essere fornita la concessione di “più visti di lavoro temporanei”, offrendo così per  coloro che sono dei “migranti economici” un’alternativa al diritto di asilo, andando a contribuire all’economia di paesi, come l’Italia, che tendono all’invecchiamento.

Ovviamente, occorre  distinguere chi fugge per mancanza di prospettive lavorative da chi invece è costretto a causa della  guerra. Ciò tuttavia, non significa che entrambe le situazioni non debbano essere trattate con la medesima cura, semmai con approcci differenti. I corridoi umanitari possono essere un buon metodo  per fare entrare in Italia, legalmente e in sicurezza persone in “condizioni di vulnerabilità” come  bambini, ammalati o vittime di persecuzioni. Lo ha capito subito la comunità valdese, memore di una  storia di fughe e persecuzioni che oggi aiuta i profughi provenienti da diverse parti del mondo. Infatti, “dal 2016 i corridori umanitari hanno aiutato circa duemila profughi siriani ad arrivare in Italia”.  I valdesi sono stati costretti a scappare per secoli, da quando Papa Leone III li aveva dichiarati eretici e sanno bene cosa significa essere rifiutati dal resto della popolazione.

A Bihac, dove si trovano attualmente i migranti sfollati, tra il 1991 e il 1995, durante il conflitto in Bosnia-Erzegovina , sono state uccise 4856 persone. Un territorio, quello bosniaco, che durante quegli anni ha visto la fuga di  più di un milione di persone. Come a voler confermare il meccanismo per cui nel corso della storia  alcuni tendono a dimenticare gli eventi traumatici, gli abitanti di questo tratto dei Balcani non  riescono ad empatizzare con i migranti nel campo di Lipa. Eppure basterebbe ricordarsi che siamo  tutti esseri umani con la voglia di scoprire nuovi mondi e con il diritto a vivere dignitosamente, aldilà  di ogni infondata pretesa di superiorità etnica o religiosa. L’orrore del mondo si insidia nel silenzio  di chi non vuole vedere la violenza, non la accetta o peggio la giustifica.

Nel capitolo finale del suo libro, Alessandro Leogrande analizza il dipinto di Caravaggio “Il Martirio di San Matteo”. Senza saperlo, ancora prima di arrivare alla fine del suo racconto, sono stata alla Chiesa di San Luigi dei  Francesi, dove se si lascia un’offerta in moneta, il quadro del Martirio si illumina in tutto il suo  splendore. Un uomo sta per uccidere il vecchio che non ha scampo di fronte alla morte certa, intorno  a lui i personaggi si dileguano dal centro della scena, impauriti o indifferenti; l’unico che guarda  impietosito la povera vittima è un uomo con la barba, che secondo gli esperti rappresenta Caravaggio stesso. “Dipingendo il proprio sguardo, Caravaggio definisce l’unico modo di poter guardare  all’orrore del mondo. Stabilisce geometricamente la giusta distanza a cui collocarsi per fissare la  bestia. Dentro la tela, manifestamente accanto alle cose, non fuori con il pennello in mano. Eppure  sa anche che tale sguardo è inefficace, non cambierà il corso delle cose”. Forse, in un mondo  costituito da una molteplicità di culture che si intrecciano le une alle altre, l’unico modo per vivere in armonia è quello di vedere la realtà accettandone i suoi lati oscuri. Punto di partenza per cercare di  collaborare senza erigere muri, ma porte comunicanti che consentano di conoscersi senza paure e chissà anche di amarsi.

Irene Pulcianese

BIBLIOGRAFIA: 

  • “La frontiera”, di Alessandro Leogrande
  • Internazionale, 5 Novembre 2019 
  • Internazionale, n 1377, 25 settembre 2020
  • Internazionale, n 1391, 8 gennaio 2021

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La Strillettera Europea: procedure d’infrazione fantastiche e dove trovarle

Secondo il Human Development Report OCSE del 2009, circa il 47% degli italiani sono considerabili analfabeti funzionali, cioè non sono in grado di leggere e comprendere un testo in maniera appunto funzionale, privi di qualsiasi approccio critico e capacità di analisi del testo. Fintanto che le persone non sanno leggere gli orari dell’autobus o utilizzare un computer i danni, seppur presenti, risultano limitati.

La grande problematicità dell’analfabetismo funzionale emerge qualora si debba poi decifrare una notizia di rilevanza politica a ridosso delle elezioni. Senza spirito critico dell’informazione e una capacità di piena comprensione, la possibilità di essere tratto in inganno e in errore è molto più alta.

Peggio sarebbe se casi di analfabetismo funzionale si trovassero al governo o ai vertici di potere.

“Tutti gli ultimi anni, con la cura Monti, la cura Letta, la cura Renzi, la cura Gentiloni, la cura dei tagli e delle chiusure, dimostrano l’esatto contrario: il debito è cresciuto. Noi vogliamo fare quello che gli italiani ci chiedono di fare, ridurre le tasse

(Matteo Salvini a Otto e mezzo, 5 giugno 2019)

Nel 2017 l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche (-39.691 milioni di euro) è stato pari al 2,3% del Pil, in diminuzione di circa 1,9 miliardi rispetto al 2016 (-41.638 milioni di euro, corrispondente al 2,5% del Pil)”

(Dati ISTAT)

E le cifre sono queste: nel 2018 il debito è stato pari al 132,2%, rispetto al 131,4% del 2017, nel 2019 si attesterà al 133,7% e nel 2020 raggiungerà il 135,2%.”

(Il Sole24ore)

Il 29 maggio 2019 sulla scrivania del Ministro dell’Economia Giovanni Tria si è presentata una lettera molto dura da parte della Commissione Europea. Da molti nel mondo di Harry Potter potrebbe essere definita quasi una strillettera che sostengono avesse più o meno questa intenzione:

“Giovanni Tria! Come hai osato infrangere le regole sul disavanzo? Siamo veramente disgustati. Ora in Europa l’Italia sarà sottoposta ad un’inchiesta e sarà tutta colpa tua. Se farai un altro passo falso noi ti riporteremo la Troika a casa.”

Probabilmente non è esattamente così che il Ministro l’ha analizzata, anche se è plausibile che egli al momento della consegna della lettera sia rimasto seduto sulla sua scrivania, chiedendosi a cosa stesse pensando nel momento in cui ha accettato l’incarico lo scorso anno.

Nella lettera, il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis e il commissario dell’economia Pierre Moscovici puntualizzano la necessità per l’Italia di mantenere gli impegni presi nei trattati e in particolare si rifanno all’articolo 126 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Il suddetto articolo sentenzia che se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione prepara una relazione.

Questa è per adesso l’azione dell’Europa: preparare una relazione sull’andamento economico dell’Italia in quanto Paese Membro per valutarne le politiche prossime. Tale relazione, inoltre, tiene conto anche dell’eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti e tiene conto di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro. Alla fine di tale relazione, l’Unione Europea valuta se il suddetto Stato Membro è passibile di procedura di infrazione, nella quale sarebbe limitato nelle sue scelte economiche e costantemente monitorato dagli organi di vigilanza per assicurare il rientro del debito.

Il 5 giugno la Commissione ha valutato giustificabile la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e ha deciso di rimettere al giudizio finale del Consiglio di Economia e Finanza (ECOFIN) la decisione sull’eventuale procedura di infrazione. La discussione avrà la sua soluzione nella sessione dell’8 e 9 luglio, quando si deciderà se effettivamente tale procedura avrà luogo. Il dossier è dunque passato ai singoli rappresentanti dei governi degli Stati Membri che decideranno il futuro della terza potenza economica europea. Tale procedura non è mai stata avviata e l’iter sarebbe di circa 2-3 anni, nei quali il Paese attraverserebbe varie fasi con l’obiettivo di ridurre il suo deficit e rientrare nei parametri europei.

Le misure sarebbero molto più stringenti e riguarderebbero sia tempistiche che modalità degli interventi, con grave rischio di una maggiore tassazione e dei tagli a politiche sociali, fino ad un taglio dei fondi strutturali europei. Fondi che al momento consistono in un grande apporto all’economia italiana.

Ora il punto è che la lettera è arrivata ma non è chiaro se sia stata effettivamente compresa.

Di Maio utilizza la carta E allora il PD?” e rigetta sul Partito Democratico la colpa dell’eccessivo debito. “Quota 100 e pensioni d’oro non si toccano” (Zingaretti non ci sta e rilancia “Questo è un capolavoro del governo”, in un improvviso e sorprendente slancio di amor proprio).

Salvini rimane fermo sull’idea dell’Europa da rivedere e sulla flat tax: “L’unico modo per ridurre il debito creato in passato è tagliare le tasse (Flat Tax) e permettere agli Italiani di lavorare di più e meglio”. La speranza risiede nell’intervento dei Sovranisti a cambiarne le regole, sebbene probabilmente saranno proprio quelle forze sovraniste a supportare la procedura d’infrazione, così come fatto in precedenza dal leader ungherese Orban.

Non si capisce esattamente se Di Maio e Salvini stiano parlando della stessa cosa. La lettera è sbagliata perché si riferisce al PD e quindi il Governo gialloverde è salvo oppure si riferisce al Governo gialloverde e quindi l’Europa sbaglia perché critica le scelte del governo?

Probabilmente il problema risiede nell’incapacità di capire cosa effettivamente sia richiesto dalla Commissione Europea o nella volontà di ignorare volontariamente qualsiasi altro punto di vista. Sembra effettivamente di dialogare con un grave caso di analfabetismo funzionale a livello governativo.

Sono sicuro che a Bruxelles rispetteranno questa volontà”.

Ecco, qui sta il punto: Bruxelles probabilmente non è d’accordo su nessuno dei punti del governo. Difficile credere che la lettera della Commissione si riferisca al debito del governo precedente, come se la lettera fosse una cartolina perduta tra servizi postali e pervenuta solo tempo dopo. Non avrebbe senso far partire una procedura d’infrazione sulle politiche di questo governo se fossero considerate positive dall’Unione. Per adesso alla Commissione Europea serve capire l’intenzione dell’Italia sul suo stato economico, dal momento che per un Paese con un tale disavanzo l’idea di adottare politiche di taglio delle tasse e spesa pubblica sulle pensioni non risulta il metodo più efficace per ridurre il debito.

La speranza è trovare un punto di compromesso  tra Italia e Commissione per evitare pesanti sanzioni che potrebbero in qualche modo peggiorare la situazione italiana che, a quel punto, non avrebbe più modo di scegliere autonomamente come ha fatto sin’ora la propria politica. Perché sì, di libertà ne ha avuta per circa vent’anni di Berlusconismo e di indebitamento spropositato di cui, stranamente, nessuno ricorda nulla.

Ma chi probabilmente soffre davvero in tutto ciò rimane il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ci ha provato ma non sembra aver ottenuto i risultati sperati. Ha indetto anche una conferenza Lunedì per provare a rimettere insieme i pezzi di un governo che ogni volta che apre bocca riesce a far salire lo spread di un’infinità di punti e sembra ostacolare ogni suo sforzo di pacificazione con l’Unione.

Intanto lui vola a Bruxelles, verso incontri istituzionali, con Tria accanto e lo sguardo perso nei sogni sul finestrino, chiedendosi di tanto in tanto se ci sia tanta differenza tra lo stipendio del Presidente del Consiglio e quello dell’allenatore della Roma.

Matteo Caruso


Sitografia:

Giornata Internazionale della Donna; una nuova festa per Berlino

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Nel 2019, Berlino diventa il primo stato federale in Germania a celebrare la festa dell’8 marzo, che significa che ci sarà un nuovo giorno non lavorativo nella celebrazione della Giornata Internazionale delle Donne. Il dibattito è emerso perché Berlino ha meno vacanze di tutta la Germania (nove vacanze, mentre la Bavaria per esempio ne ha 13) e recentemente gli stati federali settentrionali hanno dichiarato il 31 ottobre (il Giorno della Riforma) pubblica festa. Berlino in realtà non aveva pianificato di promuovere nuove feste pubbliche. Col supporto da parte della Sinistra, SPD e partito dei Verdi, la decisione di rendere l’8 marzo una festa pubblica è stata presa nel novembre 2018. Continua a leggere

International Women’s Day; a new holiday for Berlin

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In 2019, Berlin becomes the first federate state in Germany to celebrate the 8th of March as a holiday, meaning it will be a new work-free day in celebration of International Women’s Day. The debate came up because Berlin has the least holidays in all of Germany (nine holidays, whereas Bavaria for example has 13) and recently, the nordic federate states have declared the 31st of October (Reformation day) to be a public holiday. Berlin did not actually plan to initiate a new public holiday. With support from die Linken, SPD and the Green Party, the decision to make the 8th of March a public holiday was made in November 2018. Continua a leggere

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2019 ist Berlin das erste Bundesland in Deutschland, das den 8. März als Feiertag feiert, also als neuen arbeitsfreien Tag um den Internationalen Frauentag zu feiern. Die Debatte um einen neuen Feiertag in Berlin war aufgekommen, weil Berlin mit neun Tagen im Jahr am Ende der Liste der Feiertage steht (Bayern feiert 13 Tage) und in den nördlichen Bundesländern zuletzt der 31. Oktober, Reformationstag, als gesetzlicher Feiertag festgelegt wurde. Geplant war die Einführung eines neuen Feiertags eigentlich nicht. Die Entscheidung ist im November 2018 aber mit  Unterstützung von Linken, SPD und Grünen im November 2018 auf eben den 8. März als gesetzlichen Feiertag gefallen. Continua a leggere